L’inizio dell’improbabile “controffensiva” del regime ucraino, teoricamente per riconquistare il territorio controllato dalla Russia, ha avuto per il momento la stessa sorte della resistenza opposta all’avanzamento delle forze di Mosca. Solo nei primi due giorni dell’operazione ordinata da Zelensky nel sud del paese, l’Ucraina ha subito perdite consistenti di uomini e mezzi. I bombardamenti ucraini, cominciati nella serata di domenica con armi fornite da Washington e in larga misura diretti contro edifici civili, sono stati accompagnati da un movimento di truppe in svariate direzioni, con l’obiettivo principale la città e la regione di Kherson.

Mentre l’estate si approssima alla sua fine, sono vari i segnali che indicano un ulteriore peggioramento della situazione internazionale con conseguente sempre più probabile slittamento verso l’abisso della guerra, forse nucleare. Vediamo questi segnali. Innanzitutto le dichiarazioni sul recupero della Crimea rese da Stoltenberg e prontamente riprese da Draghi. Poi l’attentato terroristico di cui è rimasta vittima la figlia di Dughin, non rivendicato dall’Ucraina che tuttavia ha protestato per la sacrosanta condanna pronunciata da Papa Francesco. Ancora, la decisione del presidente del Consiglio europeo di addestrare i militari ucraini sul territorio europeo.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia, struttura facente capo all’OCSE, nel suo report mensile sul mercato petrolifero, informa che l’impatto delle sanzioni occidentali sull’export energetico russo è stato, fino ad ora, sostanzialmente nullo. L’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, non ha sede a Mosca. E’ una organizzazione che ha sede a Parigi e della quale fanno parte 36 paesi, tra i quali gli Stati Uniti, quasi l’intera Unione Europea, il Giappone, l’Australia e il Canada, il Messico e il Cile, la Svizzera e la Turchia. Dal 1 giugno 2021, il Segretario generale dell’Ocse è l’australiano Mathias Cormann.

Una delle verità documentate del conflitto in Ucraina e quasi sempre trascurate dai media ufficiali in Occidente è che il regime di Zelensky commette regolarmente crimini di guerra sia bombardando in maniera deliberata obiettivi civili sia trasformando in postazioni militari edifici come scuole, case e ospedali senza che vi sia una stretta necessità derivante dalla guerra in corso. Il governo russo e la stampa indipendente denunciano questa situazione da tempo, ma le atrocità o presunte tali verificatesi sul campo di battaglia a partire dal 24 febbraio scorso continuano a venire attribuite esclusivamente alle forze di Mosca. Questa settimana, il comportamento dell’Ucraina è finito però al centro di un’indagine anche di Amnesty International, una ONG non esattamente accusabile di simpatie putiniane, che ha appunto documentato i crimini del regime di Kiev costati finora la vita a un numero imprecisato di civili.

La provocazione di Nancy Pelosi, atterrata sana e salva a Taiwan martedì e ripartita il giorno dopo nonostante le minacce di Pechino, è stata vista generalmente in Occidente come una vittoria degli Stati Uniti e delle “forze democratiche” contro il “regime” cinese. Il danno di immagine sofferto da quest’ultimo sembra indiscutibile, anche se potrebbe essere in realtà solo apparente e le contromisure allo studio avranno senza il minimo dubbio conseguenze più o meno pesanti per Washington e Taipei. Gli avvertimenti lanciati dalle autorità cinesi fino a pochi minuti dall’arrivo sull’isola della “speaker” della Camera dei Rappresentanti USA non hanno avuto seguito, ma tutto fa pensare che l’iniziativa e le risposte che verranno decise a Pechino potrebbero determinare cambiamenti decisivi sullo status di Taiwan, trasformando così il “successo” americano di questa settimana in un vero e proprio boomerang.

Lasciando da parte la retorica e i riflessi immediati sulla stampa ufficiale del blitz della Pelosi, è importante chiedersi quali risultati concreti abbia in fin dei conti prodotto per gli Stati Uniti e i loro alleati. A livello pratico, Washington non ha guadagnato nulla e se la scommessa dell’amministrazione Biden, che aveva ostentato una certa contrarietà alla visita, è che la leadership cinese possa essere intimidita o che si aprano prospettive per l’indipendenza di Taiwan, l’incontro con la realtà nei prossimi mesi o anni potrebbe essere molto brusco.


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