Le accuse mosse nei confronti dell’esercito russo di gravissime violazioni del diritto umanitario che sarebbero state compiute a Boucha ed in altre località ucraine richiedono l’effettuazione di indagini approfondite da parte di organismi internazionali imparziali. La stessa esigenza si applica del resto a tutte le violazioni, compiute da tutte le parti belligeranti, a partire perlomeno dal 2014, data d’inizio del conflitto nel Donbass, poi generalizzatosi all’insieme del territorio ucraino colla  decisione del governo russo di lanciare un’offensiva militare il 24 febbraio 2022.

La violenza ideologica contro la Russia è fatta anche di notizie false che si susseguono una dopo l’altra.

Oggi l’Occidente ha lanciato la menzogna del “massacro di Bucha”, salita alla ribalta internazionale.

La Russia viene messa di nuovo messa alla gogna mediatica, inorriditi gli euroburocrati stanno già preparando altre sanzioni.

Mentre l’attenzione di tutto il mondo continua a essere concentrata sulle vicende ucraine, nel parlamento e nei più alti tribunali del Pakistan si è aperto ufficialmente un nuovo fronte delle cosiddette “guerre ibride”, promosse più o meno clandestinamente dagli Stati Uniti per rovesciare governi o regimi entrati in rotta di collisione con Washington. Nel mirino c’è il primo ministro pakistano, Imran Khan, il quale, con una manovra controversa, è riuscito nel fine settimana a evitare un voto di sfiducia all’Assemblea Nazionale e a ottenere dal presidente, Arif Alvi, lo scioglimento dello stesso organo legislativo pakistano. Sulla legittimità costituzionale dell’iniziativa di Khan si dovrà esprimere a breve la Corte Suprema del paese asiatico, ma, quali che siano i prossimi sviluppi, il governo democraticamente eletto del Pakistan ha dato un altro clamoroso esempio delle declinanti capacità americane nell’imporre i propri interessi a paesi sovrani.

Il fatto che un giudice di un tribunale di un paese “democratico” scriva nero su bianco in una sentenza che l’autorità esecutiva più alta di quello stesso paese ha cospirato per rovesciare l’ordine costituzionale dovrebbe rappresentare un evento niente meno che sensazionale. Se però questo paese è l’America, dove ciò è effettivamente accaduto nei giorni scorsi, le conseguenze possono essere tutt’al più trascurabili. Le circostanze sono ovviamente quelle dell’assalto al Congresso di Washington del 6 gennaio 2021, della cui responsabilità le prove emerse sono sempre più schiaccianti nei confronti di Donald Trump. Al dipartimento di Giustizia, organo dell’amministrazione Biden, continua tuttavia a esserci poco o nessun interesse per una possibile incriminazione dell’ex presidente repubblicano o dei suoi più stretti collaboratori.

Questa guerra, che è una tragedia infinita per l’Ucraina, la Russia e l’Europa, nonché fonte di preoccupazioni e sofferenza per il resto del mondo, è una vera e propria inaspettata pacchia per la classe dirigente statunitense. Ciò si capisce facilmente se si pensa che l’esistenza della guerra e l’incolmabile spaccatura che essa sta creando fra la Russia e l’Europa, costituiscono una fonte di inesauribili profitti per l’industria statunitense, che ci venderà gas a prezzo maggiorato, armi a profusione, grano ed altro. Inoltre la guerra ha ricucito, almeno nel breve-medio termine, ogni frattura potenziale o reale all’interno della NATO, che si rilegittima come strumento necessario e chiede agli Stati membri nuove spese militari che andranno a gravare su bilanci statali già esausti per la pandemia.


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