La ratifica dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO continua a dipendere dalle decisioni che verranno prese dal parlamento della Turchia e, soprattutto, dal presidente Erdoğan. Se anche l’Ungheria di Orban non ha in effetti ancora approvato la candidatura dei due potenziali nuovi membri, è la difficile trattativa in atto con Ankara a sollevare particolare interesse e ad avere le maggiori implicazioni strategiche per l’Alleanza atlantica e non solo.

Negli ultimi giorni le tensioni tra il governo turco e quello svedese sembrano essere peggiorate, come dimostrerebbero gli avvertimenti arrivati nel fine settimana dallo stesso Erdoğan e dal suo portavoce, Ibrahim Kalin. Com’è noto, l’esplosione della guerra in Ucraina nel febbraio 2022 aveva dato l’occasione alla Finlandia e, ancor più, alla Svezia di mettere fine anche formalmente alla finzione dello status di neutralità, così da ottenere a tutti gli effetti l’ingresso nella NATO.

 

La Turchia aveva però messo subito una serie di paletti, chiedendo svariati provvedimenti da parte dei governi di Helsinki e Stoccolma in cambio della ratifica del parlamento di Ankara. Le parti avevano apparentemente trovato un accordo con la mediazione dell’amministrazione Biden nel corso del vertice NATO di Madrid dello scorso giugno. Oltre alla cancellazione dell’embargo alla vendita di armi alla Turchia, Erdoğan aveva sollecitato i due paesi, ma in particolare la Svezia, a tagliare i ponti con le organizzazioni curde legate al PKK e a quella che fa capo al religioso Fethullah Gulen (FETO), da tempo residente negli Stati Uniti e accusato dal presidente turco di essere l’organizzatore del fallito colpo di stato ai suoi danni nell’estate del 2016.

Erdoğan aveva consegnato una lista di “terroristi” a cui la Svezia concede ospitalità, chiedendone l’estradizione. Una parte delle richieste turche sono state soddisfatte, ma il processo si è ora arenato su alcuni nomi di attivisti curdi e “gulenisti” la cui estradizione la giustizia svedese non sembra disposta ad approvare. Il già ricordato portavoce di Erdoğan, nella giornata di sabato ha avvertito che i tempi per la conclusione della vicenda sono molto stretti e difficilmente la Svezia riuscirà a implementare le richieste di Ankara prima delle elezioni programmate in Turchia.

In considerazione del fatto che quest’ultimo paese potrebbe anticipare il voto dal mese di giugno a quello di maggio, il parlamento sarà probabilmente sciolto a marzo, rendendo impossibile l’eventuale ratifica dell’adesione di Svezia e Finlandia al Patto Atlantico. Ciò perché Stoccolma, secondo Ibrahim Kalin, avrà bisogno di altri sei mesi per codificare le leggi promesse a Madrid l’anno scorso che dovrebbero modificare la definizione di terrorismo e facilitare l’estradizione degli individui richiesti dalla Turchia.

Lo stesso Erdoğan è intervenuto domenica sull’argomento e ha ostentato toni più minacciosi. Il presidente turco ha prospettato un peggioramento delle relazioni con la Svezia se il governo di Stoccolma non adotterà provvedimenti incisivi nei confronti del PKK e dei suoi sostenitori che ospita entro i propri confini. Erdoğan ha sostenuto che la Svezia dovrà estradare “fino a 130 terroristi” prima che la ratifica abbia luogo, per poi citare con allarme la recente manifestazione di protesta curda nella capitale svedese, durante la quale i partecipanti hanno messo in scena una finta esecuzione del presidente turco. Il ministero degli Esteri di Ankara aveva subito convocato l’ambasciatore svedese, mentre la procura generale turca ha in seguito aperto un’indagine sui fatti.

Che la faccenda si stesse complicando seriamente era risultato evidente già la settimana scorsa, quando il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, era stato protagonista di un’uscita che in molti hanno giudicato come un segnale di esasperazione. Il premier conservatore aveva affermato che la Svezia non poteva fare altro per accontentare la Turchia, avendo attuato tutte le condizioni che era possibile soddisfare. Secondo Kristersson, lo stesso governo turco avrebbe confermato che la Svezia ha fatto quanto si era impegnata a fare, ma Ankara continua a chiedere “cose che non possiamo e non vogliamo concedere”.

Per il primo ministro, Erdoğan avrebbe già preso una decisione favorevole alla candidatura di Stoccolma, ma non esiste chiarezza sui tempi della ratifica formale, che a suo dire dipende principalmente dalle dinamiche politiche interne alla Turchia. Il fattore elettorale è chiaramente in cima ai pensieri di Erdoğan. Il voto dei prossimi mesi si annuncia come il più complicato per il presidente e il suo partito (AKP), così che è facile prevedere non ci saranno cedimenti sulla questione dell’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia senza le contropartite desiderate.

Appare ad esempio del tutto scontato che Ankara non mostrerà cedimenti in caso di circostanze come quella verificatasi settimana scorsa con l’annuncio da parte del governo svedese della bocciatura della richiesta di estradizione di quattro affiliati all’organizzazione di Gulen. Le istanze della Turchia risalivano al 2019 e al 2020 e la presa di posizione del governo di Stoccolma era arrivata in seguito alla pronuncia della Corte Suprema svedese di qualche mese fa. Questo stesso tribunale nel mese di dicembre aveva anche respinto la richiesta di estradizione del giornalista Bulent Kenes, anch’egli ritenuto vicino ai gulenisti e di fatto l’unico a essere citato per nome da Erdoğan tra i presunti terroristi che la Svezia avrebbe dovuto consegnare ad Ankara.

Alla luce dello stallo della candidatura di Svezia e Finlandia, è legittimo ipotizzare che i governi di questi paesi e la NATO abbiano agito troppo tempestivamente, senza consultare Erdoğan e, soprattutto, senza valutare la reazione di Ankara nel quadro delle relazioni già deteriorate tra Turchia e Patto Atlantico. Lo scenario che si è così creato ha messo in serio imbarazzo in particolare il governo svedese, costretto a garantire almeno in apparenza le norme del diritto internazionale nonostante la priorità della ratifica dell’ingresso nella NATO.

Il tentativo da parte di Erdoğan di estrarre le maggiori concessioni possibili dalle circostanze non sorprende nessuno, a parte evidentemente il governo di Stoccolma e i vertici NATO. La trattativa in corso conferma infatti un’attitudine ormai consolidata parte di Erdoğan nei confronti degli “alleati” occidentali. L’obiettivo è quello di utilizzare sia l’appartenenza alla NATO sia i buoni rapporti con la Russia per ottenere da entrambi il massimo in termini di vantaggi strategici e non solo. Per questa ragione, da collegare come già spiegato anche alle necessità di carattere elettorale, Erdoğan intende restare fermo sulle sue posizione e, anzi, se possibile rilanciare.

Nella vicenda giocano inevitabilmente un ruolo di rilievo anche gli Stati Uniti. Le armi in mano a Washington per convincere la Turchia includono principalmente la situazione in Siria, la rivalità con la Grecia e la vendita di armi. Questi ultimi due fattori sembrano sovrapporsi in questa fase che vede la tensione alle stelle tra Ankara e Atene. La decisione americana di vendere un pacchetto di F-35 alla Grecia è stata oggetto di critiche da parte della Turchia, ma è evidente che la mossa di Washington serve, tra l’altro, proprio a fare pressioni su Erdoğan sia per convincerlo a scaricare la Russia sia per approvare la candidatura NATO di Svezia e Finlandia.

La fornitura di F-35 è particolarmente provocatoria, visto che la Turchia aveva partecipato alla progettazione di questi costosissimi velivoli da guerra prima di venire espulsa dal relativo programma di sviluppo a causa dell’acquisto del sistema anti-aereo russo S-400. L’atteggiamento americano è ad ogni modo meno rigido di quanto possa apparire, chiaramente per il timore che pressioni eccessive possano spingere definitivamente Erdoğan nelle braccia di Putin. Un esempio di ciò è la recente richiesta della Casa Bianca al Congresso USA per l’approvazione della vendita, oltre che degli F-35 alla Grecia, di una quarantina di F-16 alla Turchia. Al Senato di Washington ci sono però forti resistenze ed è probabile che la questione degli F-16 finirà per diventare un altro possibile oggetto di scambio nel caso di Svezia e Finlandia.

Le trattative sono comunque in pieno svolgimento e l’imminente visita a Washington del ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, potrebbe aggiungere un tassello importante alla vicenda. Malgrado l’apparente fermezza, Erdoğan prenderà alla fine una decisione in base a quanto gli verrà offerto e se la contropartita risponderà ai propri calcoli e agli interessi turchi.

C’è un’ultima considerazione da fare a proposito di Svezia e NATO. L’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza ha solo in minima parte a che fare con la crisi ucraina. La fine formale dello status di neutralità del paese scandinavo moltiplica i rischi di essere coinvolto in un eventuale conflitto tra NATO e Russia, con conseguenze facilmente immaginabili. È evidente che questa decisione non comporta alcun beneficio in termini di sicurezza per la popolazione ma è un desiderio che nutre da decenni la classe politica svedese, non da ultimo per le opportunità che si apriranno sul fronte del mercato delle armi.

Per gli Stati Uniti, la formalizzazione dell’ingresso della Svezia nella NATO è un elemento cruciale nei piani di avvicinamento ai confini russi. Per la posizione geografica che occupa, sembra essere tuttavia la Finlandia a rappresentare la parte più importante, anche se è la Svezia a rimanere la priorità per Washington. Tanto che l’amministrazione Biden ha tutta l’intenzione di consolidare la partnership militare con Stoccolma anche in assenza della ratifica dell’adesione al Patto Atlantico.

Proprio nei giorni scorsi è arrivata la notizia dell’avvio di trattative per la sottoscrizione di un patto per la sicurezza tra USA e Svezia che, una volta implementato, consentirà alle forze armate americane di operare in territorio svedese. In altre parole, come ha spiegato nel suo blog Indian Punchline l’ex diplomatico indiano M K Bhadrakumar, gli Stati Uniti “non aspetteranno la formalizzazione dell’accesso della Svezia alla NATO, ma la considereranno come un alleato NATO di fatto” grazie all’accordo di cooperazione militare allo studio.

Secondo Bhadrakumar, l’urgenza americana dipende in particolare dalla presenza e dalle manovre strategiche della Russia nella regione artica. L’apertura delle rotte navigabili in quest’area per via dei cambiamenti climatici ha scatenato una competizione che ha risvolti di natura economica ed energetica potenzialmente esplosivi. In questo quadro, i paesi “artici” come la Svezia che dispongono di sistemi militari avanzati diventano fondamentali nei calcoli delle grandi potenze. Riassumendo perciò le ansie americane in relazione alla partnership militare con Stoccolma, conclude l’ex ambasciatore e commentatore indiano, “lo spettro che ossessiona gli USA” è che attualmente “l’Artico è russo”.

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