I colloqui in Turchia sembrano poter aprire spiragli di dialogo tra Russia e Ucraina, ma farsi illusioni circa un negoziato rapido ed un accordo a breve sarebbe un’ingenuità imperdonabile. Le difficoltà hanno a che vedere anche con le pressioni che gli USA esercitano su Kiev perché rifiuti l’unica possibilità di accordo: ovvero le garanzie di sicurezza alla Russia che non si vollero ascoltare prima del conflitto.

Tra i leader occidentali che hanno finora tenuto aperta una linea di comunicazione diretta con il Cremlino, nonostante le operazioni militari e la follia sanzionatoria, c’è soprattutto il presidente francese Macron. Quest’ultimo e il presidente russo Putin si sono sentiti anche nel pomeriggio di martedì, dopo che l’inquilino dell’Eliseo era stato tra i più decisi a condannare le dichiarazioni del fine settimana di Joe Biden sulla necessità di un cambio di regime a Mosca.

La distanza crescente tra Stati Uniti e Francia ha così portato alla luce le prime crepe del fronte anti-russo dentro la stessa NATO, rilanciando, anche se per ora quasi del tutto sotto traccia, le ambizioni di Parigi nel costruire quella “autonomia strategica” europea a cui avrebbe dovuto essere dedicato il semestre di presidenza francese iniziata il primo gennaio scorso.

Mentre tra gli alleati americani in Occidente il fronte anti-russo continua ad apparire più o meno compatto, quanto meno a livello ufficiale, in altre aree del pianeta come nel continente asiatico le pressioni di Washington per isolare Mosca sono finora in larga misura inefficaci. Uno dei punti deboli della strategia degli Stati Uniti rimane l’India, il cui governo ha preso atto in fretta delle implicazioni esplosive per la sicurezza e per l’economia del proprio paese delle dinamiche innescate dalla crisi ucraina. Le resistenze di Delhi sono forse l’elemento più sgradito alle manovre della Casa Bianca per rimodellare gli equilibri mondiali, visto che, nel caso dovessero persistere, rischiano di scompaginare non solo i piani contro la Russia, ma anche quelli per il contenimento della Cina.

Mentre il presidente americano Biden è sbarcato in Europa per pianificare il prossimo passo del suicidio politico ed economico del vecchio continente, dopo un mese di guerra qualcuno da questa parte dell’Atlantico sta iniziando forse a prendere coscienza che l’asservimento agli interessi degli Stati Uniti ha portato questa volta a pestare i piedi al paese sbagliato. Gli eventi di queste settimane, culminati per il momento nella decisione di Putin di chiedere pagamenti in rubli per le vendite di gas e petrolio, stanno infatti dimostrando come i piani occidentali per provocare l’intervento di Mosca in Ucraina rischiano di diventare un clamoroso boomerang, fondamentalmente per via di due fattori: la qualità dell’apparato militare e la vastità delle materie prime a disposizione della Russia.

L’intervento in videoconferenza del presidente ucraino Zelensky al parlamento italiano nella giornata di martedì ha ricalcato i toni dei discorsi tenuti recentemente davanti ai rappresentanti di assemblee legislative di altri paesi europei e non solo. Come nelle precedenti occasioni, l’ex comico televisivo, reduce dalla firma su un decreto che soffoca ulteriormente qualsiasi attività dell’opposizione politica nel suo paese, si è profuso in una valanga di menzogne, in linea con la gigantesca macchina della propaganda in azione in tutto l’Occidente. L’obiettivo di Zelensky, così come di quello del successivo patetico discorso in aula del presidente del consiglio Draghi, è di aumentare le pressioni internazionali sulla Russia, col rischio sempre più concreto di innescare un conflitto inutile e dalle conseguenze difficilmente calcolabili.


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