di Eugenio Roscini Vitali

Al di là delle reciproche accuse e di una sterile retorica fatta di date e di numeri, quando il lampo dei cannoni inizia a squarciare l'aria e dal cielo cadono migliaia di palline colorate che tanto assomigliano a giocattoli, ma che in realtà sono strumenti di guerra che, anche dopo anni, possono straziare la vita dei civili. E’ impossibile sapere come andrà a finire o quanto durerà o fare un conto esatto di quale sarà il prezzo da pagare, quante le vite umane e quanto il dolore. E al di là di quello che veniamo a sapere dalla fredda sintesi dei media, quando dai quartieri in fiamme iniziano ad alzarsi dense colonne di fumo e le case e le scuole diventano roghi e macerie che cancellano la storia di intere comunità, è difficile risalire alle ragioni che hanno portato all’inizio della guerra. Sono questi i pericoli che corre il popolo del Nagorno-Karabakh, la regione caucasica che Armenia ed Azerbaigian si contendono da quasi vent’anni e che presto potrebbe tornare ad essere il teatro di un nuovo sanguinoso conflitto, peggiore di quello che dell’agosto scorso ha visto Russia e Georgia contendersi l’Ossezia del sud e le cui conseguenze avrebbero effetti devastanti sul futuro di entrambe i paesi.

di Elena Ferrara

E’ proprio indecifrabile Kim Jong Il, leader della Corea del Nord. Dopo aver tanto reclamizzato l’area di libero scambio istituita a Kaesong, a cavallo tra le due Coree, a 60 chilometri da Seul, ha deciso di mandare tutto all’aria annullando i contratti con il Sud, proprio in questa area industriale che doveva segnare il rilancio generale di una economia allo stremo. E così Pyongyang torna al centro dell’attenzione. Lo fa con un annuncio della sua agenzia di stampa Kcna dove si rende noto l'annullamento di tutti i contratti e i regolamenti relativi al complesso industriale di Kaesong, che ha oggi oltre duecentomila abitanti. E si precisa anche che ora il Nord imporrà nuove regole sul lato del suo “poligono” e di conseguenza "le imprese della Corea del Sud devono accettare incondizionatamente le decisioni" o "lasciare l'azienda".

di mazzetta

L'abbozzo di rivoluzione iraniana sembra aver preso di sorpresa tutti. Sicuramente sorpreso è stato il gruppo al potere nel paese, che si è ritrovato chiaramente di fronte a qualcosa d'inatteso; ancora più sorprese sono apparse le agenzie d'informazione e le cancellerie occidentali. Anche in Israele ci sono rimasti male e sono passati da un iniziale entusiasmo per la vittoria di Ahmadinejad all'afasia di fronte al mutare dello scenario. La sorpresa denuncia l'inerzia dell'Occidente, che si era appena convinto a mutare rotta nei confronti dell'Iran di Ahmadinejad, anche sotto l'impulso dell'amministrazione Obama e che si è trovato all'improvviso superato dalla cronaca. Estremamente prudente è stata quindi la reazione delle cancellerie e dei media occidentali, tanto che proprio i media più vicini alle fazioni neo-conservatrici sono state le più svelte a sostenere la legittimità dell'affermazione del presidente uscente e a sorvolare sulle manifestazioni, inizialmente liquidiate come fisiologiche. Non per niente tra i primi a congratularsi con Ahmadinejad sono stati proprio il leader pachistano Zardari e quello afgano Karzai, segno che avevano chiaro come questo non costituisse uno sgarbo a Washington.

di Stefania Pavone


Attesissimo e contornato da tanti punti interrogativi, da giorni e giorni di indiscrezioni, il discorso di Bibi, il più atteso della storia d’Israele, non ha sorpreso davvero nessuno. Si alla Road Map, dice Nethanyau, in risposta alle sollecitazioni dell’Obama speech del Cairo; ma no e ancora no ad uno stato palestinese veramente libero. E se Washington indica come “passi significativi” le parole di Bibi, Abu Mazen e la moderata Al Fath fanno sapere che il processo di pace è bello che morto e sepolto. La Palestina che vuole Nethanyau, insieme ad una coalizione di destra estrema che si è preoccupata di indirizzare politicamente le coordinate del discorso del premier, sarà uno stato satellite, completamente demilitarizzato, senza Gerusalemme come propria capitale. Il sì di Nethanyau alla sovranità sui territori occupati dai palestinese sbianca lentamente, mano a mano che corrono le parole nell’aria infuocata dell’aula magna del Be- Sa Center di Tel Aviv.

di Michele Paris

Dopo molte settimane durante le quali sui media occidentali si sono sprecate le testimonianze di un impetuoso movimento di protesta, composto da giovani, intellettuali e dalla classe media iraniana in appoggio al riformista moderato Mir-Hossein Mousavi, sono bastate solo un paio d’ore dopo la chiusura dei seggi all’agenzia di stampa governativa IRNA per proclamare la vittoria a valanga del candidato uscente Mahmoud Ahmadinejad. Se anche i timori suscitati dalle richieste di riforma della rivoluzione verde - il colore adottato dai sostenitori di Mousavi nel corso della campagna elettorale - hanno verosimilmente spinto ad un compattamento del fronte conservatore nel paese, forti dubbi persistono sulla legittimità di un voto che, in ogni caso, è stato accolto con un certo sollievo anche in qualche capitale mediorientale ed occidentale.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy