di Michele Paris

Spezzando bruscamente una tendenza che nei primi mesi del 2009 aveva allargato il diritto alle unioni omosessuali negli Stati Uniti, la Corte Suprema della California ha assestato un colpo mortale ai matrimoni gay in questo Stato. La decisione del supremo tribunale californiano ristabilisce un divieto che era stato sanzionato tramite referendum lo scorso mese di novembre, dopo che la stessa Corte Suprema, nel maggio del 2008, aveva proclamato il diritto costituzionale dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. All’unanimità la Corte ha invece stabilito la legalità dei circa 18.000 matrimoni celebrati nei mesi che hanno preceduto la bocciatura degli elettori. I sostenitori dei diritti LGBT hanno già annunciato battaglia, promettendo una nuova consultazione popolare per il prossimo anno.

di Stefania Pavone

Nonostante l’embargo di Gaza continui con morti e sempre più morti e il cerchio del dolore strangola nella morsa l’intera economia palestinese, il dialogo di pace è ripartito. L’ottimismo obamiano è stato subito gelato a Washington dalle richieste perentorie di un combattivo Nethanyau. La destra israeliana, che ha nel Primo Ministro la sua voce più piena, ha posto come condizione il riconoscimento di Israele come stato ebraico da parte di tutte le forze che lavorano per la liberazione della Palestina. Ovviamente nessuno Stato palestinese è nella mente di Nethanyau. Parole che hanno gelato il presidente americano e una diplomazia che si preparava a tessere la tela della politica negli intricati nessi della questione mediorientale. Ma cosa vuole ottenere esattamente Nethanyau con le sue richieste?

di Giuseppe Zaccagni

Dopo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, convocato con urgenza dalla presidenza russa, anche i capi della diplomazia d’Asia e dell’Unione Europea hanno condannato il test nucleare compiuto nella giornata di lunedì dalla Corea del Nord. Per i ministri, riuniti ad Hanoi per l'Asem (Asia-Europe Meeting), il test nucleare di Pyongyang costituisce una “violazione evidente” delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu e degli accordi conclusi nel corso delle trattative a sei fra le due Coree, la Cina, il Giappone, gli Stati Uniti e la Russia. I Quindici hanno deciso di preparare una risoluzione che comporterà una serie di nuove sanzioni nei confronti del governo di Pyongyang. “I membri del Consiglio - ha dichiarato l'ambasciatore russo Vitaly Ciurkin al termine della riunione - hanno espresso la loro forte opposizione e la loro condanna del test nucleare effettuato il 25 maggio 2009 dalla Corea del Nord, il quale costituisce una chiara violazione della risoluzione 1718 del Consiglio”, e hanno deciso di “iniziare immediatamente a lavorare su una risoluzione”.

di Carlo Benedetti

Sulla rotta di Gengis Khan, ma questa volta in senso contrario. La Russia di Putin-Medvedev riparte (dopo la parentesi “sovietica” del Comecon) alla conquista della Mongolia e sempre alla ricerca di risorse tradizionali come oro, carbone e rame. Ma si sa che nel mirino del Cremlino ci sono le grandi riserve di uranio che il governo di Ulaan Baatar nasconde nei suoi armadi del potere. Mosca sta infatti facendo incetta di questo “metallo” d’importanza strategica e attualmente utilizzato, principalmente, per la produzione d’energia nei reattori e nelle armi nucleari. La “fame” di uranio è quindi notevole, pur se i russi ne hanno in abbondanza. Ma quello della Mongolia ora fa gola. Tanto più che lo stesso primo ministro mongolo, Sanjaagiin Bayar, parlando con Putin ha dichiarato che “la Russia e la Mongolia devono accelerare la procedura per realizzare una joint venture per la produzione di uranio”.

di Michele Paris

L’entusiasmo con cui Obama aveva annunciato fin dall’inizio della sua campagna elettorale la volontà di riformare l’intero sistema sanitario americano, per giungere ad una copertura universale in tempi relativamente brevi, sta rapidamente scemando di fronte all’azione di molteplici fattori. La mancanza di chiarezza mostrata dal neo-presidente circa il modello da perseguire, assieme alle resistenze dei congressisti repubblicani e degli stessi democratici moderati, sta infatti ritardando i tempi della riforma e, quel che è peggio, pare stia assestando un colpo mortale all’unica vera soluzione in grado di fornire una qualche forma di assistenza ai circa 45 milioni di americani non assicurati: un piano di copertura sanitaria gestito dal governo federale. Un vero e proprio incubo quest’ultimo per le compagnie di assicurazione private che promettono di collaborare attivamente con la nuova amministrazione, così da evitare l’approdo ad un programma pubblico che rappresenterebbe per loro una concorrenza insostenibile.


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