di Giuseppe Zaccagni

Tutti insieme, appassionatamente, questa mattina al Senato per la “Giornata celebrativa dedicata al 60mo anniversario dell’Alleanza atlantica”. Cose in grande, con diretta da Sky e un ovvio intervento del presidente del Senato Schifani. Hanno preso la parola (dopo il saluto di Sergio De Gregorio, presidente della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare Nato e la relazione di Enrico La Loggia, presidente del Comitato Atlantico italiano) personaggi come Bruce George e Karl A. Lamers. Sul podio della “Giornata” (una vera manifestazione d’impotenza) c’erano il presidente del comitato militare della Nato, ammiraglio Giampaolo Di Paola, con Giulio Andreotti, Massimo D'Alema, Piero Fassino, Franco Frattini, Paolo Guzzanti, Giorgio La Malfa, Franco Marini, Lech Walesa. L’occasione, si è detto, è quella di un bilancio di sessant'anni di storia e una riflessione sui nuovi scenari. Con una certa Italia che “fa festa” e che cerca, ovviamente, di far dimenticare le tante realtà storiche dell’avventura atlantica.

di Carlo Benedetti

Certo, non siamo a Fulton, negli Usa, quando in nel marzo del 1945 Churchill prefigurò l’Europa e il mondo divisi con quella sua affermazione divenuta poi storica ( “da Stettino nel Baltico fino a Trieste sull’Adriatico una cortina di ferro è calata sul continente”). No, i venti della guerra fredda sono lontani, la Mosca di Medvedev non è più quella di Stalin e Washington non è più quella di Truman. Eppure c’è un temporaneo raffreddamento del clima che le diplomazie mondiali segnalano con preoccupazione. Perché a Bruxelles – dove si doveva sancire la ripresa di un dialogo Est-Ovest - nel corso della riunione del consiglio Nato-Russia della settimana scorsa si è verificata una situazione d’allarme. La riunione, dopo una sospensione durata ben otto mesi, si è sciolta nel giro di poche ore e, di conseguenza, riproponendo ciclicamente il tradizionale “scontro” tra le due parti.

di mazzetta

L'Italia è uno dei paesi fondatori dell'Unione Europea, la qual cosa vorrebbe il nostro paese in prima fila nell'amministrazione dell'Unione, ma purtroppo la situazione è molto diversa e negli ultimi anni ha teso a deteriorarsi. Fin dalla fondazione l'ideale europeista ha goduto in forte gradimento popolare e trasversale nel paese. Al di là delle retoriche di segno diverso, che hanno cercato di spiegare questo favore tirando ciascuna l'acqua al proprio mulino, l'evidenza ci dice che gli italiani hanno guardato all'Europa come ad una speranza: la speranza di essere un giorno amministrati da politici migliori di quelli italiani e, di conseguenza, di riuscire a raggiungere standard europei -nonostante- una classe dirigente per nulla interessata allo stesso obiettivo.

di Michele Paris

L’annuncio del ritiro dal proprio incarico di giudice associato della Corte Suprema degli Stati Uniti di David H. Souter, previsto per il prossimo mese di giugno, ha messo nelle mani di Barack Obama - chiamato a nominare il suo successore - l’ennesima patata bollente di questa prima fase della sua presidenza. Designato al supremo tribunale americano nel 1990 da George H. W. Bush, Souter aveva da subito deluso le aspettative dei repubblicani, contraddistinguendosi piuttosto per le sue inclinazioni liberal. Nonostante la scelta del suo successore non finirà quindi per modificare gli equilibri all’interno della Corte - dove attualmente a quattro giudici che si collocano generalmente su posizioni conservatrici e ad altrettanti su posizioni progressiste, si affianca un moderato (Anthony M. Kennedy) che si schiera a seconda dei casi con l’uno o l’altro schieramento - i repubblicani stanno già affilando le armi in vista della battaglia al Senato per la conferma del futuro candidato del presidente, il quale potrebbe però cercare un compromesso all’insegna della moderazione per non mettere a repentaglio le trattative in corso con l’opposizione sui molti temi caldi della propria agenda politica.

di Eugenio Roscini Vitali

“Non dico che Mahmoud Ahmadinejad è un agente del Mossad. Assolutamente no, non voglio essere citato in giudizio per diffamazione. Sto solo dicendo che se lo fosse non si sarebbe comportato diversamente. E anche che se non fosse esistito il Mossad avrebbe dovuto inventarlo”. Parole che fotografano una situazione evidente, l’eccesso comportamentale di un capo di Stato che Uri Avnery, scrittore e pacifista israeliano, analizza in un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa palestinese Ma’an: “Can two walk together?” Il riferimento è al discorso pronunciato dal presidente iraniano il 20 aprile scorso alla Conferenza sul Razzismo di Ginevra, vertice promosso dalle Nazioni Unite e disertato da Israele, Stati Uniti, Italia, Australia, Canada, Olanda, Polonia, Nuova Zelanda e Germania. Una messa in scena, per altro preannunciata, che ha offeso l’oggetto stesso della riunione ma che alla fine ha ottenuto il risultato desiderato: creare confusione e dividere.


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