di Eugenio Roscini Vitali

Sono passati trent’anni dai giorni di piazza Djaleh, trent’anni da quando la polizia dello Shah ha colpito i manifestanti e ha represso nel sangue la protesta del popolo iraniano. Una rivolta inarrestabile che si sarebbe presto trasformata in Rivoluzione e che avrebbe rovesciato una dinastia serva delle grandi potenze e cacciato la sua polizia segreta, assassina e sanguinaria. Sono passati trent’anni da quando i giovani di Teheran hanno deciso di dare vita ad un sogno che avrebbe dovuto trasformare la millenaria monarchia persiana in una Repubblica fatta di giustizia, speranza e rivincita; un progetto che si è invece trasformato in una teocrazia opprimente e viscerale e di cui oggi i loro stessi figli sono vittime. Violenza, torture, arresti e condanne esemplari che ora, come allora, tornano a riproporci lo stesso linguaggio e lo stesso stile usati in quegli anni. Una frattura totale, che coinvolge la “vecchia” e la “nuova” generazione, divise trasversalmente da profonde differenze ideologiche e da una sostanziale capacità di vedere la vita.

di Michele Paris

Il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate honduregne, Romeo Vásquez Velásquez, al centro della disputa che ha condotto al colpo di stato nei confronti del deposto presidente Manuel Zelaya, condivide con una folta schiera di golpisti, dittatori e torturatori centro e sudamericani un periodo di addestramento militare presso la famigerata “School of the Americas” (SOA) in territorio statunitense. Ribattezzata nel 2001 “Western Hemisphere Institute for Security Cooperation” (WHINSEC), la struttura del Dipartimento della Difesa americano dal 1984 trasferita da Panama a Fort Benning, in Georgia, ha formato nell’ultimo mezzo secolo oltre 60 mila membri di polizie ed eserciti latinoamericani, molti dei quali coinvolti in colpi di stato e violazioni dei diritti umani nei propri paesi di origine. Fondamentalmente, la scuola di Panama servì ad addestrare gli sherpa militari latinoamericani che, all’obbedienza dovuta a Washington, avrebbero sacrificato gli interessi dei propri paesi.

di Giuseppe Zaccagni

A Roma Napolitano ricorda al presidente cinese Hu Jintao il problema del rispetto dei diritti umani. Ma nello stesso tempo nella lontana Urumqi, capitale della regione del Xinjiang (con una popolazione di circa 2.100.000), la polizia di Pechino si scaglia contro gli uiguri musulmani scesi in strada per protestare contro le sopraffazioni del governo centrale. I morti sono oltre centocinquanta, gli arrestati circa 1500. La situazione è estremamente tesa e l’intera regione è a rischio di guerra civile. Tutto sta a dimostrare, comunque, che la repressione degli uiguri non è un caso isolato e che la Cina sta divenendo una sorta di polveriera. Soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra il governo centrale e le varie chiese. Ci sono protestanti in carcere e vescovi scomparsi.

di Elena Ferrara

Tramonta definitivamente il vecchio mito del voto bulgaro, inteso come un plebiscito comunista caratterizzato da comportamenti e metodi programmati e standardizzati. Ora, infatti, Sofia va decisamente a destra perché dalle urne (6,8 milioni di votanti su una popolazione di circa 7,7 milioni abitanti) esce il nuovo voto bulgaro che è tutto nel segno dei conservatori e dei reazionari. C’è stata, nei giorni scorsi, la vittoria del Gerb (Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria), il partito conservatore del sindaco di Sofia Boyko Borissov (che si è aggiudicato il 40% dei voti), un ex pompiere ed ex guardia del corpo del segretario comunista di un tempo, Todor Zhivkov. E c’è stato il conseguente crollo del partito socialista (Bsp) che negli ultimi quattro anni ha governato la Bulgaria in coalizione con il partito di centrodestra dell’ex re Simeone II (Ndsv) e il partito liberale della minoranza turca (Dps).

di Carlo Benedetti

La “prova del fuoco” tra Russia e Stati Uniti comincia oggi al Cremlino. Durerà sino a domani e solo allora si potrà fare il vero bilancio della situazione e comprendere sino a che punto l’americano Obama e il russo Medvedev (sempre sotto il controllo di un Putin che appare più fedele a quella ortodossia di vecchio stampo…) avranno raggiunto intese di rilievo sul processo dei negoziati per la riduzione degli arsenali nucleari. Le trattative in merito erano iniziate ad aprile, dopo l'incontro tra i due leader a Londra, ma ora la scadenza a dicembre del trattato Start-1 rende più urgente la questione, anche in relazione all’impetuoso evolversi delle due società. E sempre a Mosca Obama si occuperà anche di archeologia politica, incontrando l'ex leader del Cremlino Michail Gorbaciov, oltre a diversi esponenti della società russa. Sarà una sorta di ricognizione di facciata per dimostrare che gli Usa non dimenticano il passato e vogliono avere sempre sottomano una chiave di lettura organica.


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