di Eugenio Roscini Vitali


Dopo aver occupato per oltre tre settimane la Casa del governo, ormai accerchiate da centinaia di soldati ed agenti della polizia schierati in assetto anti-sommossa, le “camice rosse” si sono arrese e in Thailandia ha preso il via l’ennesima resa dei conti: Abhisit Vejjajiva, primo ministro sostenuto dalla coalizione di destra, Alleanza Popolare per la Democrazia (PAD), rimane al suo posto; mandato di arresto e revocato del passaporto per l’ex premier Thaksin Shinawatra, deposto nel settembre 2006 con un golpe incruento ed attualmente in esilio tra Londra, Dubai ed Hong Kong; fermati tre leader dell’opposizione e ordinato l’arresto di altri 13 membri del Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura (UDD), due dei quali, Jakrapob Penkair e Jatuporn Pompan, sarebbero già fuggiti all’estero; mandato di cattura per Jatuporn Promphan, leader politico delle “camicie rosse”. Le forze di sicurezza e mezzi blindati rimangono schierati nei punti nevralgici della capitale; lo stato d'emergenza non viene revocato; il bilancio finale degli scontri parla di due morti di oltre 100 feriti; migliaia gli arresti.

di Carlo Benedetti

Sono proprio contate le ore di Michail Saakashvili, l’autocrate fascista che ha cercato sino ad oggi di dominare la Georgia forte dell’appoggio di quella che fu l’America di Bush. Il paese è in ebollizione. A Tbilisi partono strali acuti e mortali contro il palazzo del potere. La contestazione è più che mai forte e decisa. Non si accettano più le manovre del presidente e decine di migliaia di persone manifestano per chiederne le dimissioni. Nella piazza del Parlamento si radunano circa 25.000 manifestanti mentre cominciano a formarsi i comitati regionali per la disobbedienza civile. A Saakashvili si contestano una serie di insuccessi. A partire dalle operazioni militari della scorsa estate contro la Russia che hanno portato alla perdita del 20% del territorio georgiano per giungere all’accusa di non aver rispettato le regole democratiche e i diritti umani.

di Michele Paris

Pochi giorni fa, la Corte Suprema del Perù ha emesso una sentenza esemplare nei confronti dell’ex presidente Alberto Fujimori, condannandolo a 25 anni di carcere per omicidio, sequestro aggravato, percosse e crimini contro l’umanità. Le accuse mosse contro Fujimori si riferiscono ad assassini e rapimenti commessi dal gruppo paramilitare La Colina tra il 1991 e il 1992 con l’esplicita autorizzazione presidenziale. Lo storico verdetto rappresenta la prima condanna di un presidente democraticamente eletto ed estradato dall’estero verso il proprio paese per essere processato per crimini di tale gravità. Oltre alle testimonianze schiaccianti di ex membri dello squadrone della morte peruviano, impegnato in operazioni militari contro i gruppi ribelli maoisti Sendero Luminoso e Tupac Amaru (MRTA), fondamentali nel processo contro “El Chino” - così soprannominato, nonostante le origini nipponiche - sono stati decine di documenti desecretati dal governo americano.

di Fabrizio Casari

Fine delle restrizioni per i viaggi e le rimesse in denaro. Il milione e mezzo di cubani residenti negli Usa, potranno recarsi quando vogliono a Cuba e saranno liberi, da ora, d’inviare la quantità di denaro che vogliono ai loro parenti sull’isola. Inoltre, le compagnie telefoniche statunitensi potranno chiedere regolari licenze di operatori per la telefonia cubana. Il Presidente statunitense Barak Obama, nel processo di smantellamento graduale delle politiche dell’Amministrazione Bush - che imponeva un viaggio ogni tre anni e un massimo di cento dollari mensili nell’invio di denaro - ha deciso di muovere un primo, significativo passo, verso la normalizzazione delle relazioni con Cuba. Non è ancora quello di cui c’è bisogno, ma è comunque qualcosa d’importante. Dopo quasi cinquant’anni di blocco, eufemisticamente definito embargo, anacronistico nelle sue logiche e criminale nei suoi effetti, gli Usa annunciano, pur con ogni prudenza, l’inizio di una nuova fase nella loro politica verso l’isola socialista.

di Mario Braconi

Era prevedibile ed é successo. Dopo che da due giorni anche i carri armati avevano fatto la loro comparsa per le strade di Bangkok, l'esercito ha usato per la prima volta armi vere. In rappresaglia i militanti hanno spinto pesanti autobus di linea contro i soldati, e il conto finale parla di due morti sul campo e decine di feriti - sembra un'ottantina - da entrambe le parti. L'assalto al ministero dell'Educazione, dato alle fiamme con bottiglie molotov, ha provocato nuove cariche in serata. "Finora abbiamo usato misure blande", ha dichiarato un portavoce dell'esercito. "Ma se sarà necessario passeremo a quelle più forti". Così il Primo Ministro Abhisit Vejjajiva tenta di dare concretezza alle minacce di un maggior rigore nei confronti dei dimostranti in camicia rossa, che hanno messo così gravemente in imbarazzo il suo governo impedendo lo svolgimento del meeting dell’ASEAN che si sarebbe dovuto tenere in una struttura alberghiera sulla spiaggia di Pattaya.


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