di Bianca Cerri

La leggenda degli iracheni che gettavano i loro bambini nel mare per costringere le navi di passaggio a raccoglierli e trasportarli fino ai porti australiani, fu inventata dal governo Howard per giustificare l'uso della forza contro le imbarcazioni dei profughi che tentavano di raggiungere le coste australiane. Smentito dagli stessi ufficiali di Marina chiamati in causa per avvalorarla, il primo Ministro diede loro dei bugiardi, iniziando così un odioso tira-molla che la dice lunga sulle politiche per l'immigrazione di Canberra. Dopo dieci anni di governo di destra l'Australia è divenuta una brutta copia degli Stati Uniti e, dietro un'ingannevole facciata democratica, si nascondono mercati impazziti e negazione assoluta dei diritti umani. I giornali fanno a gara per esaltare la "missione di pace" in Iraq e Afghanistan dei militari australiani, ma prestano pochissima attenzione agli iracheni e agli afghani che annegano al largo delle coste di casa nell'inutile tentativo di ottenere asilo politico.

di mazzetta

Non si può dire che l'amministrazione Bush manchi di determinazione nel conseguire le proprie determinazioni strategiche, per quanto spesso queste si rivelino sballate. All'indomani del 9/11 l'Amministrazione prese l'impegno di diminuire la sua dipendenza dal petrolio mediorientale e di sostituire quella fonte con petrolio di origine africana. Oggi, nel Maggio 2006, si può dire che questo riassetto sia quasi stato portato a termine, visto che l'Africa ha superato il Medioriente come area fornitrice di petrolio degli Stati Uniti. La questione è gravida di conseguenze sugli equilibri globali, sia perché i maggiori clienti degli Stati del Golfo sono ora europei ed asiatici, sia perché il nuovo assetto lascia agli USA mano libera nell'esercitare pressioni militari nella stessa area del Golfo e gli stessi USA diventano così ancora più protagonisti della politica africana, con grande danno delle popolazioni del continente.

di Fabrizio Casari

L'hanno chiamata Partnership of the Americas, ma sarebbe più giusto definirla una mostra di muscoli da parte degli Usa. Le manovre militari nel mar dei Caraibi, in corso dallo scorso mese di Aprile e la cui fine è prevista per gli ultimi giorni di maggio, vedono uno schieramento bellico impressionante, fatto di tre portaerei, sottomarini nucleari, decine di F16, seimilacinquecento soldati. Ad Aruba, quindi a soli 15 miglia dalle coste del Venezuela, sono state effettuate simulazioni di sbarco di truppe e la cosa, ovviamente, non è piaciuta al governo di Caracas. Che oltre ad avere memoria sufficiente per ricordare Granada e Panama, ha qualche buona ragione per temere le minacce di Washington, negli ultimi tempi ulteriormente accentuate dalle accuse di "destabilizzazione" della regione, seguite da quelle - non meno infamanti - di proteggere i terroristi e di non combattere il traffico di droga nel continente.

di mazzetta

La situazione in Ciad non risparmia i colpi di scena esponendo gli scontati meccanismi che da sempre generano le guerre nell'epoca moderna. Il presidente del Ciad, Idriss Deby, sta fronteggiando una ribellione; una ribellione decisamente interna, tanto che a ribellarsi al suo dispotismo rifiutando le prossime elezioni-farsa sono i componenti della sua stessa etnia.
Il Ciad è uno dei paesi più poveri del mondo, ma dal 2003 esporta petrolio: quest'anno ne esporterà 170.000 barili, andando ad insidiare il posto di terzo produttore di petrolio africano occupato dalla Guinea equatoriale. Deby è riuscito a respingere un attacco alla capitale e accusa i ribelli di essere uno strumento del vicino Sudan per espandere l'islamismo estremista nell'Africa Centrale. I ribelli a loro volta accusano la Francia, che considera Deby legalmente eletto, di aver protetto il dittatore.

di Cinzia Frassi

La questione iraniana è ancora sul tavolo internazionale, sotto gli occhi del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, degli Usa e degli altri paesi membri permanenti del Consiglio e dell'Iran. E' lì, pressoché inalterata, nonostante la fatidica data sia scaduta da qualche giorno. Forse si è un po' sgonfiata quella sensazione di inevitabilità del peggio creata esattamente nel momento in cui in questa vicenda e per la prima volta si è parlato di Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
Ciò che è accaduto all'indomani dell'11 settembre e la conseguente azione in Iraq, ci ha segnato tutti. Oggi però il problema nei confini americani sembra essere prima di tutto l'opinione pubblica, e senza quest'ultima nemmeno George W. Bush e il suo falco possono fare mosse azzardate, almeno per ora. A Manhattan sono scesi in piazza i pacifisti al fianco di Cindy Sheehan, la madre pacifista che da mesi sfida il Presidente a spiegare le ragioni "vere" per le quali abbia portato l'America in guerra in Iraq e per quei 2400 soldati che non ne sono usciti vivi.
"Basta con la guerra, a casa le truppe", questo grida la grande mela pacifista, una voce che risuona nelle orecchie del Presidente impedendo sicuramente opzioni altrimenti percorribili per la soluzione della questione Iran.


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