di Bianca Cerri

Nel novembre del 2004, Chris Magaoay sentì bruciare improvvisamente la fiamma del patriottismo e si arruolò nell'aviazione USA. Sposato da pochi mesi, era convinto di non avere altra soluzione per garantirsi un reddito sicuro e la possibilità di continuare a frequentare l'università. Oggi Magaoy fa parte dell'immensa folla di militari americani in esilio che hanno preferito rischiare di finire davanti alla Corte Marziale piuttosto che tornare in Iraq o in Afghanistan. Secondo i generali del Pentagono, la diserzione sarebbe un fenomeno passeggero, dovuto soprattutto ai problemi finanziari e personali che affliggono alcuni soldati. Ma Jeffrey House, avvocato che assiste Chris Magaoay smentisce drasticamente questa tesi. Il suo cliente e tutti gli altri hanno preferito la clandestinità ad una guerra insensata e sanguinaria. L'avvocato House sa bene cosa significhi riparare in un paese straniero, perché ai tempi del Vietnam fu costretto a cercare rifugio in Canada per non essere arrestato. Allora passare la frontiera era più facile, oggi bisogna avere un visto rilasciato nella città di residenza o si viene respinti. Nel caso di Magaoay, le guardie di confine non hanno messo ostacoli al suo ingresso perché l'ex-aviere era in compagnia della giovanissima moglie e i due sono stati scambiati per una coppia in viaggio di nozze. Ora il loro futuro appare molto incerto. Non appena la polizia è stata informata che l'uomo era fuggito dall'esercito USA ed esisteva un mandato di cattura nei suoi confronti il permesso di soggiorno gli è stato revocato e non si sa cosa abbiano in mente le autorità.

Chris Magaoay, che è di origine hawaiana, sa che lo attendono giorni molti difficili ma non è pentito della sua decisione. Ci tiene a far sapere che non si è trattato di una scelta "umorale" o dettata dall'insofferenza alla disciplina. Si trovava ancora nella base aerea di Palms, in California, quando aveva sentito i suoi commilitoni ridere a crepapelle rievocando le torture imposte ai prigionieri iracheni, 44 dei quali morirono perché incapaci di sopportare oltre il dolore e le privazioni. Lo addolora molto che la famiglia non abbia approvato la sua scelta di lasciare l'esercito ma era troppo nauseato per indossare ancora la divisa. Ha preferito unirsi ai 40.0000 militari che tra il 2000 ed oggi sono usciti dall'esercito USA, 20 dei quali hanno chiesto asilo politico al Canada.


Ryan Johnson è fuggito insieme alla moglie Jenna, Sono riusciti ad entrare in Canada attraverso un sentiero tracciato dai pacifisti proprio per agevolare la fuga dei militari. Si trova invece nel carcere militare di Fort Lewis il tenente Eheren Watada, che il portavoce del Pentagono ha definito "un codardo che pretende di fare la guerra secondo i suoi dettami personali: il che è insensato." La fuga di Watada ha particolarmente irritato i capi militari perché non era mai accaduto che un ufficiale abbandonasse di punto in bianco l'esercito. Ma a Fort Lewis ci sono già almeno altri dieci disertori. Tutti hanno deciso di non tornare in Iraq anche a costo di finire in prigione, come infatti è avvenuto.


I militari che scelgono l'incertezza di una vita da clandestini o la dura detenzione di un carcere militare pur di non fare la guerra hanno messo in crisi l'amministrazione Bush, accusata di aver invaso illegalmente l'Iraq dopo aver raggirato il paese con la fandonia delle armi di distruzione di massa. D'altra parte, il Pentagono non ha ancora perdonato i soldati che fuggirono lontano all'epoca del Vietnam e li sta ancora cercando. Jerry Texeiro è stato rintracciato ed arrestato a quaranta anni esatti di distanza dal giorno della sua diserzione. Alcuni, come Buck McQueen, hanno cambiato nome e non vogliono saperne di tornare. McQueen fuggì dal Vietnam dopo il massacro di My Lai, approfittando di una licenza.


Nel 1977, l'allora presidente Carter offrì ai disertori una specie di sanatoria ma su 350.000 meno di 27.000 presentarono i documenti necessari. Detto altrimenti: solo il 16-17% di coloro che erano fuggiti lontano dalla guerra presentarono i documenti necessari per tornare in patria.

Per paura che aumenti il numero dei soldati che prendono il largo per poi denunciare gli orrori della guerra, il Pentagono si fa affiancare da alcune agenzie private che hanno il compito di prevenire le fughe e di segnalare i ritrovamenti. Spesso basta la spiata di un parente maligno per rintracciare un uomo o una donna sconvolti dalle atrocità cui hanno assistito. Le segnalazioni vengono poi controllate dai Comandi Militari e gli eventuali delatori possono anche servirsi della rete.

Attualmente i militari assegnati alle zone di guerra non possono rassegnare le dimissioni prima del periodo di ferma previsto. Qualora si allontanino per un periodo superiore ai trenta giorni dalla base vengono automaticamente considerati dei disertori. Una volta rintracciati vengono prima trasferiti in un carcere militare, poi condannati ad una pena che può arrivare fino a cinque anni di detenzione. Per la verità, Bush vorrebbe pene più severe per i disertori, che considera nemici della patria a tutti gli effetti. Detto da un uomo che mentre i coetanei morivano a grappoli nelle zone paludose del sud est asiatico scorazzava in fuoriserie passando ubriaco da una festa all'altra, è quasi un complimento.

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