di Elena Ferrara

Come singoli, forse, si può essere cinicamente favorevoli, contrari o indifferenti. Ma un dato è invece certo: lo Stato non può consentire di decidere le sorti di una persona. Si dice: tertium non datur. E così l’uso della “pena di morte” diviene il punto centrale, nodale, della civiltà umana. Ma ora l’Onu con tutta la sua forza ed autorevolezza che interviene nel dibattito prendendo una posizione netta: un “no”. Questa dichiarazione di civiltà acquista ora una dimensione planetaria grazie al fatto che a Parigi si è riunito un “Congresso mondiale contro la Pena di morte”, che ha adottato una dichiarazione che, per la prima volta nella storia del movimento abolizionista, contiene l'unanime riconoscimento dell'importanza di una moratoria universale. E così dopo aver reiterato la richiesta a tutti i Paesi di abolire la pena di morte e di fermare tutte le esecuzioni, il Congresso, "riconoscendo il grande valore che avrebbe per l'abolizione della pena di morte nel mondo il successo di una risoluzione dell'assemblea generale, invita i Paesi membri delle Nazioni Unite a fare tutto quanto è loro possibile per assicurare l'approvazione di una risoluzione che chieda una moratoria immediata e universale delle condanne a morte e delle esecuzioni in vista dell'abolizione universale".

di Carlo Benedetti


Le “presidenziali” della Russia sono fissate per il 2008, ma Putin accelera i tempi. Ha già detto – rispettando i dispositivi istituzionali – che non si ricandiderà. E così, mentre a Mosca è cominciato il toto-presidente, è proprio lui che si preoccupa di fissare le regole del gioco. Con una mossa a sorpresa sconvolge schieramenti e cordate. Porta al vertice una nuova trojka di suoi compaesani e uomini del Kgb. Allontana dalla scena, almeno per ora, l’ambizioso e carrierista vice primo ministro Medvedev – vera incognita nella schiera della nuova nomenklatura - e sistema nelle stanze del Cremlino: Serghej Ivanov, (che sino a ieri occupava contemporaneamente le cariche di vice primo ministro e ministro della Difesa, e lo nomina primo vice premier) e insedia Serghej Naryshkin – già responsabile dell’apparato governativo – nella poltrona di vice premier. Chiama quindi a ricoprire l’alto incarico militare (che era di Ivanov) Anatolij Serdiukov, sino a ieri capo del servizio federale fiscale.
Vediamoli, ora, da vicino questi personaggi dei quali sentiremo parlare sempre più spesso.

di Matteo Ghiglione e Giorgio Cavallaro

Strano destino quello dell’intervento militare in Afghanistan. La missione, che era stata creata in un clima di profondo consenso da parte dei paesi occidentali, arriva al suo sesto anno dilaniata da una profonda crisi. Per capire quanto grave sia il problema basta dare una occhiata alle parole del segretario Jaap de Hoop Scheffer: "Tutti sono consapevoli degli enormi progressi che sono stati fatti negli ultimi anni, ma si può fare di più e si deve fare di più". Detto in parole semplici: l’alleanza non riesce ad avanzare nella sua offensiva anti-talebana, anzi questi sono ogni giorno più forti. Scheffer ha chiesto ai paesi impegnati di aumentare il loro sforzo, inviando nuove truppe o permettendo l’utilizzo in zone di combattimento di quelle già dislocate. Il problema è che alcuni stati rifiutano di inserirsi in zone di guerra. Il vertice di Riga, del Novembre 2006, stabiliva un precario compromesso fra combattenti come USA o Gran Bretagna e i dislocati in aree pacificate come Italia, Germania e Francia. In vista della primavera, e quindi di una offensiva, il ministro della Difesa USA ha proposto di rivedere l’accordo in modo da far sì che tutte le truppe in Afghanistan combattano senza che vi siano “situazioni eccezionali”. E senza la necessità di ricorrere ogni volta all’autorizzazione dei governi nazionali.

di Daniele John Angrisani

La prima settimana di passione del Congresso americano sulla questione irachena è finita, come ci si attendeva, con l'approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti - 246 voti a favore e 182 contrari alla fine di una discussione molto animata - della risoluzione che boccia la richiesta di aumento delle truppe in Iraq. Un atto non vincolante, ma allo stesso tempo di forte valenza politica. Il Senato non è invece riuscito ad approvare la medesima risoluzione, per una questione procedurale che ha consentito ai repubblicani di bloccare la mozione, nonostante ieri 56 senatori abbiano votato a favore e 34 contro. Questo perché il regolamento del Senato USA, per proteggere i diritti della minoranza, da spesso facoltà all'opposizione di bloccare la discussione ed il voto su una risoluzione, a meno che non vi sia il voto qualificato di almeno 60 senatori su 100, a favore dello sblocco e del passaggio della risoluzione stessa per il voto definitivo nell’aula del Senato, cosa che in questo caso non è avvenuta.

di Bianca Cerri

Va bene lavorare come schiave per una paga da fame, senza assicurazione e senza assistenza. Passi pure che le ore di straordinario non vengono retribuite e che la pensione resta un’utopia. Ma essere discriminate e molestate sessualmente proprio non va giù al milione e duecentomila lavoratrici di Wal Mart, gigante della vendita al dettaglio, che hanno deciso di intraprendere una “class action”, ovvero un’azione legale collettiva per presunti danneggiamenti. Sono stanche di essere derise e sfruttate dalla famiglia più ricca d’America e per questo hanno deciso di passare ai fatti nella speranza di recuperare la dignità e i mancati diritti economici. Ma già che ci siamo, come fece Sam Walton, padre dell’attuale catena di grandi magazzini, ad arricchirsi? Facile: sposò Helen Robson, figlia di un uomo danaroso che gli prestò i soldi per realizzare il primo mega-emporio dell’Arkansas, un’idea di cui Walton si era appropriato rubandola di sana pianta ad un amico. Era il 1962 e la paga dei commessi non superava i 60 centesimi l’ora, molto al di sotto dei minimi salariali previsti. Per non avere noie, Walton assunse John Tate, suo buon amico nonché avvocato conosciuto come una vera bestia nera dei sindacati. Iniziò così il culto di Mr. Sam, la cui filosofia imprenditoriale consisteva nell’applicare prezzi più bassi della concorrenza al fine di accaparrarsi i clienti farà della Wal Mart una delle prime imprese mondiali oltre che immagine stessa dell’America.


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