di Fabrizio Casari

A meno di una settimana dalle elezioni presidenziali in Nicaragua, che potrebbero riportare al potere l'ex presidente sandinista, Daniel Ortega, il clima politico si è ulteriormente arroventato. Gli Stati Uniti, in concorso con la destra e con il presidente uscente Enrique Bolanos, danno fondo a tutte le risorse – lecite ed illecite – per impedire la vittoria dell’alleanza “Nicaragua trionfa” guidata, appunto, dal Comandante Daniel Ortega. Oltre all’ingerenza continua dell’ambasciatore Usa a Managua, Paul Trivelli, lo sbarco di personaggi della destra statunitense nella capitale è stato pressoché costante. Ultimo della lista l’ex tenente colonnello dei marines Oliver North, coordinatore per conto dell’Amministrazione Usa guidata da Ronald Reagan della guerra sporca dei Contras, da cui nacque l’operazione della compravendita di armi con l’Iran che, insieme al traffico di crack negli Usa, era destinata proprio a finanziare l’aggressione terrorista al Nicaragua sandinista degli anni ‘80. Lo scandalo denominato ”Irangate”, trovò proprio in Oliver North il capro espiatorio.

di Carlo Benedetti

Filoccidentale e con molte venature monarchiche, punta di diamante della Nato, scalpitante in attesa di entrare nell’Unione Europea, diffidente nei confronti della Russia di Putin: è questa, in sintesi, la Bulgaria del Presidente Georgij Parvanov, leader socialista che ha già vinto, con il 64% dei voti, il primo turno delle elezioni presidenziali e che ora dovrà affrontare la fase finale delle consultazioni. Tutto questo perché l´affluenza alle urne è stata nettamente inferiore al 50 per cento dei votanti (42,1%). E così domenica oggi si torna al voto. Sulla scena - con Parvanov certo di farcela - ricompare il suo principale rivale: Volen Siderov, l’uomo del partito nazionalista che ha basato la piattaforma elettorale sull’ostilità nei confronti delle minoranze turche e rom (ottenendo nella prima tornata il 21,5% dei voti) e l’ex presidente della Corte Costituzionale, Nedelcho Berenov, che non molla pur se confinato a un 9,7% che lo taglia fuori del grande gioco presidenziale.

di Alessandro Iacuelli

Nel pomeriggio del 27 ottobre 2005, a Clichy-sous-Bois, nella periferia parigina, due giovani, Bouna Traoré, 15 anni, e Zyed Benna, 17 anni, morirono fulminati nella cabina elettrica in cui si erano introdotti scavalcando una rete metallica. Un terzo, Muhittin Altun, 17 anni, sopravvissuto con gravi ferite, raccontò di essersi nascosto con i compagni nel trasformatore della centralina elettrica per sfuggire ai poliziotti dai quali pensava di essere inseguito. La reazione poco felice del ministro dell'Interno francese, che dichiarò “quella gente è feccia”, scatenò la rivolta, con centinaia di automobili incendiate, violenze, devastazioni e migliaia di arresti. Due notti fa una decina di uomini a volto coperto ed armati hanno attaccato un autobus a Bagnolet, nel dipartimento Seine-Saint-Denis, a nord di Parigi. Hanno fatto scendere i passeggeri e gli hanno dato fuoco.

di Giovanni Gnazzi

Un muro doppio, lungo 700 chilometri, da san Diego a San Antonio, che attraversa tutta la California. Costerà 1220 milioni di dollari, anche se le stime più realistiche aggiungono altri sei o ottomila milioni ulteriori per il completamento dell’opera. Separerà gli Stati Uniti dal Messico e, soprattutto, le braccia messicane dagli affari statunitensi che su di esse prosperano. Il presidente Bush ha promulgato ieri la legge che da il via alla costruzione della muraglia, tra le proteste dei democratici e quelle dei messicani, alle quali si sono aggiunte le rimostranze dei paesi dell’America centrale. Il governo messicano ha manifestato il suo “profondo fastidio” per l’iniziativa, esprimendo un “energico rifiuto all’innalzamento del muro” ed ha sottolineato come la misura “danneggia le relazioni bilaterali nel loro insieme, essendo contraria allo spirito di cooperazione che deve prevalere per garantire la sicurezza nella frontiera comune”.

di Moazzam Begg*

Nell'Islam disperarsi è considerato un peccato, ma a Bagram, durante i giorni peggiori del maggio 2002, sono stato incapace di non disperarmi. Ora, qui a Guantanamo, in questa gabbia di metallo con i suoi lucchetti, il suo pavimento ed il suo soffitto di metallo, il suo letto di metallo, il suo gabinetto di metallo, il tutto all'interno di una stanza bianca e illuminata a nuovo, sento la disperazione ritornare, mentre mi guardo attorno per la prima volta. Tutto quello che ho in questa cella è un pezzo di carta ed un rotolo di carta igienica. Mi hanno levato persino i miei occhiali. Ho chiesto di avere qualcosa da usare come tappeto per la preghiera e mi hanno portato una sottile stuoia da camping, che è diventata il mio materasso per i due anni seguenti. La prima cosa che ho voluto fare appena arrivato a Guantanamo, è stata pregare. Ho chiesto ad un soldato della Polizia Militare in quale direzione si trovasse l'est, ma non sono stati capaci di darmi una risposta. Mi hanno detto che non c'erano altri prigionieri qui con me, altrimenti le guardie lo avrebbero saputo, visto che tutti i detenuti fanno la medesima domanda.


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