di Giuseppe Zaccagni

Il Cremlino incassa ma non tace. E così commenta: “Come volevasi dimostrare”. Tutto questo in relazione al fatto che l’Alleanza Atlantica, dopo aver scatenato la guerra contro la Jugoslavia, apre - a sette anni da quei tragici eventi - un suo “Ufficio permanente” a Belgrado. Sceglie come sede un intero piano del ministero della Difesa. Entra cioè nel cuore del sistema “difensivo” della Serbia. E compie questo gesto anche in modo simbolico. Perchè furono proprio gli aerei della Nato che nei raid del 1999 ridussero in polvere l’edificio della Difesa jugoslava.E così questo nuovo inquilino - entrato nel Paese a colpi di bombe provocando morte e distruzione - si appresta ora a dettare anche le regole per il futuro. Lo fa con una cerimonia ufficiale (presenti il ministro della difesa serbo, Zoran Stankovic e il vicesegretario generale della Nato, l'italiano Alessandro Minuto Rizzo) nel corso della quale torna a ribadire la necessità di una adesione della “nuova Serbia” ai programmi di partnership for peace. Primo passo - precisano i nuovi padroni dell’Alleanza - sul cammino di una adesione totale che, comunque, è stata già formalizzata.

di Mazzetta

La situazione in Somalia è ormai chiara, ma purtroppo l’evidenza descrive ancora una volta il fallimento della politica statunitense e dei suoi occasionali alleati. L’offensiva etiope si è risolta in una facile vittoria, le Corti Islamiche hanno rinunciato a dare battaglia e dopo i cruenti scontri intorno a Baidoa l’esercito etiope controlla ora il paese, compresa la città di Kisimayo, segnalata come “roccaforte” degli islamici, che invece sono evaporati all’apparizione degli etiopi. Se le cose stessero come propagandato dal governo statunitense, quello etiope, i loro alleati somali e qualche commentatore troppo allineato a Washington, la Somalia saluterebbe oggi il 2007 finalmente liberata dai terribili talebani intravedendo la possibilità di risollevarsi dopo quindici anni senza un governo, vissuti nell’anarchia tribale e nella violenza. Purtroppo la situazione della Somalia è oggi molto peggiore di quanto non fosse una settimana fa, prima che l’Etiopia scatenasse la guerra di Natale che l’ha portata ad invadere l’indifeso vicino. Dalla menzogna non può nascere nulla di buono e che l’Etiopia sia stata costretta all’intervento perché era minacciata dall’UIC è una falsità mal costruita al punto da risultare controproducente.

di Fabrizio Casari

Pare che Bush dormisse mentre il raìs iracheno moriva. L’amico di un tempo, promosso a tiranno da nuovi equilibri, deve avergli dato l’ultima seccatura, svegliandolo nel cuore della notte. L’uno, il rais, un tempo alleato poi promosso a tiranno, scalciava nella botola del nuovo Iraq. L’altro, il tiranno di oggi e amico di un tempo, sbadigliava, costretto ad una alzataccia. Le ultime parole del rais assunto a vittima devono averlo rassicurato: non parlavano della famiglia reale statunitense, la dinastia Bush. Parlavano dell’Iraq. Non citavano il Brent o l’indice Dow Jones, stringevano il Corano. Pronto, il tiranno di oggi e l’amico di un tempo, sonnolento quanto gaudente, ha definito l’uscita di scena del nemico di oggi “un atto di giustizia”. Di più, “una pietra miliare nella costruzione della democrazia”. Ma Saddam l’ha battuto sul tempo ancora una volta: ha incitato gli iracheni all’unità contro gli invasori, prima ancora che il dormiente texano potesse proclamare la sua vittoria in Iraq. Il rais è morto da presidente, il texano ha parlato da proconsole.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Tutto è alle spalle. Quel 25 dicembre 1991 è solo la rapida sequenza di una ripresa notturna con un fascio di luce che illumina una bandiera rossa che scende e una vecchia bandiera di stampo zarista - bianca, blu e rossa - che sale sul pennone del Cremlino. Poco prima un Gorbaciov con gli occhi puntati sui telespettatori annuncia, con voce ferma: “Pongo fine alle mie funzioni di presidente dell’Urss”. E l’Unione Sovietica, che era già ridotta male, chiude la sua storia. Scompare. Si dissolve. Si autodistrugge con Eltsin e Jakovlev che si accingono a riscrivere la storia. Tutto avviene con brindisi e lacrime, tra rievocazioni tragiche e ricordi di lotte e sconfitte, di successi e vittorie, di repressioni ed umiliazioni. Comincia un nuovo anno, ma è l’anno zero.Ognuno si pone dinanzi alla storia e comincia a riflettere sulle tante vicende che hanno segnato la vita del Paese sin dall’Ottobre del 1917. E le domande investono la vita dell’intera società e dei tanti popoli che erano inclusi nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

di Sara Nicoli

Saddam Hussein è stato impiccato all'alba, quando a Baghdad erano le 6 del mattino (le 4 in Italia), all’interno di uno dei centri utilizzati dal deposto regime per torturare i dissidenti. È stata la televisione di stato “Al Iraqiya” la prima a dare la notizia e, poco dopo, ha trasmesso le macabre immagini dell’impiccagione “perché il popolo - ha detto uno speaker in diretta - non abbia più dubbi sulla fine del tiranno”. “E' stato rapido, è morto subito”, aveva già raccontato uno dei funzionari iracheni presenti all’esecuzione. Saddam aveva il volto scoperto e appariva calmo. Il consigliere per la sicurezza nazionale Moaffaq al-Rouba ha tenuto a precisare che il condannato aveva le mani legate ed era vestito con i soliti abiti di sempre, pantaloni e giacca nera, camicia bianca. “Saddam è montato con calma sulla forca, appariva deciso e coraggioso” ha ancora detto al Roubai, aggiungendo: “Ad un certo punto Saddam ha girato la testa verso di me come per dirmi “non ho paura”. E' stata una sensazione strana”. Le ultime parole di Saddam Hussein sul patibolo sono state un monito agli iracheni. “Spero che siate uniti e vi esorto a non credere a un’alleanza con l’Iran, perchè gli iraniani sono pericolosi. Io non ho paura di nessuno”. Il riferimento all’Iran è stata lultima bordata dell’ex rais alla coalizione a maggioranza sciita guidata dal premier Nuri al-Maliki, che molti sunniti accusano di essere strumento dell’Iran. Parole che sono state ascoltate da sette testimoni presenti all’esecuzione tra i quali, tuttavia, non c’era nessun funzionario Usa.


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