di Carlo Benedetti

Nella tradizione russo-sovietica tutto aveva un doppione che era, allo stesso tempo, un vero “contrario”. C’era lo Stalin per l’esportazione - che abbracciava i bambini - e quello, per l’interno, delle repressioni e del gulag. C’era il Krusciov del disgelo e quello del muro di Berlino. C’era il Breznev della conferenza paneuropea e quello dell’Afghanistan. E ancora. A Mosca due monumenti a Gogol: uno con lo scrittore tragicamente pensoso e preoccupato realizzato nel periodo russo ed uno fiducioso nel futuro eretto in piena era sovietica. E si potrebbe andare avanti con questa “teoria dei doppioni”… E così si arriva ai dati più recenti. A Gorbaciov che costruisce la perestrojka ma si fa dominare dagli americani; a Eltsin che distrugge l’Urss e che poi, strada facendo, si rivela un alcolizzato che guida il Cremlino. Ed ecco Putin che esce dalla caserma del Kgb e vuol dimostrare – all’occidente - di essere un “diverso”. Ma André Glucksmann, lo smaschera sostenendo che chi è "cekista un giorno, è cekista per sempre".

di Luca Mazzucato

Le ultime settimane in Israele sono passate sotto il segno di continui scandali politici, che hanno completamente eroso la credibilità del governo Olmert. Le incriminazioni del Capo dello Stato, del Ministro dell'Interno, del Capo della Polizia e gli scontri sulle responsabilità della disastrosa guerra libanese scandiscono impietosamente l'agonia di un sistema politico in profonda crisi. Mentre l'opinione pubblica si sposta nuovamente a destra e ritornano sulla scena Netanyahu e Barak e il tycoon Gaydamak, una sorta di Berlusconi israeliano. In questo panorama desolante, la morsa di ferro dell'esercito sui Territori Occupati si fa sempre più spietata e il meeting tra Abbas e Olmert si chiude con un nulla di fatto, ripescando però dal cappello il piano di pace della Lega Araba. Parlando con la gente per la strada, al bar, nei luoghi di lavoro, l'opinione è unanime: si tratta del periodo più difficile e drammatico nella storia dello stato ebraico, stretto tra le minacce nucleari iraniane e la corruzione dilagante in patria. Si comincia persino a far strada l'idea strampalata che il terreno fertile per la corruzione sia l'Occupazione, ed in particolare il sistema di amministrazione militare dei Territori, che da quarant'anni come un cancro infetta tutto l'apparato statale.

di Giuseppe Zaccagni

Continua a pesare sull’intera Europa l’ombra della guerra nel Kosovo. Perché dalla capitale austriaca - dove serbi e albanesi si trovano a confronto con l’inviato delle Nazioni Unite, il finlandese Martti Ahtisaari – le notizie non sono buone. I negoziati, infatti, continuano a correre su binari diversi. Non si intravedono processi validi per un compromesso capace di pacificare la provincia. L’Onu insiste per un autogoverno della maggioranza albanese, pur se con forti garanzie per la minoranza serba; i kosovari-albanesi, invece, si battono per ottenere l’indipendenza e divenire i padroni della terra considerandosi come discendenti degli Illiri, autoctoni prima dell’arrivo di Slavi, Cristiani ed Islamici

di Fabrizio Casari

Norman Bailey, la superspia statunitense destinata a “vigilare su Cuba e Venezuela", dopo nemmeno tre mesi di lavoro, è stato rimosso dal suo incarico. Con discrezione, ma con nettezza, l’ex reliquia di Reagan, veterano agente della Cia, è stato rimandato a casa con un provvedimento firmato da Mike Mc Connell, capo supremo di tutta l’intelligence Usa. Discrezione obbligata, visto che normalmente gli incarichi delicati vengono assegnati o revocati in forma adeguata alla missione. Quelli relativi all’intelligence, poi, sono destinati per principio al massimo della riservatezza, giacché oltre a contenere in sé elementi di sicurezza, sul piano politico indicano, molto più che le dichiarazioni pubbliche, le intenzioni dei governi che quelle nomine le fanno. Bailey era stato scelto da John Dimitri Negroponte, ora vice di Condoleeza Rice e prima zar di tutte le spie a stelle e strisce. Proprio Negroponte, altro residuato bellico del gabinetto Reagan passato armi e bagagli in quella Bush, aveva nominato Bailey “Capo missione dell’Intelligence Usa per Cuba e Venezuela”. Il suo compito era quello di sostenere gli sforzi dell’amministrazione Bush per isolare combattere ed, eventualmente sovvertire, i governi di L’Avana e Caracas.

di Carlo Benedetti

E’ questa una storia di spie, di delitti, di suicidi, di disinformazioni e depistaggi. Ha come teatro la Bulgaria e avviene in un clima di paurose reticenze, di cose dette e non dette. E, comunque, tutte avventure di 007 finiti male. Si comincia - con una ricostruzione ovviamente approssimativa - con quanto avvenuto a Sofia, in una fredda sera del 15 novembre scorso. A rendere note queste vicende è ora il giornalista russo Stanislav Lekarev, che sulle pagine del settimanale Argumenty fedeli descrive i retroscena dei servizi di Sofia. E, in particolare, pone l’accento sul ruolo della Cia nella distruzione della Jugoslavia.La storia comincia con Bozhidar Doicev, capo del reparto degli “Archivi e dossier segreti” della sicurezza che negli anni di Jivkov era chiamata “Darzhavna sigurnost”. Doicev, come al solito, è al lavoro nel suo ufficio.


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