di Carlo Benedetti

Il Cremlino, in vista delle presidenziali del 2008, non vuole invasioni di campo. I membri della vasta nomenklatura sono interessati sempre più alla conservazione delle strutture del potere. E così comincia una battaglia contro lo zoccolo duro dell’opposizione che al giorno d’ggi dimostra di avere un vasto seguito. La manovra consiste nel mettere nell’angolo quanti possono contestare il ruolo di Putin e comunisti e nazionalisti finiscono tutti nel mirino del Cremlino. Ma non è cosa facile proprio perché i comunisti - tanto per citare la forza più organizzata - riescono a conquistare, per la prima volta dal giorno del crollo dell’Urss, un canale televisivo. Nasce la loro tv. Diretta e controllata dal Partito comunista di Zjuganov. Con programmi particolari e telegiornali che evidenziano ottimi rapporti con gli uomini più influenti del Paese. Per ora il canale “rosso” ha come raggio di azione la zona siberiana di Novosibirsk (178.000 chilometri quadrati con una popolazione di 3 milioni), ma nei piani della nuova emittente c’è una ulteriore diffusione anche in altre regioni. Ed ecco che sulla base di questo annuncio (per certi versi sensazionale nella realtà di una Russia dominata da un potere oligarchico ed anticomunista che si avvale di una nuova categoria di “servitori” impegnati nei media) il Cremlino lancia l’allarme: “I comunisti attaccano e puntano all’informazione… ora si appropriano anche delle onde della televisione”. Ed è subito chiaro che si avverte un certo sconvolgimento.

di mazzetta

L’Egitto è un paese nominalmente repubblicano e sostanzialmente dittatoriale, come se ne vedono tanti. A officiare l’aspetto sostanziale in barba a quello nominale, ha contribuito con decisione il suo presidente, Hosni Mubarak. Questi, coccolato dall’Occidente, giunse al potere oltre un quarto di secolo fa dopo il provvidenziale (almeno per lui) assassinio di Sadat. A comandare il paese si è trovato bene e ha deciso che non avrebbe più cambiato lavoro. Oggi, giunto alla vecchiaia (78 anni), sta cercando di predisporre le condizioni perché i suoi beni e il suo potere passino alla sua discendenza senza possibilità di sorprese. Diversamente da altri padri di famiglia, Mubarak possiede un intero paese e non può quindi limitarsi ad un semplice testamento o a sistemare i suoi assetti patrimoniali per salvarli dalle tasse di successione. Altri leader sono più fortunati, vuoi perché la leadership è assicurata loro dal sangue reale, vuoi perché le istituzioni nei loro paesi sono puramente decorative. In Egitto invece c’è una Costituzione e un sistema giudiziario, ma anche la storia di una de-colonizzazione che è passata attraverso le idee del socialismo e un presente fatto da un popolo che non è certo sottosviluppato culturalmente.

di Giuseppe Zaccagni

Continua, all’Est, l’inesorabile marcia delle destre perché - dopo l’arrivo nelle istituzioni europee della pattuglia di deputati bulgari e romeni segnati dal marchio nazional-revanscista – cominciano riabilitazioni e revisioni storiche. E mentre in Estonia si afferma che la liberazione del Baltico da parte dell’Armata Rossa fu un’azione militar-politica di “invasione e di conseguente annessione”, parte all’attacco anche la Romania. Che decide di riabilitare quel Ion Antonescu - il conduca¬tor - che nel giugno 1941, esercitando un potere assoluto, fece scendere in guerra la Roma¬nia a fianco dell’Asse, aprendo il paese alle truppe di Hitler. E, di conseguenza, collaborando con i nazisti si macchiò dei più efferati delitti contro il suo popolo.

di Raffaele Matteotti

Dopo la legalizzazione dell’illegale invasione etiope della Somalia, è arrivato a Mogadiscio il primo contingente di truppe ugandesi, giunte nel quadro dell’operazione di “peacekeeping” organizzata dall’ONU, per la quale i paesi dell’Unione Africana forniranno le truppe e gli USA i fondi ed il supporto logistico. Gli ugandesi sono in realtà la striminzita avanguardia (1200 soldati) del già striminzito contingente UA (8000 uomini), finora coperto da promesse dei paesi africani solo per la metà. Per ora non è dato sapere quando arriveranno i militari promessi dagli altri paesi e nemmeno se il contingente raggiungerà mai la consistenza pianificata.

di Carlo Benedetti

Torna sulla scena la minaccia di quello “scudo spaziale” che servì a Reagan per piegare l’Urss. La Nato è arrivata alla frontiera con la Russia. Le installazioni radar americane in Polonia e Repubblica Ceka, duramente contestate da Mosca, puntano infatti direttamente sul Cremino. Puntuale quindi arriva, nervosa, la risposta russa. Sembra appunto di rivedere il film dello scudo spaziale degli anni ’80, quando Washington decise di affondare sul piano tecnologico e militare l’attacco ad una Unione Sovietica già piegata dalla sua crisi economica. Allora il Cremlino reagì nervosamente dando il via ad una corsa al riarmo per inseguire il nemico americano che evidenziava la sua ampiezza planetaria. Per Mosca tutto finì male perché la “potenza” sovietica non era in grado di reggere la concorrenza militare statunitense. Ma ora si cambia registro perché, sulla base delle nuove tecnologie, i russi si prendono una vera e propria rivincita aprendo una nuova pagina di guerre stellari. Tutto avviene anche in riferimento al fatto che, al tempo della Guerra Fredda, la stabilità nell'arena internazionale era assicurata dalla mutua dissuasione delle due superpotenze, che dirigevano i due campi ideologici avversi. In altri termini, riposava su un confronto dai limiti nettamente segnati. Ma ora – questa la tesi che domina nella strategia militare della nuova Russia - solo attraverso gli sforzi comuni e mirati di tutti i grandi centri del mondo multipolare in formazione, si possono scongiurare le nuove minacce. Si tratta di una lettura che può apparire condivisibile, ma che è pur sempre lontana dall’essere facilmente realizzabile.


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