Nelle more della politica internazionale, di questi tempi ci si trova sovente di fronte ad alcune questioni a prima vista incomprensibili per una mente normale. Una di queste è sicuramente la problematica relativa all'indipendenza della provincia serba a maggioranza albanese, il Kosovo. Da un lato sono schierati i kosovari che, con l'appoggio degli Stati Uniti e dell'Unione Europea, chiedono a gran voce l'indipendenza del proprio Paese; dall'altro il governo di Belgrado che invece, con l'appoggio forte dei russi, è impegnato a cercare di evitare, in tutti i modi, che tale prospettiva possa tramutarsi in realtà, in quanto considera la provincia come parte storicamente integrante del proprio territorio. Il Kosovo, a seguito della guerra del 1999 e della sconfitta della Serbia di Milosevic, è diventato un protettorato internazionale protetto dalle truppe della NATO su mandato delle Nazioni Unite, in attesa dei negoziati che si sarebbero dovuti tenere tra serbi e kosovari sullo status definitivo della provincia. Son passati anni e di questi negoziati non si è vista alcuna traccia fino a tutto il 2006. Nel frattempo, sotto gli occhi vigili delle truppe internazionali, si è potuto procedere ad una vera e propria pulizia etnica dei serbi ancora viventi in Kosovo che sono stati sottoposti ad ogni sorta di violenza da parte dei reduci dell'UCK, la guerriglia kosovara, senza nessuno che abbia mosso un dito in loro difesa, fino ai pesanti scontri del 2004. Da allora vige una sorte di "convivenza gelida" tra le due etnie.
Negli ultimi mesi comunque la diplomazia internazionale ha deciso di passare all'azione con il cosiddetto piano Ahtisaari, che prende il nome dall'inviato speciale delle Nazioni Unite per il Kosovo ed ex presidente finlandese, Martti Ahtisaari. Il piano Ahtisaari è stato concepito come un compromesso per offrire ai kosovari la propria indipendenza, ma garantire allo stesso tempo i diritti civili della minoranza serba, così come relazioni privilegiate con Belgrado.
In cambio la Serbia otterrebbe, tra le altre cose, il via libera per l'apertura dei negoziati formali per il suo ingresso nell'Unione Europea. Per i suoi fautori questo piano "è il migliore possibile per garantire la creazione di una società decentralizzata, multi-etnica e democratica nel cuore dell'Europa" e in futuro l'accesso a tutti i Paesi della regione nell'Unione Europea. Per i suoi molti critici, tra cui il governo di Belgrado che l'ha bocciato in pieno, è semplicemente uno strumento per indorare quanto più possibile la pillola indigeribile dell'indipendenza del Kosovo. Ahtisaari è stato anche sottoposto al fuoco di fila dei media serbi per una sua infelice frase sulla "colpevolezza" del popolo serbo, a causa delle azioni di Milosevic in Kosovo ed in Bosnia.
Stante la strenua opposizione di Belgrado e di Mosca, tornata prepotente sulla scena europea dopo le umiliazioni degli Anni Novanta, il piano Ahtisaari sembra essere al momento stato accantonato, per l'impossibilità di ottenere una maggioranza favorevole al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove la Russia ha il potere di veto. La materia è quindi stata trasferita al Gruppo di Contatto, costituito da Russia, Stati Uniti ed alcuni Paesi dell'Unione Europea, per ulteriori negoziati da tenere tra le parti in causa per la durata di 120 giorni. La Serbia ha già fatto conoscere la sua posizione a tale proposito: è pronta ad accettare il massimo dell'autonomia possibile, ma mai ed in nessun caso, l'indipendenza del Kosovo.
Ma già nubi si levano all'orizzonte con le dichiarazioni bellicose dei leader kosovari che si dicono pronti a dichiarare unilateralmente l'indipendenza se questa non dovesse essere garantita dalla comunità internazionale alla fine del periodo di colloqui. Il tutto mentre Mosca invece continua ad affermare che non vi è la necessità di stabilire alcun "calendario artificiale" per i colloqui e che invece l'unica soluzione possibile alla crisi che si va delineando, è quella che veda l'accordo delle due parti in causa mediante il negoziato per quanto lungo possa essere.
Se la posizione di Mosca è facilmente comprensibile, dato il legame storico tra la Russia e i fratelli serbi, nonché la necessità da parte dei russi di far nuovamente sentire il proprio peso a livello mondiale, meno comprensibile è l'atteggiamento dell'Unione Europea e degli Stati Uniti. Se, infatti, l'indipendenza del Kosovo poteva avere un senso quando a Belgrado regnava indisturbato Slobodan Milosevic, ora invece la Serbia è retta da un governo di coalizione del quale fanno parte anche le forze più filo-occidentali del Paese, che sono uscite vincitrici con strettissimo margine alle ultime elezioni politiche assieme ai nazionalisti moderati del primo ministro Vojislav Kostunica.
Ma proprio queste elezioni hanno testimoniato la pericolosa ascesa dei movimenti ultranazionalisti come il Partito Radicale Serbo, di Vojislav Seseli, attualmente detenuto al carcere dell'Aia con l'accusa di crimini di guerra, che si è assicurato il primo posto con il 28,59% dei voti. Ed è proprio al pericolo dell'ondata ultranazionalista che potrebbe derivare dall'eventuale distacco del Kosovo dalla madrepatria serba, che il presidente democratico Boris Tadic si è appellato, per chiedere alla comunità internazionale di tenere nella giusta considerazione le preoccupazioni legittime del governo di Belgrado nella disputa. Difficile dargli torto.
Per capire dunque quali possano le reali motivazioni che spingono l'Occidente ad appoggiare un passo così rischioso, bisogna perciò fare un passo avanti e cercare di comprendere meglio il Kosovo attuale ed in che prospettiva si pone rispetto alle grandi questioni internazionali del mondo di oggi, in particolare la guerra al terrorismo internazionale. La provincia a maggioranza albanese, quasi completamente distrutta prima dallo scoppio della guerra civile e poi dai bombardamenti della NATO del 1999 (anche con l'uso di cancerogeni proiettili ad uranio impoverito), non si è ancora ripresa.
Gran parte dell'economia del Paese si basa tuttora sul mercato nero delle sigarette, del petrolio e soprattutto della droga. Come anche altri Stati della regione, tra cui in primis il Montenegro da poco diventato indipendente, il Kosovo è come un immenso hub in cui la mafia orientale, ed in particolare quella russa e albanese, fa transitare gran parte della droga destinata al mercato occidentale. Ed è ormai riconosciuto da più fonti che proprio il commercio clandestino della droga e delle armi è stata la principale fonte di finanziamento per la guerriglia indipendentista albanese.
Tra i Paesi con cui l'UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) ha “collaborato” in questo ambito nel periodo 1998-99, si annovera anche l'Afghanistan dei talebani, che all'epoca ospitava sul suo suolo anche Osama Bin Laden, già ricercato dalle polizie di tutto il mondo per le sue attività terroriste. Ma anche l'Arabia Saudita, fonte di finanziamento pressochè inestinguibile per le guerriglie musulmane di tutto il mondo. E l'Iran, nemico storico del Grande Satana occidentale.
Ciò nonostante, la "Colombia d'Europa", così come è stato definito il Kosovo da alcuni osservatori, è ancora ad oggi attivamente supportata dai governi occidentali, che fanno di tutto per chiudere gli occhi dinanzi a queste realtà. E mentre il commercio di droga continua imperterrito da anni sotto gli occhi attenti dei servizi segreti occidentali, bene avvezzi a questo genere di cose anche nell'Afghanistan post-talebani, altre cose avvengono nella quasi completa oscurità dell'opinione pubblica internazionale. L'8 gennaio 2006, un piccolo giornale svizzero sconosciuto ai più, il Sonntagsblick, pubblica una articolo in cui parla di un fax che sarebbe stato intercettato dai servizi segreti svizzeri ed indirizzato all'ambasciata egiziana a Londra in cui si attesterebbe l'esistenza di centri di detenzione segreta gestiti dagli americani, in alcuni Paesi europei, tra cui il Kosovo.
Stiamo parlando della pratica delle cosiddette "extraordinary renditions", attraverso la quale i prigionieri della guerra al terrorismo vengono trasferiti, in assoluta segretezza, da una parte all'altra del mondo per poter essere agevolmente torturati ove non vi sia alcuna garanzia a loro favore. Il centro in questione si troverebbe all'interno di Camp Bondsteel, la più grande base militare americana nel Paese, che sarebbe stata usata anche come campo di detenzione per i prigionieri arrestati dalla NATO durante le operazioni di polizia in Kosovo.
Sebbene non vi sia alcuna evidenza reale della possibile presenza di prigionieri legati alla guerra al terrorismo nella base in questione, nondimeno la dichiarazione rilasciata dal commissario UE per i diritti umani, Alvaro Gil-Robles, al quotidiano francese Le Monde, a seguito della visita al campo in questione, è molto indicativa: "Da una torre ho visto un posto che sembrava una replica del campo di Guantanamo, ma su scala più piccola... Ho visto tra i quindici ed i venti detenuti all'interno di un edificio, vestiti con tute arancioni come a Guantanamo. Tutti i prigionieri che ho visto non erano incatenati, ma molti di loro erano isolati dagli altri. Alcuni avevano la barba lunga, altri leggevano il Corano, guardati a vista dalle guardie militari americane. Una soldatessa che lavorava nella base mi ha spiegato di essere stata trasferita qui da poco tempo. Il suo posto di lavoro precedente era stato, appunto, Guantanamo".
Tra i detenuti che sarebbero stati osservati da Gil-Robles durante la sua visita, secondo Le Monde, vi erano anche quattro persone di aspetto nord-africano, mentre i restanti erano tutti kosovari o serbi. Secondo un rapporto della Commissione per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa, così come a Guantanamo anche per i detenuti di Camp Boldsteel non vi è una legislazione che garantisca il rispetto dei diritti minimi: i prigionieri possono essere arrestati per tempo indeterminato e senza diritto a vedere il proprio legale, stando a ciò che ha affermato lo stesso Gil-Robles dinanzi alla Commissione il 13 dicembre 2005.
Camp Bondsteel inoltre non è sino ad oggi stata soggetta alle ispezioni del Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d'Europa, che ha il diritto di ispezionare tutti i luoghi di detenzione degli Stati membri (incluso la Serbia), il che la renderebbe un posto ottimale per la detenzione dei prigionieri "fantasma" della guerra al terrorismo internazionale. L'esistenza stessa della prigione è stata negata ufficialmente dai comandi americani, che affermano che nessun prigioniero è mai stato detenuto a Camp Boldsteel, smentendo dunque apertamente le dichiarazioni sopra citate di Gil-Robles. Ma i dubbi sul possibile utilizzo di Camp Boldsteel come centro di detenzione segreta nell'ambito della Guerra al Terrorismo, rimangono intatti.
Non è finita qui comunque. Nel 2004 c’è stato un caso piuttosto strano di una sparatoria tra una soldatessa americana ed un membro della polizia giordana, in un centro di detenzione gestito dalla NATO a Mitrovica, in Kosovo. La storia è stata insabbiata velocemente e non si è saputo più nulla. Tutta questa fretta, alla luce delle informazioni di cui si é conoscenza ex post, sembra molto sospetta. Inoltre dai tracciati di volo degli aeroplani usati per le "extraordinary renditions", sembra proprio che l'aeroporto di Pristina sia stato uno degli scali più usati (e meno controllati) verso mete più esotiche quali l'Egitto, la Siria ed altri Paesi dove i prigionieri potevano essere lavorati ben bene dai servizi segreti locali, senza nessuna fastidiosa intromissione dei gruppi internazionali per la difesa dei diritti umani.
Così come può darsi che qualcuno di questi sia in realtà rimasto in Kosovo sotto custodia americana in una base come Camp Boldsteel. Quale che sia stato effettivamente il suo utilizzo, e non lo sapremo mai, Camp Boldsteel rappresenta, comunque, la più grande base americana in Europa mai costruita dalla fine della guerra in Vietnam. La sua sola presenza è indicativa dei cambiamenti epocali che vi sono stati nei Balcani dalla fine della Guerra Fredda.
A Tirana lo scorso 10 giugno, George W. Bush ha detto che "il Kosovo deve diventare indipendente". Fino ad ora solo la netta opposizione dell'amico/nemico, Vladimir Putin, ha impedito che il suo diktat diventasse realtà. Ma quanto ancora si dovrà attendere prima che la volontà dell'Imperatore americano si trasformi in realtà? E soprattutto, a che costo? In attesa di trovare una risposta a queste domande, si può solo sperare che, nel frattempo, nessun velivolo della CIA atterri e riparta più dall'aeroporto di Pristina con il suo triste carico di morti viventi.
KOSOVO, UNA DISPUTA INFINITA
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