di Luca Mazzucato

L'Arabia Saudita ha deciso questa volta di giocare tutte le sue carte: dopo aver ottenuto ciò che sembrava impossibile riappacificando, a suon di petrodollari, Fatah e Hamas nel governo di unità palestinese, la monarchia del Golfo sta cercando ora di risolvere definitivamente il conflitto tra Israele e Paesi arabi e ridisegnare un nuovo Medioriente a propria immagine. Il piano di pace saudita del 2002, riproposto la scorsa settimana all'unanimità dalla Lega Araba, mette in forte imbarazzo il governo di Gerusalemme. L'incubo per gli israeliani è la clausola sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi, ma intanto informalmente diplomatici americani, israeliani e sauditi lavorano per cercare soluzioni alternative. Nel frattempo, il governo israeliano schiera le truppe sul Golan, in caso di guerra estiva con la Siria, e riprende le incursioni a Gaza dopo settimane di fragile cessate il fuoco.

di Carlo Benedetti

Come volevasi dimostrare: l’Ucraina riprende la bandiera della protesta e scende di nuovo in piazza. Le divisioni sono quelle tradizionali caratterizzate da una escalation di intimidazioni. Da un lato il presidente filo-occidentale Viktor Yushenko e, dall’altro, il premier Viktor Janukovic espressione dell’ala filo-russa del paese. Si erano già scontrati – duramente – nel corso delle elezioni del 2004 quando i risultati andarono a favore di Janukovic, ma lo sfidante Yushenko denunciò brogli chiedendo ai suoi sostenitori di continuare la protesta. Poi, in un clima di sfascio delle istituzioni, una sorta di tregua: una guerra fredda patrocinata da Mosca e caratterizzata da un intreccio senza eguali di politica e affari. Ora con l’annuncio che Putin nel 2008 lascerà il suo posto al Cremlino l’Ucraina comincia a preoccuparsi per il futuro. Prevede un disastro politico-diplomatico e la messa in discussione dei risultati raggiunti con Mosca. E così comincia anche a Kiev la transizione che si caratterizza subito con un’atmosfera da golpe. Torna sulla scena quel colore arancione che caratterizzò la rivoluzione ucraina. Ma ecco cosa sta avvenendo in queste ore che rivelano anche implicazioni drammatiche.

di Giuseppe Zaccagni

La proposta di una soluzione “finale” per la martoriata terra del Kosovo arriva da D’Alema, lo stesso che, da Primo ministro, offrì l’appoggio italiano a quella guerra di distruzione coperta dalla Nato. Ma la storia – come è noto – fa anche di questi “scherzi”. E così oggi a quel piano fornito dall’emissario dell’Onu Martti Ahtisaari - che delinea prospettive di nuovi assetti politici ma con una ''indipendenza condizionata'' per il Kosovo - fa eco (da Brema dove si sono incontrati i leader delle diplomazie dell’Ue) il ministro italiano che sostiene la validità di uno “sbocco positivo''. Per D'Alema, infatti, ''non è pensabile mantenere in Kosovo lo status quo ed è quindi necessario definire uno status finale sulla base della proposta Ahtisaari''. Vi dovrebbe essere una posizione comune europea da difendere in sede Onu. In pratica si dovrebbe prevedere una nuova condizione (e non una spartizione) per l’intero territorio. E cioè una “indipendenza sorvegliata” (e questa è una proposta tedesca) passando contemporaneamente ad una presenza diretta dell’Unione Europea, che dovrebbe sostituire la missione Onu. Ma si sa anche che tra i paesi interessati non c'è ancora una totale convergenza. Un atteggiamento particolare è quello della Russia, che non perde occasione per ricordare la sua “vicinanza” storica e culturale alla Serbia. Si può quindi prevedere che Mosca non voterà a favore di una risoluzione del Consiglio di sicurezza basata sul piano di Martti Ahtisaari in quanto non potrà accettare un piano unilaterale che la diplomazia del Cremlino considera come “affrettato”.

di mazzetta

Si parla spesso e a sproposito di legalità, ancora di più quando si invoca quella inesistente che dovrebbe regolare i rapporti internazionali. Nelle democrazie occidentali si parla anche di uomini uguali davanti alla legge, ma la cronaca si impegna poi a dimostrarci che all’alba del ventunesimo secolo non esiste un solo angolo del pianeta nel quale la speranza di giustizia sia la stessa per il comune cittadino ed il potente. Un esempio clamoroso è dato proprio dai casi giudiziari che investono la famiglia reale saudita (circa cinquemila membri), la quale non solo è al di sopra della legge nel proprio paese in virtù del privilegio garantito dalla monarchia assoluta (il parlamento saudita è puramente ornamentale), ma che è palesemente impunibile ed impunita anche quando commette i suoi crimini in trasferta. Grande scandalo aveva suscitato l’emersione dei legami tra la famiglia reale saudita e la famiglia Bush all’indomani del 9/11, ma che i sauditi fossero praticamente intoccabili era chiaro almeno fin dal 1991, anno dello scoppio dello scandalo della BCCI a seguito del quale i numerosi membri della famiglia reale saudita coinvolti, non subirono alcuna conseguenza significativa; non male per quello che alcuni definirono lo scandalo del secolo.

di Elena Ferrara

Si è forse ad una svolta tra protestanti e cattolici che, nell’Irlanda del Nord, hanno raggiunto un accordo per dare il via ad un governo unitario, biconfessionale, che dovrebbe entrare in funzione l’8 maggio prossimo. La decisione assume un valore di vera portata storica poiché il cattolico Gerry Adams, leader del Sinn Fein (“Solo noi” in gaelico), e il reverendo protestante Ian Paisley, leader del partito unionista oltranzista Dup (Democratic Unionist Party), hanno trovato un’intesa decidendo di avviare un vero processo di pace che avrà come obiettivo conclusivo quello della formazione di una struttura di coalizione. Con Paisley che dovrebbe divenire primo ministro e il numero due del Sinn Fein - Martin McGuinness - suo futuro vice. Situazione di svolta, quindi, che mette fine ad un lungo stallo nel processo di consolidamento di quello storico Accordo di pace (conosciuto come quello del “Venerdì Sannto”) che fu sottoscritto il 10 aprile 1998 dai Governi di Londra e di Dublino e dalle principali forze politiche nordirlandesi.


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