di Carlo Benedetti

MOSCA. La guerra, la tragedia, i morti, l’occupazione, la distruzione sistematica di una comunità, i pogrom, gli scontri etnici e religiosi. Tutto - direttamente o indirettamente - va sul conto della Nato, che ha scatenato il conflitto contro la Jugoslavia (per metterne in carcere il capo, Milosevic) e per fingere poi di salvare il Kosovo e le sue genti. E’ stato ed è un grande bluff, epocale, vergognoso, assurdo. Con un occidente in veste di aiutante di campo di una America sempre più arrogante perchè certa di rappresentare il verbo della libertà e della democrazia. Ed ora - mentre si avvicina il momento della verità per l’intera regione a cavallo tra Belgrado e Tirana - cominciano a chiarirsi le varie posizioni in vista di quelle elezioni politiche, che dovrebbero svolgersi nel novembre prossimo in tutto il Kosovo, concludendo così, almeno sulla carta, quel negoziato di 120 giorni svolto dalla cosiddetta “trojka” composta dagli uomini dell’Unione Europea, degli Usa e della Russia. Come sempre, la vicenda del “contenzioso” verrà condensata nelle righe di un freddo e burocratico documento che il 10 dicembre troverà posto nella scrivania del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon. Dal testo di questo rapporto notarile scompariranno, ovviamente, le vicende reali di un paese distrutto e sconvolto. Prevarrà la norma della correttezza tipica delle cancellerie ministeriali e si cercherà di non offendere o chiamare in causa i boia che hanno tutti cognomi a stelle e strisce.

di Michele Mura

Quella che una volta veniva chiamata la Corazzata Bush ogni giorno che passa sembra perdere pezzi. Non bastava la fuga del suo braccio destro, colui che era definito la "mente" della Casa Bianca, Karl Rove. Non bastavano anche le ignominiose dimissioni del portavoce della Casa Bianca, Tony Snow, il quale non ha trovato di meglio come scusa che affermare di essere "pagato molto meno di quanto percepivo lavorando a Fox News”. Ora anche il segretario alla Giustizia, Alberto Gonzales, una delle persone più criticate all'interno dell'Amministrazione Bush, ha annunciato di aver gettato la spugna. Al comandante del vascello in tempesta non è rimasto altro che accettare anche questo ultimo pesante colpo. Da mesi i democratici, assieme ad alcuni esponenti repubblicani, chiedevano le sue dimissioni per aver mentito dinanzi al Congresso a proposito del programma di intercettazioni segrete della National Security Agency (NSA). Ma soprattutto per aver partecipato attivamente allo scandalo delle torture di Abu Ghraib e di Guantanamo, in quanto autore dei memorandum che ridisegnavano di fatto la definizione di tortura, escludendone alcuni metodi quale la privazione del sonno, il "waterboarding" e il prolungato uso di posizioni dolorose a cui venivano sottoposti i prigionieri della guerra al terrorismo.

di Daniele John Angrisani

Le indagini sull'omicidio della giornalista russa, Anna Politkovskaya, hanno raggiunto un punto di svolta inatteso. Ieri pomeriggio, il procuratore generale russo, Yuri Chaika, ha infatti informato il presidente Putin, come vuole il protocollo in questi casi, di "importanti novità" nell'ambito delle indagini su citate. Ha quindi convocato una conferenza stampa, mediante la quale siamo venuti a conoscenza del fatto che sono state arrestate 10 persone con l'accusa di aver partecipato, a vari livelli, a questo delitto. Tra essi, afferma Chaika, c'è anche "l'esecutore materiale" del delitto, una persona che la Politkovskaya "conosceva bene ed aveva incontrato poche ore prima" di essere ammazzata e che "appartiene al giro della criminalità organizzata cecena" presente nella capitale russa. Chaika ha però anche specificato che tra coloro che sono sotto indagine vi sono anche alcuni ufficiali della polizia moscovita, di cui almeno uno ancora in servizio e, cosa rilevante, un tenente colonnello dell'FSB, i servizi segreti russi, il cui coinvolgimento più o meno diretto nell'assassinio era stato più volte ipotizzato dagli amici e dagli ex colleghi della Politkovskaya. Alla fine della conferenza stampa, Chaika si è quindi autocomplimentato, affermando che ci sono voluti "meno di 10 mesi" per risolvere il delitto e che, molto probabilmente, le persone che sono state arrestate avevano avuto un ruolo anche nell'assassinio ancora irrisolto di un altro giornalista famoso, Paul Klebanikov, nel 2004.

di Elena Ferrara

Dal 2000 ad oggi hanno studiato le mosse reciproche cercando di uscire dalla trappola del muro-contro-muro. Ma, in pratica, hanno continuato a brancolare tra quelle nebbie politiche, militari e diplomatiche che avvolgono la loro penisola che è - “tecnicamente” - ancora in stato di guerra dopo il conflitto del 1950-1953, concluso solo da un accordo armistiziale il 27 luglio 1953. Ed ecco all’orizzonte uno spiraglio distensivo che potrebbe contribuire a mettere a fuoco qualche nuova idea. Tutto avviene in una Corea divisa in due all’altezza del 38mo parallelo dove le due realtà “nazionali” si guardano attraverso le barriere di filo spinato. Una prima prova di contatto - pur se in mancanza di concrete progettualità - c’era già stata nel 2000 quando il leader nordcoreano Kim Jong Il e l’allora presidente sudcoreano Kim Dae Jung si erano visti per un vertice che aveva come obiettivo centrale quello di stabilire regole e comportamenti di dialogo. E proprio sulla base di quel summit - pur senza aver rigettato il vecchio clima da guerra fredda - sia Pyongyang che Seul hanno fatto capire che il processo distensivo è molto lento ma inesorabile. E che, soprattutto, i due paesi vanno considerati come “fratelli siamesi” collegati da una stessa strategia finale. L’obiettivo, si dice, è quello della riunificazione con l’abbattimento della cortina del 38mo parallelo.

di Giuseppe Zaccagni

Il Papa protettore non c’è più. L’elettricista di Danzica si gode il suo Premio Nobel. Il post-comunista Kwasniewskij rilegge il passato in silenzio. Il generale Jaruzelskij attende il processo. Il grande Kapuscinskij è stato insultato... Ed ora i gemelli Kazynski che hanno preso il potere in Polonia - il Presidente Lech e il premier Jaroslaw - sentono tremare la terra perché i polacchi cominciano ad essere stanchi della loro invasione di campo nella scena politica ed istituzionale. E così i due, non potendo più ricorrere ad un Papa di casa, cercano appoggi di ogni sorta in vista delle presidenziali. Rilanciano l’attività del loro partito, il Pis- Diritto e giustizia, ma soprattutto chiedono soccorso a quella “Radio Maryja” che è l’icona della reazione polacca. E’ infatti una emittente di stampo cattolico che ha scelto di essere la voce della conservazione. A dirigerla, con spirito nazionalista ed antisemita, è il “padre cattolico Tadeusz Rydzyk” che ha forti agganci in Vaticano e che al tempo del Papa polacco era definito “Consigliere del Principe”. Ed è a questa “santa” radio che il presidente polacco Lech si rivolge inginocchiandosi accanto a padre Rydzyk. Lo prega di intervenire e di dire qualcosa di destra criticando la piega presa dalla trasformazione democratica del paese nel 1989 dopo la tavola rotonda fra le forze dell'opposizione di Solidarnosc e i rappresentanti del vecchio potere comunista.


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