di Neri Santorini

Sorride paziente William Warda mentre si cerca di etichettarlo come curdo, arabo, sciita o sunnita. Lui, non rientra negli schemi classici. Warda è un cristiano assiro, come un milione d'altri iracheni, minoranza colta di un Paese di 26 milioni di cittadini. “Per evitare queste domande dovresti essere non un iracheno ma un gatto, come dice Saad Khalifa, il nostro Beppe Grillo”, spiega Warda che oggi dirige la tv Ashr, voce degli assiri. Ha appena lasciato la direzione di un quotidiano di Bagdad, Bahra, per fondarne uno sportivo, Goal. “Abbiamo troppa stampa di partito, ci manca la stampa libera” aggiunge Warda. E un giornale sportivo è anche un segno del ritorno alla vita normale.

di Daniele John Angrisani

A soli due giorni dalle elezioni e con i sondaggi che vedono in leggerissima rimonta i candidati repubblicani nei collegi chiave del Senato (Missouri, Montana e Virginia), la tanto famigerata november suprise, da molti attesa come l’evento che potrebbe cambiare le sorti della campagna elettorale di mid term, sembra essere arrivata da Baghdad: il collegio giudicante, guidato dal giudice speciale Rauf Rashid Abdul Rahman, ha infatti considerato Saddam Hussein colpevole di genocidio ai danni della popolazione di un villaggio sciita del sud e lo ha quindi condannato a morte per impiccagione. Sentenza da molte parti considerata già scritta ma, nonostante questo, ritenuta abbastanza sospetta da alcuni osservatori politici a causa della sua tempistica. Mentre lo stesso Saddam urlava "Dio è grande" nell'aula del tribunale, è stata però la stessa Casa Bianca a smentire queste voci, affermando che sarebbe "cospirazionista" pensare che la data per la sentenza di Saddam fosse stata scelta di proposito per motivi elettorali; anzi, il portavoce della Casa Bianca, Tony Snow, ha precisato che il verdetto mostra inequivocabilmente che “in Iraq vi è un sistema giudiziario indipendente”.

di Sara Nicoli

Se perderà le elezioni del Mid Term, come sembra ormai plausibile, non sarà certo per colpa di quest’ultimo affondo che gli ha sferrato l’altro giorno il quotidiano progressista inglese The Guardian . Tuttavia quel sondaggio malandrino, pubblicato in prima pagina, su chi venga considerato l’uomo più pericoloso del mondo, la dice lunga su quanto gli inglesi (ma non solo loro) detestino il presidente americano George W Bush. Diciamolo subito: non è lui il vincitore del sondaggio. Ma nell’elenco dei pazzi al potere, pericolosi ancor prima che per se stessi per le sorti complessive dell’umanità, occupa comunque un posto di indubbio prestigio. E’ secondo, con il 75% dei voti, subito dopo Bin Laden che svetta al top con l’87%: ancora una volta, si potrebbe dire con un filo di sarcasmo, Osama lo ha battuto sul campo. La storia, matrigna, non perdona. Neanche nei sondaggi dei giornali.

di Daniele John Angrisani

A pochi giorni di distanza dalle elezioni di mid term, il panorama politico americano è ormai pronto a far fronte all'ondata sismica che sembrerebbe profilarsi nelle urne il 7 novembre con la annunciata sconfitta dei repubblicani. Per la prima volta dal 1994, infatti, almeno una delle due camere del Congresso, in particolare la Camera dei Rappresentanti, viene data stabilmente per riconquistata dai democratici, secondo tutti i sondaggi disponibili ad oggi. Il vantaggio dei democratici alla Camera rischia di essere molto più alto di quello inizialmente previsto ed alcuni istituti parlano addirittura di possibili 240 seggi per i democratici (la maggioranza assoluta è 218 seggi). Si tratterebbe in questo caso di una debacle per i repubblicani, difficilmente gestibile dal punto di vista politico a due soli anni dalle prossime elezioni presidenziali; inevitabilmente, non potrebbe non avere effetti sulle politiche dell'Amministrazione Bush da ora al 2008.

di Carlo Benedetti

Gli oligarchi della Russia alzano il tiro. E questa volta decidono di entrare a gamba tesa nel settore dell'alluminio. Danno vita alla più grande società per la produzione d'allumina e d'alluminio che impegnerà 110.000 dipendenti ed opererà in 17 paesi di tutti i continenti. Nel giro di un anno avrà un incasso di circa 10 miliardi di dollari e in cinque anni toccherà investimenti pari a 3 miliardi e mezzo di dollari. Il volume della produzione sarà di circa 5 milioni di tonnellate d'alluminio. Tutto questo avviene a Mosca dove due big della nuova Russia - Oleg Deripaska e Viktor Veksel'berg - hanno deciso di unire le loro società (Rusal e Sual) alla svizzera Glenkor. Nasce, pertanto, un nuovo gigante di valore mondiale. Si chiamerà Russkij alluminium, "Alluminio russo". Tutto questo vuol dire che la Russia diverrà sempre più il leader mondiale del settore. E non è un caso se questa operazione è stata organizzata e diretta da uomini che si sono formati all'ombra del Cremlino.


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