di Carlo Benedetti

L’allarme sembra rientrato. Resta la paura e restano molte incognite. Perché quanto avvenuto in Bulgaria nella centrale nucleare di Kozlodui, sulle rive del “bel Danubio blu”, è ancora un mistero. Tutto avviene all’inizio del mese, ma solo ora l’opinione pubblica locale e il mondo intero vengono a conoscenza dei primi fatti; vale a dire che la centrale atomica (quattro dei sei reattori realizzati dall’Urss una ventina d’anni fa) ha registrato una fuoriuscita di sostanze radioattive da una tubazione ad alta pressione. La cronaca di quelle tragiche ore è oggi ricostruita e ricorda paurosamente uno scenario già visto con Cernobyl, quando le autorità sovietiche – era il 26 aprile 1986 – cercarono con tutti i mezzi di nascondere al mondo la portata del disastro. Ed ecco i fatti che, nonostante la “blindatura” bulgara, vengono alla luce.

di mazzetta


In teoria è strano che un paese come la Francia cada in un errore come quello che ha recentemente commesso il suo parlamento emanando una legge che condanna penalmente chi neghi il genocidio degli armeni.
L’iter della legge è quanto di più classico, una sapiente opera della lobby armena in Francia, su un corpo politico già mal disposto verso l’ingresso della Turchia in Europa, che ha spinto i partiti ad emanare questa sciocchezza.
Purtroppo per la Francia la decisione, oltre a far adombrare i turchi, rappresenta un grave errore politico. Si tratta di un errore prima di tutto perché la storia non si fa certo per decreto, ma al limite instaurando una supremazia culturale attraverso le ricerche, la dialettica o la propaganda. La storia è sempre stata definita dai vincitori superstiti e in questo caso è evidente che il governo turco non è per nulla sconfitto, gli armeni non sono vincitori e i francesi non sono certo intitolati a fare “operazioni verità” sulla storia degli altri.

di Carlo Benedetti

Anna Politkovskaja - la giornalista uccisa nei giorni scorsi a Mosca - è ora il simbolo della rivolta anti-Putin. I suoi scritti, le sue denunce passano di mano in mano segnando il mutamento della società. Il quotidiano dove scriveva - la Novaja gazeta - va a ruba. Si formano associazioni spontanee che chiedono chiarezza su quanto avvenuto. I militari del Cremlino cercano di bloccare ogni ulteriore fuga di notizie. Gli organi della sicurezza sono in stato d'allarme e le ambasciate della Russia hanno ricevuto l'ordine di tranquillizzare cancellerie, deputati, giornalisti. Putin sente tremare il suo trono. Tutto questo, detto in poche parole, rivela che torna di moda la "disinformazija". E proprio per combatterla si può tentare una rapida inchiesta sulla situazione cecena attuale. Perché sembra proprio di essere alla vigilia di qualche mutazione epocale a partire dal problema "numero uno": il Presidente.

di Bianca Cerri

Negli anni ’50 Ronnie Williamson sognava di diventare un giorno un campione di baseball. Un vero campione, tanto ricco da tirare fuori dalla miseria la sua famiglia. Poi il sogno si era avverato. Ronnie aveva iniziato a giocare con la squadra dell’Oakland As per poi passare ai New York Yankees. Ma tutto finì quando un giudice lo condannò a morte nel 1988 per aver violentato ed ucciso una cameriera. Nel braccio della morte Ronnie rimase undici anni prima di essere scagionato dal test del DNA richiesto dai suoi avvocati. Uscito dall’Oklahoma State Penitentiary fu rincorso dai giornalisti che volevano conoscere tutti i particolari della sua storia e per sfuggire alle loro attenzioni si rifugiò in casa dei famigliari. Poi un nipote lo aveva aiutato a comprarsi una roulotte ed era andato a vivere lì da solo.

di Agnese Licata

Rischia di precipitare, la situazione in Somalia. In questi giorni, infatti, le tensioni tra Corti islamiche, governo federale provvisorio ed Etiopia stanno subendo un’escalation preoccupante. Lunedì scorso un gruppo di truppe governative somale ed etiopi hanno preso il controllo di Bur Hakaba, una piccola cittadina che si trova sulla strada che congiunge due città fondamentali: Baidoa e Mogadiscio. Baidoa – circa 250 chilometri a nordovest della capitale – è la sede del governo provvisorio guidato la primo ministro Ali Mohamed Ghedi e appoggiato dalla comunità internazionale e dall’Etiopia. A controllare Mogadiscio, invece, sono le Corti islamiche, che lo scorso giugno hanno sconfitto i “warlords”. Bur Hakaba – 65 chilometri da Baidoa e 180 da Mogadiscio – era considerato l’avamposto di alcuni miliziani legati alle Corti. Il governo provvisorio ha così voluto mostrare di sapersi opporre all’espansione che milizie islamiche stanno portando avanti in tutto il sud del Paese. Ma di per sé le autorità somale non avrebbero né la forza né i mezzi per poter imporre una svolta decisiva al caos della Somalia.


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