di Mazzetta

Se per i nostri politici il Darfur può essere “uno stile di vita”, per il mainstream non va tanto meglio. Quando la crisi del Darfur è cominciata, ormai tre anni fa, nessuno se ne dette conto per lungo tempo. Il Sudan stava concludendo un accordo di pace tra il Nord islamico ed il sud cristiano; il governo del Nord era accusato di essere troppo talebano, ma bisogna considerare che la compagine governativa era composta da una coalizione che era figlia di un paese reduce da oltre venti anni di guerra civile, capeggiata da un presidente tanto pragmatico che, per cercare vantaggi sui meridionali sostenuti dagli inglesi (referenti coloniali locali), non aveva esitato ad accettare gli aiuti di personaggi ostili all’Occidente come Gheddafi e Bin Laden.Dopo gli attentati del 9/11 il pragmatico al Bashir ha seguito l’esempio di Gheddafi e si è velocemente allineato ai desideri di Washington: lo certificano decine di dichiarazioni di ufficiali della Cia, dell’amministrazione Bush e di altre fonti americane, secondo le quali l’aiuto dei sevizi sudanesi è stato “indispensabile”.

di Carlo Benedetti

C’erano una volta i paesi “non allineati” che avevano nell’India uno dei punti cardinali, una sorta di centro direzionale teorico e “spirituale”. Cambiano i tempi ma la dirigenza di New Delhi - forte del suo continuo prestigio - sembra sempre più orientata al rilancio di una politica che contribuisca ad affermare nuove relazioni internazionali capaci di individuare orizzonti più avanzati, per gli scambi geopolitici ed economici. La visione strategica è quella di un mondo che si riconosca nella multipolarità. E su questa strada si muove l’India del premier Manmohan Singh, un leader che ricevendo nei giorni scorsi il presidente russo Vladimir Putin, ha voluto porre l’accento sulle nuove condizioni socio-economiche che dominano le scene della Russia e dell’India e che trovano una immediata rispondenza nella realtà della Cina. E così l’incontro tra Manmohan Singh e il capo del Cremlino è stato dominato da quella “teoria” del triangolo strategico India-Russia-Cina che fu un cavallo di battaglia di uno stratega come Primakov, uomo che ha lasciato una forte impronta sulla politica estera dell’Urss prima e della Russia dopo.

di Giuseppe Zaccagni

Il nuovo Est - Romania e Bulgaria - è appena entrato in Europa e si preoccupa subito di fare i primi “regali” all’Assemblea di Strasburgo: mette sul piatto della bilancia politica dell’europarlamento sei nuovi deputati che permettono all’estrema destra di formalizzare un gruppo parlamentare autonomo. E così l’Europa - già in agitazione per i rigurgiti fascisti nel Baltico - si trova a dover fare sempre più i conti con le realtà politiche della destra balcanica, romena e bulgara.In prima linea si presentano i fascisti del “Partito della grande Romania” sempre più impegnati per la riabilitazione del maresciallo Antonescu. Arrivano da Bucarest in cinque e si apprestano a dare battaglia su tutti i fronti, in primo luogo contro le repubbliche della Moldavia e dell’Ungheria.

di Giuseppe Zaccagni

In attesa di sferrare l’attacco all’Iran di Mahmoud Ahmadinejad, gli Stati Uniti annunciano “sanzioni” contro la Russia ritenuta “colpevole” di “aiutare militarmente“ Teheran con la fornitura di 29 sistemi missilistici antiaerei “Tor-M1”. L’annuncio di questa nuova escalation americana viene dal portavoce ufficiale del Dipartimento di Stato, Sean Mc Cormack. Il quale ricorda che l'amministrazione di Bush aveva già più volte annunciato misure “repressive” riferite a quel contratto siglato nel dicembre 2005 tra il Cremlino e Teheran per un valore complessivo di 700 milioni di dollari. La tesi avanzata era che non si potevano vendere armamenti ad uno stato che si rifiutava di soddisfare le richieste del Consiglio di sicurezza dell'Onu a proposito dei processi di arricchimento dell'uranio.

di Daniele John Angrisani

Dinanzi ad un Paese e ad un Congresso nettamente ostili rispetto alla sua politica, l'anatra decapitata, George W. Bush, ha pronunciato il suo settimo e penultimo discorso sullo Stato dell'Unione. Mai prima d'ora un presidente con un così basso indice di popolarità (secondo l'ultimo sondaggio della CBS, addirittura il 28%) si è infatti dovuto presentare dinanzi alla Camera ed al Senato in riunione congiunta, per questo appuntamento annuale della tradizione presidenziale americana. In questo contesto, il presidente ha cercato, dal suo punto di vista, di fare del suo meglio per convincere gli americani a dare una chance ulteriore al suo piano sull'Iraq, che prevede l'invio di ulteriori nuove truppe in questo Paese mediorientale. Ma l'impressione di tutti è che a nulla siano servite le sue parole, come è stato dimostrato anche dal voto del Senato che il 24 gennaio ha deciso di approvare una risoluzione "non vincolante" per bocciare il piano presidenziale, con il voto importantissimo anche di un senatore repubblicano di lunga data come Chuck Hagel, uno dei tanti aspiranti repubblicana alla carica di successore di Bush.


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