di Elena Ferrara

L’Italia di Prodi va all’attacco del continente “Cindia”: ora sbarca in India dopo l’ultima tappa cinese del settembre scorso che lo aveva portato all’incontro con il presidente Hu Jintao. Al quale aveva detto: “La vostra economia corre veloce e sarebbero per noi guai seri perdere ancora un altro treno. E comunque arriviamo tardi e dobbiamo correre. Può esserci stato ritardo ma prima di tutto, quando c'è uno sviluppo così multiplo, i treni sono tanti e guai a ritardare ancora”. E così, concluso positivamente quel blitz oltre la grande muraglia, l’attenzione si sposta sull’altra grande metà asiatica dove - dall’11 a 14 febbraio – va in scena il grande spot italiano in una regione che è ormai considerata come la “Silicon Valley” dell’avvenire. Con Prodi ci sono gli uomini della Confindustria (oltre 400 imprenditori) che aspirano al dominio del grande mercato indiano. Hanno come obiettivo quello di raggiungere nel 2010 un flusso di commercio bilaterale di 10 miliardi, contro gli attuali 4,4 e un livello di investimenti pari a circa 200 milioni all'anno contro i 50 milioni di oggi.

di Agnese Licata

La netta sconfitta elettorale dello scorso novembre non sembra aver insegnato molto a George W. Bush. Nonostante la contrarietà dell’elettorato americano alla sua politica estera, Bush continua ad andare avanti per la sua strada. Non solo non rinuncia all’idea di risolvere la drammatica situazione irachena attraverso l’aumento delle truppe, ma presenta un bilancio federale che anche per il 2008 continua a dirottare le risorse dal sistema sociale all’esercito; dall’assistenza sanitaria pubblica al Pentagono. Queste le cifre che Bush ha proposto al Congresso lunedì. Su un bilancio totale pari a 2.900 miliardi di dollari, il Presidente degli Stati Uniti vorrebbe dedicare ben 716,5 miliardi a spese militari varie. Di questi, 235 miliardi andrebbero alle missioni all’estero in Iraq e Afghanistan, tra i quali anche i 6 miliardi necessari per spedire 21.500 soldati stelle e strisce nell’ex regno di Saddam Hussein.

di Neri Santorini

Antiamericani noi? Ma non saranno gli americani a essere anti-italiani? La Casa della destra accusa l’altra metà dell’Italia di essere anti americana perché osa criticare, di quando in quando, timidamente, l’operato dell’amministrazione Bush. Eppure, secondo i sondaggi Usa e l’esito delle ultime elezioni di midterm, Bush è stato sfiduciato da una netta maggioranza degli stessi americani. Sono antiamericani anche loro? Siamo anti americani perché qualche nostro soldato ha sparato e ucciso per “fuoco amico” un alleato americano? Non risulta. Ma è vero il contrario: un soldato americano, Mario Louis Lozano, il 4 marzo del 2005 ha sparato una lunga raffica di mitra a Bagdad contro l’auto su cui viaggiava Nicola Calipari, dirigente del Sismi, con Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto (appena liberata dopo un lungo sequestro) e il maggiore Andrea Carpani, alla guida. E’ bene ricordare i fatti.

di Giuseppe Zaccagni

Le istituzioni ufficiali dell’Europa democratica e antifascista per ora mantengono il silenzio. E così l’Estonia si spinge sempre più a destra, verso lidi che ricordano gli anni del fascismo e del nazismo. Con il vertice del paese che rispolvera le peggiori tradizioni reazionarie e mette in atto una politica di totale revisione della storia. A Tallin, infatti, il parlamento vara una legge che permette alle amministrazioni locali di smantellare quei monumenti eretti in memoria dei militari sovietici che morirono sul territorio estone durante la Seconda guerra mondiale. E quella battaglia per la libertà del Baltico e per cacciare da quelle terre le SS naziste viene non solo contestata, ma si parla addirittura di aggressione sovietica e di una conseguente “occupazione”. La nuova legge, comunque, viene presentata come espressione di una nuova forma di civiltà democratica. Si sostiene che una certa “arte monumentale” (e questo eufemismo sta per “tombe” nei cimiteri di guerra) può contribuire ad alimentare l’ “odio razziale”. E di conseguenza si considerano i soldati sovietici sepolti in Estonia come i rappresentanti di un’altra razza... Non solo, ma nella legge si sostiene che i fatti dell’ultima guerra vanno considerati come una “occupazione dello stato estone”.

di Giuseppe Zaccagni

La piccola e disastrata Repubblica Popolare di Corea (Nord) - dominata da Kim Jong Il - continua a far paura per il suo (controverso) programma nucleare. Ed ora – precisamente l’8 febbraio, a Pechino – andrà a sistemarsi nella gabbia degli imputati. Avrà di fronte i giudici di cinque paesi: i nemici tradizionali che sono gli Usa, la Corea del Sud, la Gran Bretagna e gli amici critici come la Russia e la Cina. E sarà, appunto, in questo singolare tribunale internazionale che la Corea del Nord dovrà rispondere sul contenuto reale di quei segnali bellicosi rivolti al mondo nei mesi scorsi: un eventuale lancio di missili – i “Taepodong 2 - con testate nucleari capaci di raggiungere l’Alaska.


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