di Giuseppe Zaccagni

E’ un compromesso storico quello raggiunto a Pechino dopo giorni di trattative. Perché il governo nordcoreano di Pyongyang ha deciso di sospendere il suo programma nucleare in cambio di un milione di tonnellate di greggio l'anno a partire dal momento del blocco del suo reattore di Yongbyon (attualmente utilizzabile anche per scopi militari dal momento che è in grado di produrre uranio indispensabile per la costruzione di armi atomiche) e di ottenere, poi, due milioni di kilowatt di elettricità al suo definitivo smantellamento. Crisi salvata, quindi. Almeno per il momento, conoscendo le passate impennate del leader coreano Kim Jiong-Il. Comunque i negoziatori – Corea del Sud, Russia, Cina, Stati Uniti – lasciano soddisfatti la capitale cinese che è stata l’arena di un tour de force diplomatico che tendeva, sin dai primi passi, a convincere i nordisti a sospendere il loro programma atomico di carattere militare.

di Fabrizio Casari

Sull’l’Iran tornano a soffiare i venti di guerra. Vuoi per l’inconciliabilità delle posizioni tra Washington e Teheran, vuoi per le prese di posizioni europee che nella ricerca di una mediazione possibile si scontrano con il “no” pregiudiziale di Stati Uniti e Gran Bretagna, il timore di un attacco militare statunitense all’Iran torna di preoccupante attualità. Le pretese occidentali di proibire la messa a punto dei reattori nucleari iraniani, che Teheran assicura destinati solo ad usi civili, si fondano, all’apparenza, sul rischio che il regime teocratico possa assumere un ruolo di primo piano nello scacchiere atomico. D’altra parte, le posizioni politiche del Presidente Ahmadinejad, certo non aiutano a fidarsi delle assicurazioni circa la destinazione d’uso del plutonio.

di Carlo Benedetti

Negli Usa i funerali di stato sono fissati per ottobre. Ma la morte della famosa emittente anticomunista ed antisovietica è già stata annunciata: la Voice of America, che trasmetteva 24-ore-su-24 - dal 1947 - nelle lingue dei popoli dell’Urss (Golos Ameriki, in russo), sarà chiusa dopo aver servito fedelmente i suoi proprietari, il governo americano, la Cia e il Pentagono. E per par condicio cesseranno anche le analoghe emissioni che erano rivolte all’Ucraina, alla Georgia e all’Usbekistan, sempre nelle lingue locali. La Voice scomparirà così nell’etere - dopo averlo dominato per oltre 60 anni – perché Bush, convinto (oggi) dell’inutilità di un tale servizio radiofonico, ha deciso di concentrare gli sforzi propagandistici sull’area musulmana. E subito la “Voce” parlerà arabo e concentrerà la sua attività per diffondere la politica degli Usa in zone che oggi sono particolarmente al centro dell’attenzione militare della Casa Bianca e del Pentagono. Le onde americane arriveranno ora (oltre che nell’Iraq occupato) anche nel Medio Oriente, nell’Iran, Afghanistan e Pakistan per raggiungere anche quei musulmani che vivono in Europa.

di Luca Mazzucato

L'accordo raggiunto alla Mecca tra i leader di Hamas e Fatah rappresenta un passo di fondamentale importanza per allontanare definitivamente lo spettro della guerra civile dai Territori Occupati. Il re saudita Abdullah ha messo sul tavolo il proprio prestigio - e soprattutto i propri petrodollari - per costringere Khaled Mash'al, leader di Hamas, e Mahmoud Abbas, il presidente palestinese e leader di Fatah, a deporre le armi e creare un governo palestinese di unità nazionale. Questo inaspettato accordo potrebbe essere il primo segnale di una svolta nel conflitto e segnala la definitiva sconfitta della politica israeliana di isolamento dell'ANP e una rivincita sunnita contro la crescente influenza iraniana nell'area. Nelle ultime settimane le tensioni nei Territori stavano culminando in una vera e propria guerra civile, quando le due università nella Striscia di Gaza venivano date al fuoco dalle fazioni rivali. Ad ogni angolo di strada militanti armati allestivano check-point improvvisati e le famiglie palestinesi non mandavano più i figli a scuola, per paura dei continui scontri a fuoco, che solo nell'ultima settimana hanno visto la morte di centotrenta palestinesi.

di Daniele John Angrisani

La sera del 9 febbraio, il titolo principale del sito dell'emittente americana filo-Bush, Fox News, era "Una nuova Guerra Fredda?" Tale è stata infatti la reazione alle aspre critiche del presidente russo Vladimir Putin sulla politica estera americana alla Conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco, che titoli di questo tenore si sono sprecati su tutta la stampa americana. Nella folta delegazione americana presente alla Conferenza vi sono stati alcuni, come il senatore John McCain - probabile candidato repubblicano alla presidenza - che non hanno lesinato attacchi diretti a Putin in risposta alle sue parole, affermando che "Mosca non può pensare di avere una partnership con l'Occidente, se non condivide in politica interna ed in politica estera i valori dell'Occidente". Il suo collega senatore, Joseph Lieberman, eletto come indipendente nel Connecticut, ha rincarato i toni affermando che quella di Putin era "retorica da Guerra Fredda" e che si è trattato di un discorso mirato al "confronto" e non al "dialogo". Ma allora siamo davvero tornati alla Guerra Fredda come si chiede Fox News?


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