di Daniele John Angrisani

Nelle more della politica internazionale, di questi tempi ci si trova sovente di fronte ad alcune questioni a prima vista incomprensibili per una mente normale. Una di queste è sicuramente la problematica relativa all'indipendenza della provincia serba a maggioranza albanese, il Kosovo. Da un lato sono schierati i kosovari che, con l'appoggio degli Stati Uniti e dell'Unione Europea, chiedono a gran voce l'indipendenza del proprio Paese; dall'altro il governo di Belgrado che invece, con l'appoggio forte dei russi, è impegnato a cercare di evitare, in tutti i modi, che tale prospettiva possa tramutarsi in realtà, in quanto considera la provincia come parte storicamente integrante del proprio territorio. Il Kosovo, a seguito della guerra del 1999 e della sconfitta della Serbia di Milosevic, è diventato un protettorato internazionale protetto dalle truppe della NATO su mandato delle Nazioni Unite, in attesa dei negoziati che si sarebbero dovuti tenere tra serbi e kosovari sullo status definitivo della provincia. Son passati anni e di questi negoziati non si è vista alcuna traccia fino a tutto il 2006. Nel frattempo, sotto gli occhi vigili delle truppe internazionali, si è potuto procedere ad una vera e propria pulizia etnica dei serbi ancora viventi in Kosovo che sono stati sottoposti ad ogni sorta di violenza da parte dei reduci dell'UCK, la guerriglia kosovara, senza nessuno che abbia mosso un dito in loro difesa, fino ai pesanti scontri del 2004. Da allora vige una sorte di "convivenza gelida" tra le due etnie.

di Bianca Cerri

Il ragazzo afferra la coda dell’iguana mentre gli amici gli fanno cerchio tutto attorno. Dopo tre giorni di digiuno, l’animale sarà il loro unico pasto e chissà quando ce ne sarà un altro. Tre giorni, un tempo eterno per i giovani ispanici ma finalmente sta per arrivare il treno che li porterà verso il futuro. La gente alla stazione di Tecnosique li ha avvertiti: tornatevene a casa perché quel treno vi mangerà ma loro vogliono prenderlo a tutti i costi. Soldi per il biglietto non ne hanno, aspetteranno che il treno riparta per saltare su prima che prenda velocità. Finalmente arriva il segnale di partenza e i ragazzi iniziano a correre, afferrano la maniglia e, con una spinta si reni, si issano a bordo. La loro gioia è incontenibile e, voltandosi verso il passato che si lasciano alle spalle, urlano al vento che stanno andando verso “el norte”.

di mazzetta

Dopo mesi di attivismo, com’era prevedibile, la Francia è riuscita a trascinare l’Europa nella sua guerra africana. La UE ha infatti deciso l’invio di truppe in Ciad e Repubblica Centrafricana allo scopo, formale, di aiutare i profughi del Darfur. Il Darfur è però un pretesto, la Francia non è per nulla interessata alla sorte dei profughi sudanesi; alla Francia importa avere una copertura legale per le proprie operazioni militari nei due paesi. La mancanza di conoscenza della situazione sul terreno e la scarsità di notizie sui bagni di sangue nell’area, hanno spinto il nostro paese ad offrire addirittura appoggio logistico, si parla di elicotteri, ad un’avventura che ha tutti i crismi della truffa come non se ne vedevano dai tempi dell’invasione dell’Iraq. Come per l’Iraq la partecipazione del nostro paese è fondata su una menzogna; in Iraq c’erano da neutralizzare le armi di distruzione di massa, qui invece ci sono da salvare i profughi del Darfur. Ora, a parte il fatto incontestabile che i profughi del Darfur sono stati abbandonati a loro stessi per anni, salvo quando qualche politico o attore occidentale aveva bisogno di una photo-opportunity, la realtà è molto diversa da quella che ha portato il nostro paese ad aderire a questa nuova avventura.

di Fabrizio Casari

E’ ormai un anno che Fidel Castro ha ufficialmente ceduto le funzioni di governo ad una giunta guidata da suo fratello Raul e formata da cinque alti dirigenti di assoluto rilievo nel quadro politico dell’isola. Gli interrogativi che un anno fa la stampa e le cancellerie di tutto il mondo ponevano, riguardavano la possibilità o meno che il sistema riuscisse a continuare nel suo cammino o se, invece, l’uscita di scena di Fidel, per relativa che fosse, avrebbe aperto una situazione di caos nell’isola. Un interrogativo, quello sulle capacità di tenuta del sistema cubano, che si accompagnò all’incertezza circa le effettive condizioni di salute del lider maximo. Ci si domandava, infatti, se Fidel Castro sarebbe guarito o se, invece, gli sforzi dei sanitari sarebbero risultati vani. In questa possibilità molti ci avevano sperato, è noto. La maggior parte di essi risiedono a Miami, salvo alcuni supporters europei allocati a macchia di leopardo tra Praga, Madrid e Roma. In Florida, dove da quaranta noiosi anni la morte di Fidel è annunciata ogni giorno prima e dopo i pasti, si erano scatenati caroselli di macchine con a bordo la feccia della città. Avvoltoi senza ali, adagiati nella lunga ombra di morte accucciata sotto le bandiere della FNCA, la Fundaciòn Nacional Cubano Americana, cioè l’agglomerato di mafiosi ed affaristi che, dagli Usa e con l’aiuto del governo Usa, finanziano e sostengono le attività terroristiche contro Cuba.

di Carlo Benedetti

MOSCA Si arriva nella capitale russa e subito si scopre che c’è - oltrefrontiera - una nuova Cecenia che si materializza in un’altra parte del cuore del Caucaso. Per ora c’è solo il recente risultato di un referendum (supercontestato) che assegna la vittoria all’Armenia nella contestata questione del Nagorno-Karabach, l’autoproclamata repubblica autonoma abitata in maggioranza dagli armeni ma inserita nel territorio dell’Azerbaijan. Una enclave che da sempre è al centro di scontri tra Baku e Erevan rivelando - dal punto di vista geopolitico - che in una regione già calda c’è un vero e proprio “conflitto congelato” sempre a rischio di nuovi inneschi. Il territorio contestato è minimo: 4400 chilometri quadrati. Ma è qui che si concentrano problemi epocali che segnano il rapporto tra le due grandi entità della regione: l’Armenia forte dell’appoggio di una diaspora internazionale e di lobby presenti negli Usa e in Israele; l’Azerbaijan legato al mondo turco ma pur sempre ancorato alla politica estera espressa da Mosca. E così questa enclave del Nagorno-Karabach, pur trovandosi nel cuore dell’Azerbaijan non si sente azera e, in particolare dal 1988, alza la testa contro i “coloni” di Baku.


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