di Bianca Cerri

A New Orleans circola una storiella di quelle che gli adulti raccontano quando i bambini sono già andati a letto. Tre uomini bendati palpano un elefante senza sapere di che animale si tratta. Il primo gli sfiora i fianchi e dice che è una mucca, il secondo afferra la proboscide e dice che è un serpente, il terzo, beh, afferra i genitali dell’elefante e dice che è un rinoceronte. Ecco, forse il paragone è goliardico ma descrive perfettamente come è oggi New Orleans, una città che ciascuno descrive a seconda delle proprie sensazioni sapendo che comunque non tornerà più come era una volta. Le ferite che le hanno inferto sia la natura che gli uomini saranno difficili da sanare. Il 30 agosto del 2005, quando i venti che avevano cambiato per sempre la fisionomia delle coste della Louisiana si placarono, il fruscio prodotto da miliardi di dollari in arrivò attirò stormi di multinazionali come Hulliburton, Bechtel, Kellog Brown, ecc. che si gettarono come avvoltoi sul business della ricostruzione. Due anni dopo, molti dei lavoratori arrivati da vari paese del mondo, aspettano ancora di sapere cosa ne sia stato dei loro salari. Almeno la metà fu assunta in nero - o vis-a-vis, come si dice da queste parti - e costretta a lavorare con la paura di essere deportati perché privi del permesso di soggiorno. In stati come la Louisiana o il Mississippi, dove la classe operaia non ha mai potuto contare su grandi garanzie, il passaggio di Katrina aveva spazzato via anche i pochi punti fermi, ad iniziare dai minimi salariali previsti dalle leggi nazionali.

di Fabrizio Casari

L’Amministrazione Bush non attraversa certo una fase di splendore. I suoi consensi sono al minimo storico e le prossime elezioni fanno ipotizzare una possibile vittoria repubblicana solo nel caso di un suicidio politico dei democratici (peraltro specialisti della materia). Almeno questo sembra emergere dalla crisi della destra, orfana dei suoi neocon e in attesa della mobilitazione dei suoi predicatori. Ma tra una amministrazione democratica o repubblicana, sotto il profilo della propaganda imperiale non vi sarebbe una grande differenza, giacché entrambi i partiti, pur con sfumature diverse, ritengono comunque che l’agenda politica statunitense debba essere sostenuta, internamente ed internazionalmente, con ogni mezzo ed in ogni luogo. La scommessa, infatti, è quella del recupero della leadership statunitense a livello planetario, leadership quanto mai messa in discussione dagli ultimi otto anni di presidenza Bush. L’informazione, con la quale si possono deformare i fatti e costruire il senso comune di un mondo alla rovescia, si trova dunque al primo posto nella strategia della comunicazione statunitense. Non è quindi un caso se nella legge di bilancio del prossimo 2008 viene previsto uno sforzo straordinario per la propaganda ed una messe di denaro per chi, nel mondo, voglia sostenerla.

di Giuseppe Zaccagni

Il ricco elettricista di Danzica, Lew Walesa, se la ride sotto i baffi, ma dice anche che “i metodi dei Kaczynski per ridurre al silenzio chiunque non sia d’accordo con loro mi ricordano quelli attuati dai comunisti per distruggere Solidarnosc. Sono loro due che dovrebbero essere arrestati”. L’ex presidente Aleksander Kwasniewskij dichiara di aver previsto tutto. Il vecchio generale Jaruszelskij - sotto il nero dei suoi occhiali - nasconde lampi di cinica gioia per quanto sta avvenendo. Il primate accende un cero sotto l’icona di Woytila, il Papa che era stato chiamato a salvare la Polonia. Brzezinskij studia quello che dovrà dire quando a Varsavia si arriverà alla resa dei conti. I giornalisti del quotidiano Gazeta Wyborcza sbattono in prima pagina un titolo che denuncia la faida politica scoppiata al vertice del Paese. E i padri cattolici della famosa Radio Marija promettono a Dio di non pregare più per chi non lo merita. E così, in questo clima di crisi a tutto campo, la Polonia si avvia alle elezioni. Il parlamento sarà sciolto il 7 settembre e la consultazione potrebbe tenersi il 21 ottobre prossimo, così come messo nel conto dal partito al governo, quello appunto dei gemelli Kaczynski: Lech, presidente della Polonia (al momento ricoverato in ospedale) e Jaroslaw, premier.

di Elena Ferrara

Gli americani hanno la Cia, gli israeliani il Mossad, i russi l’Fsb, gli inglesi l’MI-6 : ma ora anche i Rom si dotano della loro intellicence. Si chiama “Sisrom”, che sta per “Servizio Informazione Sicurezza Rom”. Ha come punto base la Romania (il paese dove si è costituito ufficialmente) ed ha già stabilito rapporti a livello mondiale con l’ Interpol ed altre organizzazioni che si occupano della sicurezza. Supera così i giganteschi ostacoli innalzati dal potere dominante nei confronti di una popolazione da sempre umiliata. Alle spalle di questa nuova centrale investigativa c’è un movimento romeno particolarmente attivo che si chiama “Partito degli zingari” e che, nel parlamento di Bucarest, è rappresentato dal deputato Rom, Medelin Bojku. Ed è lui che fornisce alla stampa queste prime informazioni sul Sisrom. Che ha, come compito istituzionale, quello di svolgere operazioni di studio e di analisi in tutta la diaspora. Catalogare, quindi, le varie etnie segnalando alla centrale di Bucarest dove e come sono organizzati i campi zingari sparsi nel mondo. Una lavoro parallelo di indagine e di controllo che porterà il Sisrom, nel giro di pochi anni, ad essere una delle centrali di intelligence più importanti del mondo, capace di diegnare i contorni di un gruppo sociale.

di Luca Mazzucato


Il clan neocon di George Bush prepara un addio al potere letteralmente col botto. Quella che sarà probabilmente l'ultima mossa dell'amministrazione americana in Medioriente segnerà il futuro della regione per i prossimi anni, all'insegna della dottrina del “caos creativo”, che sta dando ottimi frutti (per Bush e alleati) in Iraq e in Palestina. Il presidente americano chiederà al Congresso un finanziamento a pioggia di circa sessanta miliardi di dollari in armamenti per Israele, Egitto, Arabia Saudita e i regimi filo-americani nel Golfo. Il pacchetto include bombe a guida satellitare, caccia ultramoderni e navi da guerra. Il motivo ufficiale è accerchiare la crescente potenza iraniana rafforzando gli alleati sunniti. Pesantemente contrarie le reazioni della Germania (che si oppone anche allo scudo antimissile di Bush in Europa orientale) ma soprattutto di una coalizione bipartisan del Congresso, che minaccia battaglia in aula. Dopo l'appoggio al progetto nucleare indiano, che sta cambiando l'assetto geopolitico asiatico, Bush decide di lasciare il segno anche in Medioriente. Ad un anno dalle elezioni presidenziali, che porteranno probabilmente ad un graduale disimpegno dall'Iraq, l'amministrazione più guerrafondaia della storia guarda lontano e cerca di plasmare il nuovo scenario regionale nei prossimi decenni.


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