di Daniele John Angrisani

Nei corridori del potere di Washington tira una strana aria. Per la prima volta dalla fine della guerra fredda l’elite politica ed economica degli Stati Uniti, abituata a fare e disfare qualsiasi cosa a suo totale piacimento, si trova ad affrontare una situazione di crisi da cui sembra apparentemente non riuscire ad uscirne fuori. Il pantano in cui si è andato ad infilare l’esercito americano in Iraq, assomiglia infatti, ogni giorno che passa, sempre di più ad una palude di sabbie mobili che inghiotte la potenza politica e militare americana con la velocità di un buco nero. L’inquilino della Casa Bianca, ormai più anatra decapitata che azzoppata, viene additato come il principale responsabile di questa catastrofe, che, anche un giornale dell’estabilishment, come il New York Times definisce “un fallimento disastroso”. Persino coloro che questa guerra tanto l’avevano agognata, ai tempi del “suonar di tamburi di guerra sul Potomac”, adesso hanno iniziato a ricredersi e a considerare questa avventura come uno dei peggiori errori strategici della storia degli Stati Uniti. Il tutto mentre da pochi giorni si è riunito il nuovo Congresso che, dopo la disfatta dei repubblicani alle elezioni di mid term, è dominato dai democratici, i quali non lesinano critiche anche pesanti alla condotta della Casa Bianca, sebbene non abbiano di fatto nessuna soluzione alternativa da proporre.

di Mazzetta

Questa mattina all’alba sono stati giustiziati in Iraq Barzan al-Tikriti e Awad Hamad al-Bandar. Il primo era il fratellastro di Saddam e capo dei suoi temuti servizi segreti dal 1979 al 1983, il secondo era a capo della Corte Rivoluzionaria Irachena e quindi del sistema penale. Entrambi erano stati condannati in quanto riconosciuti colpevoli (insieme a Saddam) dell’esecuzione di 148 abitanti di Dujail nel 1982. La strage degli abitanti di questa cittadina venne decretata a seguito di un fallito attentato a Saddam, nel corso del quale furono sparati colpi di mitragliatrice che colpirono l’auto del dittatore mentre lasciava il posto dopo una visita ufficiale. Dopo un rastrellamento di quasi cinquecento persone, un terzo di loro venne condannato a morte ed ucciso. Se per il capo dei servizi segreti la condanna non aveva suscitato particolare stupore, più problematica è stata sicuramente quella del giudice, poiché la difesa ha a lungo sostenuto che questi si sia limitato ad applicare il codice penale iracheno vigente all’epoca.

di Giuseppe Zaccagni

MOSCA. Sembrava una “vicenda” circoscritta nel tempo. Archiviata nei meandri della storia. Materia di dibattiti per diplomatici e studiosi delle vicende della seconda guerra mondiale. Contenzioso sì, ma pur sempre caratterizzato da intese sul filo della realpolitik. Invece la questione torna ad esplodere e per Putin potrebbe essere un nuovo e duro problema da affrontare. Accade infatti che il Giappone riapre la già contestata pagina relativa a quelle quattro isole che compongono l'arcipelago meridionale delle Kurili, un tempo comprese nel Giappone e poi occupate dall’Urss nel corso della seconda guerra mondiale. Aree tutte della regione di Sachalin e sempre definite, nel linguaggio geopolitico di Tokio, come “Territori del nord”. Ma ora sembra proprio che sia arrivata la resa dei conti. Perchè il ministro degli Esteri giapponese Taro Asso - nel corso di una seduta della commissione parlamentare per gli affari esteri giapponese svoltasi a Tokio - chiede che Russia e Giappone si spartiscano in metà eguali le quattro isole che compongono l'arcipelago meridionale delle Kurili.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Sull’onda lunga della guerra del gas - che coinvolge e sconvolge Mosca, Kiev ed ora Minsk - arriva al Cremlino la protesta dei bojari. Perchè i deputati della Duma alzano il tiro contro il governo guidato dal primo ministro Michail Fradkov. Ma in realtà l’attacco è a Putin. E l’accusa rivolta all’intero vertice del Paese è di aver tirato troppo la fune delle pressioni e delle contese con le nazioni confinanti utilizzando, come strumento di pressione geopolitica, le enormi risorse energetiche di cui la Russia dispone. I deputati, inoltre, manifestanto sempre più scetticismo nei confronti di quel vecchio progetto di unificazione economico-amministrativa tra Russia e Bielorussia, di cui si parla da anni e che ora langue mostrando sempre più di essere considerato come un mezzo per estendere il controllo di Mosca su una importante area della Csi.

dall'inviato Fabrizio Casari

MANAGUA. Sedici capi di Stato e di governo, esponenti di forze politiche provenienti da sessantacinque Paesi, mille giornalisti accreditati. La cifra politica dell’insediamento del Comandante Daniel Ortega alla Presidenza della Repubblica è anche qui; mai, nella storia del piccolo paese centroamericano, l’insediamento di un presidente aveva convocato tanto interesse a livello internazionale. È il segnale evidente di un clima di attesa e d’interesse politico che anche a livello internazionale caratterizza il ritorno al potere, dopo sedici anni di opposizione, del Frente Sandinista. Daniel Ortega, presidente del Nicaragua che fu, è il Presidente del Nicaragua che sarà. Le aspettative sono tante e la fiducia è decisamente superiore alle paure. La cerimonia dell’investitura, ricca di dettagli curiosi quanto indicativi e anche di una improvvisazione inaspettata, ha rappresentato però non solo il passaggio formale tra l’esecutivo entrante e quello uscente.


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