di Elena Ferrara

La parola “pace” è bandita dal Darfur. Con il tragico scenario del Sudan e del Ciad che riprendono le ostilità. Da Khartum (che alle spalle ha sempre una guerra civile tra Sud e Nord del paese, scoppiata per il controllo dei giacimenti di petrolio e complicate questioni etniche e religiose) giungono notizie sempre più allarmanti (in Darfur si combatte) che riferiscono di un’aggressione armata, in cui almeno 17 soldati sudanesi sarebbero rimasti uccisi dopo un’incursione delle truppe del Ciad. E da N’Djamena – la capitale situata sulle rive del fiume Chari – si ammette l’incursione sostenendo, però, che alcuni reparti dell’esercito erano sì entrati nella regione sudanese del Darfur, ma solo per inseguire un gruppo di ribelli. E sempre in riferimento a questi scontri il Ciad accusa le forze sudanesi di essere intervenute a protezione delle retroguardie dei ribelli del Cnt (“Concordia nazionale del Ciad”). Khartum sostiene invece di avere respinto un attacco nella zona di Khour Baranga, nel Darfur occidentale. E ancora una volta negli scontri – a quanto risulta alle agenzie di stampa - ci sarebbero state ingenti perdite tra i civili.

di Giuseppe Zaccagni

Un Iran sempre più impenetrabile con un potere centrale – quello del presidente Mahmoud Ahmadinejad – capace di dispiegare una forza immensa, ma allo stesso tempo di muoversi in uno stato di palese incertezza. E’, in sintesi, la fotografia dell’oggi. Dove in primo piano svetta il capo supremo del Paese che lancia un annuncio che è, allo stesso tempo, un monito sul quale riflettere. La sede prescelta da Ahmadinejad è la città di Natanz (200 chilometri a sud della capitale) dalla quale, appunto, parte una nuova sfida: è l’avvio della nuova era nucleare di Teheran. Ed è un significativo ed agghiacciante incipit del discorso del leader iraniano che risuonerà per vario tempo nelle cancellerie dei paesi che temono l’Iran: “A partire da oggi l'Iran si è aggiunto alla lista di quei Paesi in grado di produrre combustibile nucleare". Nessuno, quindi, sarà in grado di fermare il programma nucleare di Teheran perché – come ama ripetere con tragica monotonia Ahmadinejad - "il nostro percorso nucleare è una strada senza ritorno". Il percorso è quello dell’arricchimento dell’uranio.

di mazzetta

Nel nostro paese l’Afghanistan ha l’immagine di un giornalista liberato che esce esultando dall’aereo che lo ha riportato in patria. Nel nostro paese il dibattito sull’Afghanistan si riduce a una squallida lotta ad uso interno, ora strumentalizzando la morte di un afgano che non abbiamo saputo proteggere, ora mettendo sul banco degli imputati Emergency, mentre i soliti sciacalli premono perché i nostri soldati combattano ed uccidano, dimostrando agli alleati che anche il paese dove prosperano questo genere di imbecilli ha gli attributi. L’avventura in Afghanistan era cominciata all’indomani del 9/11, quando l’America ferita decise di farla finita con i “terroristi” che essa stessa aveva allevato come serpi in seno in funzione antisovietica. All’epoca fonti affidabili dell’intelligence americana valutavano tra i cinquemila ed i diecimila uomini il nucleo che faceva riferimento ad “al Qaeda” e soci. Per sgominare il mostro si decise di invadere l’Afghanistan e di cacciare il regime talebano il quale, oltre ad ospitare i qaedisti, aveva condotto il paese nelle braccia di un medioevo anacronistico.

di Elena Ferrara

Forse un gesto di distensione e, comunque, un passo avanti nel duro dialogo tra Palestina ed Israele. Perché comincia a prendere forma lo scambio di prigionieri fra i palestinesi (che detengono da giugno il caporale Ghilad Shalit) e gli israeliani, nelle cui carceri si trovano oltre novemila palestinesi. Comincia forse – questa la considerazione del momento – a prevalere il confronto diretto tra forze antagoniste. La prima mossa è di Hamas che ha inviato a Tel Aviv una lista di oltre 1.000 detenuti che dovrebbero essere liberati in cambio del caporale. Israele conferma l’arrivo della proposta e precisa di averla trasmessa allo “Shin Bet” (il famigerato servizio di sicurezza interno). La seconda mossa dovrebbe essere quella del Premier israeliano, Ehud Olmert, chiamato a convocare una Commissione incaricata di stabilire se fosse possibile rilasciare o meno anche dei palestinesi che si siano macchiati di attentati gravi, o anche di stragi. Per ora nessuna risposta. Solo commenti brevi e a monosillabi. Ed è questo il punto di maggiore contrasto. Perché gli israeliani considerano ogni atto di protesta contro il loro potere come un gesto terroristico.

di Laura Bruzzaniti

Riso. Il tesoro dell’Asia, cibo principale per milioni di persone e simbolo dell’Asian way of life, è oggi in pericolo. Un’intera cultura contadina, fatta di coltivazioni tradizionali e semi tramandati di generazione in generazione, rischia di estinguersi in India come nelle Filippine o in Malesia. Per portare l’attenzione sul problema, le associazioni e organizzazioni non governative di tredici stati asiatici hanno indetto la Week of Rice Action – Settimana di Azione per il Riso: sette giorni dedicati al riso, dal 29 marzo al 4 aprile, con iniziative diverse per parlare di quello che sta accadendo alla coltivazione del riso in Asia. Inaugurata in Bangladesh con un evento a cui hanno preso parte molte delle comunità di agricoltori locali, la Settimana del Riso si è svolta anche in India, Pakistan, Corea, Nepal, Malesia, Filippine con seminari, dimostrazioni e feste. Il tema principale è che il riso asiatico è in pericolo e va difeso. Ma difeso da chi?


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy