di Mazzetta

In questi stessi giorni si stanno svolgendo il World Social Forum ed il World Economic Forum, ieri George W. Bush ha fatto il suo “discorso sullo stato dell’unione”. Il forum sociale mondiale che si tiene in questi giorni a Nairobi segna un momento molto triste per l’altermondismo. Orfano delle grandi organizzazioni popolari sudamericane, così come delle folle che nella sovrappopolata India animarono il forum di Mumbai, il primo social forum in terra d’Africa è decisamente al di sotto delle più modeste aspettative, in parte perché la selezione post-coloniale ha privilegiato la formazione di una classe dirigente poco sensibile al sociale, in parte perché anche i grandi movimenti di sinistra che avevano avuto fortuna ai tempi della guerra fredda, hanno lasciato poche tracce nelle popolazioni spesso totalmente assorte nella difficile arte del sopravvivere in Africa. Non è comunque una questione di numeri o di qualità dei partecipanti, ma piuttosto dell’umore tendente al depresso, che dopo anni di “War on Terror” restituisce un movimento decisamente in ribasso, per quanto non domo.

di Luca Mazzucato

Il filmato della colona israeliana di Hebron che molesta una ragazzina palestinese ha fatto il giro del mondo. Nel video, la colona insulta ossessivamente la ragazzina e la spinge dentro la sua casa, urlandole di non uscire dalla sua gabbia. Ma l'immagine che più disturba è forse quella del soldato israeliano che se ne sta lì di fronte a guardare senza far nulla. Il filmato ha creato enorme scalpore e innescato feroci discussioni sui media e nel mondo politico israeliano: ma il dato che emerge con chiarezza da queste reazioni è soprattutto la totale ignoranza che l'opinione pubblica israeliana dimostra riguardo alla situazione dei palestinesi nei Territori Occupati. Tra i vari commenti istituzionali alla vicenda, uno dei pochi sensati è stato quello del direttore del museo dell'Olocausto, che ha ricordato come “tali episodi di violenza e persecuzione fossero quotidianamente subiti proprio dagli ebrei europei durante gli anni trenta” e ora la storia sembra ripetersi al contrario.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Al Cremlino si decide in queste ore se accogliere o meno la richiesta di Tarek Aziz di essere curato a Mosca. L’ex vice premier iracheno - figura di indubbio prestigio - è infatti gravemente ammalato: si trova da oltre 44 mesi nel carcere di una base americana a Bagdad. Si è rivolto, per trovare una clinica dove essere curato adeguatamente, al Papa, a Prodi e a D’Alema. Ed ora a Putin. E sembra proprio che la risposta russa dovrebbe essere positiva. A rendere nota questa vicenda umanitaria è l’avvocato italiano dell’esponente iracheno, Giovanni di Stefano, che fa uscire l’intera vicenda dal silenzio delle diplomazie collocandola nell’agenda delle questioni umanitarie, internazionali. Ad ospitare le dichiarazioni del difensore di Tarek Aziz è ora uno dei massimi quotidiani di Mosca, Nezavisimaja gazeta.

di Giorgio Ghiglione e Matteo Cavallaro

So, was this what the Iraq war was fought for, after all? Così, era per questo che si era combattuta la guerra in Iraq, infine? Inizia con questa domanda dal vago sapore retorico l’articolo rivelazione del quotidiano inglese The Independent. Nel numero domenicale del 7 Gennaio, troviamo infatti pubblicata la bozza di una nuova possibile legge che darebbe alle compagnie petrolifere occidentali il controllo su un’enorme fetta delle riserve irachene.
Questa proposta segue di poche settimane i suggerimenti dell’Iraq Study Group, guidato da James Baker. Pragmatico per eccellenza, James A. Baker III raccomandava nelle sue conclusioni un ritiro graduale delle truppe entro il 2008 e l’apertura ai privati del mercato del greggio iracheno, ora nazionalizzato. I media mondiali, concentrati esclusivamente sul primo punto, si sono dimenticati di osservare il secondo. L’importanza di una tale mossa è indubbia, sia sotto il profilo economico che geopolitico.

di Giuseppe Zaccagni

Sedici paesi asiatici - la metà della popolazione del mondo - uniti per sviluppare le fonti di energia rinnovabile e per ridurre l’immissione nell’atmosfera di quei gas che producono l’effetto serra. E questo, in sintesi il risultato raggiunto al secondo vertice dell’ Asean (Association of South-East Asian Nations) che si è svolto nei giorni scorsi a Cebu, nelle Filippine. Si è raggiunta così una nuova ed importante tappa nell’ambito di quel programma mondiale teso a sviluppare ed utilizzare, attraverso uno sforzo congiunto, fonti energetiche alternative che possano far fronte ai bisogni delle crescenti economie regionali, in vista di una diminuzione delle riserve petrolifere.


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