The New York Times

E' tempo che gli Stati Uniti abbandonino l'Iraq, senza più alcun ritardo che non sia quello necessario per far si che il Pentagono possa organizzare una ritirata ordinata delle truppe. Come molti americani, abbiamo cercato di evitare di raggiungere questa conclusione, attendendo vanamente un segnale da parte del presidente Bush di cercare seriamente di far uscire gli Stati Uniti fuori dal disastro che lui stesso ha creato quando ha deciso di invadere l'Iraq senza avere un motivo sufficiente per farlo, in spregio all'opposizione dell'opinione pubblica mondiale e senza un piano per stabilizzare il Paese dopo l'invasione. All'inizio, credevamo che dopo aver distrutto il governo iracheno, il suo esercito, la sua polizia e le sue strutture economiche, gli Stati Uniti avessero quantomeno il dovere morale di raggiungere alcuni degli obiettivi che Bush proclamava di voler perseguire: in primo luogo costruire uno Stato iracheno stabile ed unito. Quando è divenuto chiaro che il presidente non aveva né la visione né i mezzi necessari per ottenere questo obiettivo, abbiamo comunque affermato che non era giusto decidere una data arbitraria per il ritiro delle truppe finché vi era ancora qualche speranza di mitigare il caos che ne sarebbe risultato.

di Eugenio Roscini Vitali

Il 6 luglio, mentre si recava in visita presso le zone alluvionate dal recente uragano che ha colpito l’Asia meridionale, il presidente pakistano Pervez Musharraf avrebbe subito un attentato. La notizia, diffusa dall’agenzia di stampa Reuters, precisa che l’aereo dove viaggiava il generale è stato colpito da alcuni colpi, sparati subito dopo aver lasciato la pista della base militare di Rawalpindi, pochi chilometri a sud della capitale. L’aereo, che ha poi continuato il volo senza problemi, è atterrato nell’aeroporto di Turbat, nel sud del Paese. La settimana scorsa, il Pakistan meridionale è stato colpito dal passaggio del ciclone Yemyin, che ha causato più di 100 morti e 200 mila senzatetto, specie lungo le coste del Beluchistan. In passato, Musharraf è già scampato a diversi attentati: il 14 dicembre 2003 una bomba è scoppiata subito dopo il suo passaggio a Rawalpindi; il 25 dicembre dello stesso anno è sopravvissuto all’esplosione causata dal un camion bomba lanciato contro il suo corteo. Nell’agosto 2005, un individuo di nome Islam Siddiqui è stato impiccato dopo essere stato giudicato colpevole di aver partecipato agli attentati del 2003 e nel settembre 2006, la Corte Suprema ha condannato a morte altre 12 persone, civili e militari, accusati di aver preso parte agli stessi attentati.

di Elena Ferrara

Sono 14 milioni i rifugiati e oltre 24 milioni gli sfollati. Sono il “prodotto” delle nostre guerre e segnano la realtà di un mondo che non dà pace alla popolazione civile. I dati sono forniti settimanalmente dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) che compie opera di registrazione e documentazione, ma che – ovviamente – non riesce a bloccare il dramma che coinvolge gente inerme, lontana dal grande gioco della guerra e delle lotte politiche e religiose tra etnie. Le statistiche ci dicono che nel 2006 sono stati quasi 10 milioni nel mondo i rifugiati e che il loro numero è aumentato per la prima volta dal 2002, principalmente a causa della situazione in Iraq. C’è, quindi, un incremento del 14% per cento. E sempre in questo conteggio c’è da segnalare che è cresciuto anche il numero di persone che rientrano nelle altre categorie di competenza dell'Unhcr. In particolare, nel corso del 2006 è quasi raddoppiato, passando da 6,6 a 12,9 milioni, il numero di sfollati interni che sono passati dai 21 milioni del 2005 ai quasi 33 milioni del 2006.

di Carlo Benedetti

Agli scudi della Nato il Cremlino risponde con una nuova proposta di escalation. E precisamente con la realizzazione di una base missilistica russa nel cuore del Nord europeo, sulle rive di quel mare Baltico un tempo dominato dall’Ordine Teutonico. La scelta di Putin – resa nota dal suo primo vice premier Sergej Ivanov - cade sulla città di Kaliningrad, che è una enclave della Federazione situata tra Polonia e Lituania e, quindi, con accesso diretto al Baltico. Una località strategica (circondata ora da due paesi della Nato) che fu pesantemente bombardata durante la Seconda guerra mondiale, e totalmente rasa al suolo finché non fu conquistata dai soldati dell'Armata Rossa. Da quel tempo la tedesca Königsberg (in polacco Królewiec, in lituano Karaliau?ius) è divenuta la russa Kaliningrad restando nota per aver dato i natali ad un grande filosofo: Immanuel Kant. Ed ora è destinata a passare dalle cronache storiche e filosofiche a quelle militari di questa nuova guerra fredda che soffia sul Cremlino.

di Camilla Modica

In un periodo in cui progetti come lo scudo missilistico vengono riesumati dalle cantine della Guerra fredda, in cui le armi nucleari tornano al centro delle preoccupazioni mondiali, in cui le istituzioni internazionali non sembrano più avere la forza di portare avanti il processo di pacificazione, in un momento del genere non sorprende che le spese militari siano in costante crescita. I numeri dicono che nel 2006 i governi hanno destinato alla sicurezza interna e internazionale un totale di 1.204 miliardi di dollari. Una cifra difficile anche solo da immaginare destinata all’acquisto di armi, missili, al rinnovamento tecnologico degli arsenali mondiali, al mantenimento di eserciti impegnati in guerre e fantomatiche spedizioni di pace in giro per il mondo. 1.204 miliardi di dollari che dovrebbero essere serviti per proteggere e salvare vite umane da minacce come il terrorismo nazionale e internazionale. E che invece continuano ad alimentare i piani di potere di poche nazioni, a danno della vita delle popolazioni civili. In testa, come sempre, gli Stati Uniti, con 528,7 miliardi di dollari. Da soli, i "portatori sani di democrazia" – come amano considerarsi – hanno partecipato al 46% della spesa mondiale in armamenti.


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