di Elena Ferrara

Le notizie ufficiali che giungono dalla capitale Conakry puntano ad accreditare la tesi di una “calma carica di tensione”. Ma la realtà è che dietro a questa apparente facciata di silenzio-stampa c’è - forte più che mai - l’incubo di nuovi scontri armati con la permanenza dello stato d’assedio, della legge marziale e di un elevato numero di vittime. La Guinea, quindi, è un paese ancora a rischio, minacciato da una guerra civile già nell’aria. Ed è di almeno undici morti il bilancio degli scontri che nei giorni scorsi hanno opposto a Conakry la polizia ai manifestanti, tornati in piazza dopo le violente proteste del gennaio scorso. Il secondo sciopero generale in due mesi è stato indetto dai sindacati in risposta a quella che considerano l'ennesima provocazione del presidente Lansana Conte', e cioè la nomina del nuovo primo ministro, Eugene Camara, stretto collaboratore del contestato capo dello Stato. La scelta è stata criticata anche dall'opposizione che ha invitato i cittadini a scendere in piazza. E gli scontri del week end hanno provocato almeno 23 morti e una cinquantina di feriti.

di Carlo Benedetti

Siamo già in guerra? Di certo c’è che la Nato ha chiesto alla Turchia di aprire sia il proprio spazio aereo che i confini di terra con l'Iran. E tutto sta a dimostrare che è iniziato il conto alla rovescia per l’attacco alla Repubblica islamica di Ahmadinejad. Teheran è in stato d’allerta e molti paesi stanno già lanciando l’allarme per quanto potrebbe accadere. Si muove, in primo luogo, la Russia. Con il Cremlino che teme che il governo di Ankara ceda alle pressioni americane. Perché in caso di assenso turco il Pentagono avrebbe la strada spianata per intraprendere un'azione militare nei confronti dell'Iran al fine di liquidarne gli obiettivi strategici, primi fra tutti quelli nucleari. Siamo sull’orlo del burrone – dice la Radio di Mosca – ricordando che a partire da questi momenti sarà sufficiente un ordine della Casa Bianca per consentire, nel giro di 24 ore, bombardamenti generali sull’Iran con l’utilizzo di portaerei, sommergibili e basi statunitensi dislocate nel Golfo Persico.

di Mazzetta

La Guerra di Natale non ha portato nessun dono alla povera Somalia e probabilmente non ne porterà che di avvelenati. L’invasione Etiope, assolutamente illegale, ma stigmatizzata solo da qualche stato islamico, non ha finora compiuto il miracolo, ma semmai ha contribuito a formare situazione paragonabile ad un Iraq in sedicesimo.Ora che è stato ammesso apertamente che l’invasione è stata voluta da Washington, non resta che tenere conto delle vittime fino a che al Dipartimento di Stato non decideranno diversamente. Ad oggi, qualche migliaio di morti nei combattimenti, più di trentamila profughi; oltre alle centinaia di morti e di feriti in un Mogadiscio che ogni giorno assomiglia sempre di più a Baghdad.Come a Baghdad, più velocemente che a Baghdad, la situazione volge allo stallo e a scenari di guerriglia permanente. Tutte le potenze interessate, UE, UA e USA, hanno chiesto insieme all’ONU un governo di unità nazionale, l’apertura di un dialogo tra il governo in provetta di Ghedi e Yusuf e la controparte dell’UIC (Unione Corti Islamiche), ma i due non ci sentono.

di Agnese Licata

Dopo il pesante attentato che a metà ottobre aveva causato oltre cento morti e 150 feriti, le Tigri per la liberazione della patria Tamil (Ltte) e le loro rivendicazioni d’indipendenza sono tornate a comparire sulle pagine dei giornali occidentali. Questa volta il bilancio non è andato oltre tre feriti (non gravi), ma la portata internazionale dell’ultimo attentato in Sri Lanka è stata anche più ampia. Ad essere colpiti questa volta, infatti, non sono stati guerriglieri, soldati o civili locali, ma un gruppo di diplomatici arrivati in elicottero nella base aerea di Batticaloa per coordinare gli aiuti ai rifugiati nella parte est del Paese, in fuga dalla guerriglia. Tra i feriti dai colpi di mortaio e dalle schegge di granata anche Pio Mariani, ambasciatore italiano nell’isola, oltre all’americano Robert Balnke e al tedesco Jurgen Weerth.

di Lidia Campagnano

Srebrenica, luglio 1995: fu genocidio. Così ha sentenziato la Corte internazionale di giustizia dell’Aja, su un’istanza presentata dalla Repubblica di Bosnia. Fu genocidio perché vennero perseguitati barbaramente e sterminati giovani, vecchi, uomini, donne e bambini, a migliaia, colpevoli di non essere serbi e dunque di occupare spazio “destinato” ai serbi dalle mosse e contromosse delle pulizie etniche (in quello stesso periodo la popolazione serba doveva abbandonare quasi tutti i quartieri di Sarajevo). Fu perpetrato dalle truppe del generale serbo-bosniaco Mladic, ma non è provato che fu l’esito di un ordine proveniente dallo Stato serbo, da Belgrado, cioè da Milosevic.


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