di Bianca Cerri

Bill Clinton, già autore di una massiccia autobiografia uscita nel 2004, ha scritto un nuovo libro che certamente non passerà inosservato. S’intitola “Donare: ognuno di noi può fare qualcosa per cambiare il mondo” ed intende dimostrare che anche solo offrendo un po’ del nostro tempo e piccoli aiuti finanziari tutti potremmo, volendo, alleviare le sofferenze dell’umanità. Clinton lo ha constatato di persona dopo l’uscita dalla scena pubblica e ora sembra intenzionato a dedicare tutto il suo tempo alla giustizia sociale, tanto più che la moglie è quasi sempre via per una campagna elettorale che le è già costata trenta milioni di dollari e lui deve riempire in qualche modo la giornata. In “Donare”, scritto rigorosamente in prima persona, l’ex-presidente spiega che non è necessario essere ricchi per fare del bene, ma sottolinea anche la meritevole generosità di alcuni suoi amici miliardari che nel 2005 aderirono alla Clinton Global Iniziative da lui organizzata a favore dei malati di AIDS. Per la cronaca, la tariffa per aderire era di 15.000 dollari a persona e risulta che persino i peggiori predoni dell’alta finanza abbiano pagato volentieri pur di andarsene a letto contenti per una sera con la convinzione di aver alleviato la vita a qualcuno.

di Eugenio Roscini Vitali

Che in Marocco il ruolo della democrazia continui ad essere condizionato dalla presenza della monarchia è confermato dal risultato elettorale espresso nelle ultime elezioni legislative (le precedenti si sono tenute nel 1997 e nel 2002). Il mancato successo degli islamici moderati, puniti probabilmente dal forte astensionismo, dimostra come il peso istituzionale del Re Mohammed VI continui ad influenzare in modo determinante nelle decisioni di un elettorato (più di 15 milioni) disilluso e frustrato, pienamente cosciente della condizione di subordine e dipendenza che la politica marocchina soffre nei riguardi di sistema chiuso ad ogni cambiamento. Quasi inaspettatamente, a vincere le elezioni sono stati i conservatori del Partito dell'Indipendenza (Istiqlal) che hanno ottenuto 52 dei 325 seggi del Majlis al-Nuwab, la camera bassa di Rabat; gli islamici moderati di Giustizia e Sviluppo (Pjd) hanno ottenuto 47 seggi, la formazione di destra del Movimento Popolare (Mp) 41, i centristi del Raggruppamento Nazionale degli Indipendentisti (Rni) 39 e i socialisti dell'Unione delle Forze Popolari (Ufsp), ex partito di governo ed alleati dell'Istiqlal, hanno ottenuti 38 seggi.

di Giuseppe Zaccagni

Sul Kosovo i serbi alzano il tono dello scontro ed attaccano direttamente l’Onu e i governi dell’Occidente che si stanno prestando ad avvalorare le prossime elezioni locali previste per il 17 novembre nella contesa regione. E mentre la crisi politico-diplomatica si accentua Belgrado invita la minoranza serba - che vive nel Kosovo - a boicottare la consultazione. C’è, al riguardo, un documento ufficiale nel quale si sottolinea che, a otto anni dai bombardamenti Nato del 1999 e dall'imposizione di una tutela internazionale sulla provincia, continuano a non essere rispettati molti ''diritti elementari'' delle minoranze non albanesi. Senza considerare il fatto - osserva Belgrado - che i ''due terzi'' della comunità serbo kosovara sono stati costretti negli ultimi anni a lasciare la provincia e restano tutt'ora impossibilitati a rientrare. I dati in merito sono impressionanti e poche sono quelle forze che in occidente si diffondono su questo aspetto umanitario. Per questo a Belgrado c’è chi si chiede dove siano finiti tutti quelli che piangevano sull’esodo dei kosovari nel momento in cui gli aerei della Nato colpivano quei villaggi del Kosovo che subivano già le repressioni criminali degli uomini dell’Uck. La denuncia di Belgrado riguarda ora il fatto che nel corso di questi ultimi otto anni di “presenza” dell’Onu in Kosovo non sono state risolte le condizioni più elementari per permettere una vita sicura ai serbi e alle altre popolazioni non albanesi. Ed è particolarmente umiliante - insistono i serbi - che due terzi della popolazione serba del Kosovo viva ancora fuori dei confini regionali.

di Bianca Cerri

Tre ragazze bionde passano di corsa ai bordi di un campo dove alcuni ragazzini stanno giocando a baseball. Una di loro ha nella borsa alcune dosi di eroina che si inietterà con le due amiche che la accompagnano. Finalmente si fermano davanti ad una chiesa e preparano le siringhe. Siamo a Willimantic, nell’est del Connecticut, una località di 15.823 abitanti dove imperano da sempre ambivalenze politiche, ma l’eroina abbonda più che in ogni altra parte del mondo. Un flusso ininterrotto, più copioso dell’acqua del Willimantic River, il fiume dal quale la città ha preso il nome. Gli spacciatori vendono almeno 350 dosi al giorno per sette giorni alla settimana. Sono ormai anni che l’eroina ha invaso il Connecticut. I poliziotti si sono arresi e non fanno nulla per impedire lo spaccio. Una televisione locale manda in onda tavole rotonde alle quali partecipano solo eroinomani. Non molto tempo fa sono arrivati alcuni cani anti-droga, qualcuno li ha persino sentiti abbaiare, ma non si sa che fine abbiano fatto. Le morti per overdose abbondano ma nessun giornale si sogna più di pubblicare i particolari che le riguardano.

di Luca Mazzucato

Nella notte di mercoledì 5 settembre, una flotta di almeno otto caccia israeliani ha attaccato un misterioso obiettivo militare nella Siria settentrionale, vicino al confine con la Turchia, con il rischio di far deflagrare la tanto discussa guerra con la Siria. Il motivo del raid e il suo esito sono del tutto oscuri: il governo israeliano mantiene un totale riserbo, mentre la Siria ha inoltrato una protesta ufficiale all'ONU, fornendo nei giorni successivi versioni contraddittorie dell'accaduto. I media occidentali cercano di risolvere il giallo, sparando tutti gli scoop possibili sulla natura dell'obiettivo: prima un carico di armi per Hizbullah, poi un sistema missilistico russo, poi un cargo di materiale nucleare dalla Corea del Nord, infine un'installazione nucleare militare fornita assistita dalla Corea, versione quest'ultima sostenuta dalla Casa Bianca. Per riproporre forse il ben riuscito trucco delle armi di distruzione di massa. L'ambasciatore siriano all'ONU si sgola per attirare l'attenzione, ma i Paesi arabi sunniti fanno orecchie da mercante, sempre più schierati contro l'asse Iran-Siria. E la Rice compare a sorpresa in Israele, per ringraziare gli israeliani della missione, forse in previsione dell'attacco americano all'Iran.


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