di Laura Bruzzaniti

Fujimori è innocente, dice il magistrato cileno Orlando Àlvarez nella sua decisione sull’estradizione dell’ex dittatore peruviano. Secondo Àlvarez non esistono prove concrete che dimostrino la responsabilità di Fujimori nei casi di crimini contro l’umanità e negli episodi di corruzione di cui è accusato. El Chino (il Cinese), questo il soprannome dell’ex dittatore, non ne sapeva niente dei civili innocenti uccisi a Barrios Altos e degli studenti dell’università La Cantuta sequestrati e poi uccisi. Il gruppo paramilitare denominato “Gruppo Colina”, esecutore materiale dei massacri, agiva di sua iniziativa e senza informare l’allora Presidente. A confermare l’estraneità ai fatti di Fujimori sarebbero, secondo Àlvarez, anche le numerose dichiarazioni in questo senso di ufficiali e sotto ufficiali dell’esercito peruviano. Il giudice respinge quindi la richiesta di estradizione presentata dal Perù: Fujimori può restare a Santiago con la figlia, dove si trova dal novembre 2005, quando arrivò in Cile dal Giappone. Il Perù ha presentato ricorso contro la decisione e toccherà ora ai cinque giudici della Seconda sezione della Corte Suprema del Cile prendere la decisione definitiva sull’estradizione, prevista per settembre.

di Daniele John Angrisani

E' passata ormai più di una settimana dall'inizio dello scontro diplomatico tra Gran Bretagna e Russia e la tensione non accenna a calare. La Procura Generale russa ha respinto per l'ennesima volta al mittente la richiesta di estradizione di Andrei Lugovoi, il presunto killer di Alexander Litvinenko, affermando, tra le altre cose, l'inesistenza di prove concrete a suo carico e insinuando che lo stesso Lugovoi potrebbe essere stato invece vittima a sua volta del polonio, in via indiretta. Il Foreign Office inglese e l'ambasciatore britannico a Mosca, Sir Tony Brenton, continuano invece a ritenere che Mosca debba concedere l'estradizione di Lugovoi, cercando in qualche modo di bypassare l'ostacolo costituzionale del divieto all'estradizione di un cittadino russo, data l'assoluta gravità della vicenda che lo vede implicato. Nonostante quindi i buoni propositi espressi dalle due diplomazie per una risoluzione veloce e soddisfacente della crisi, nulla sembra per ora evolvere in questo modo. Nel frattempo l'unica cosa che rimane sicura è che sia a Londra che a Mosca quattro diplomatici dovranno fare le valigie nei prossimi giorni.

di Giuseppe Zaccagni

Ora Erdogan ha la maggioranza. E così, forte del risultato uscito dalle urne (oltre il 47 per cento), si avvia a mettere in pratica la sua politica che è basata sui principi dell’unità nazionale, della democrazia e della laicità in vista - questo l’obiettivo centrale - di poter entrare a testa alta in Europa. Il primo annuncio, segnato ovviamente dalla emozione, riguarda il futuro del paese, che non dovra attraversare nessuna fase di transizione ma continuare il percorso delle riforme già avviate e tutte segnate nel programma del suo Partito, quello della “Giustizia e Sviluppo” (AKP) premiato con 342 deputati su 500 e un incremento del 13% rispetto alle ultime votazioni. In pratica il Paese - dopo questo vero e proprio referendum popolare che manda in soffitta un periodo di tristi previsioni - si avvia verso una strada laica pur senza rinunciare alle forti tradizioni nazionali e religiose. Con i due principali partiti di opposizione che sono riusciti, comunque, a superare la soglia di sbarramento del 10%, necessaria per accedere al Parlamento: il repubblicano CHP (laico e di sinistra) ha raggiunto il 20% dei voti pari a 112 seggi, mentre i “lupi grigi” del MHP (movimento nazionalista di estrema destra) hanno conquistato 70 seggi pari al 14% dei voti. Altri 27 seggi sono stati suddivisi fra i candidati indipendenti, alcuni dei quali appartenenti al movimento indipendentista pro-Kurdistan. Ma a questa ultima formazione Erdogan - forte del nuovo consenso popolare - ricorda che il governo “continuerà la battaglia” contro le forze ribelli curde nell’est del Paese.

di Agnese Licata

Non è certo un bel periodo, questo, per le case farmaceutiche statunitensi. Principi attivi con profitti annui da capogiro, ma brevetti in scadenza. Ridotta capacità d’innovare e di creare nuove e redditizie molecole. E poi, soprattutto, farmaci messi in commercio con enormi speranze che però, uno dopo l’altro, si sono rivelati più pericolosi che utili per i pazienti a cui erano stati somministrati, costringendo la Food and Drug Administration (Fda) a ritirarli dal mercato. È il caso del Vioxx, un antidolorifico che aveva la piccola controindicazione di raddoppiare il rischio di attacchi di cuore in chi lo assumeva. La Merk, l’azienda che lo produceva e che dal 2004 non ha più potuto venderlo, è ancora alle prese con le migliaia di cause fatte da persone che lo assumevano. Percorso simile anche per il Ketek, l’ennesimo antibiotico destinato ad affollare i banchi di farmacie e ospedali, salvo poi scoprire che era responsabile di danni al fegato. Più di recente, è finita male anche l’avventura di Avandia, creato dalla GlaxoSmithKline per i diabetici, come quella di Zimulti della Sanofi-Aventis che, certo, aiutava gli obesi a perdere peso, ma in cambio aumentava in loro pensieri e atteggiamenti suicidi.

di Maura Cossutta

Una donna su tre ha subito una violenza. Fisica o sessuale. Molte di queste non sono nemmeno denunciate. Di che paese si sta parlando? Non di paesi arretrati, sottosviluppati, dove l’oppressione delle donne è quotidianità o dove i diritti delle donne non sono neppure previsti dall’ordinamento giuridico, ma dell’Italia, del nostro “bel paese”. Sono dati drammatici, indecenti, insopportabili, rispetto ai quali, però, lo scandalo sociale non c’è. L’ultima indagine ISTAT è scivolata via, senza nemmeno rientrare nelle classifiche delle nuove emergenze etiche. La difesa della vita si ferma a quella dell’embrione, soggetto debole e fragile da tutelare contro il prevalere delle individualità egoistiche e le piazze si riempiono in nome della difesa della famiglia attaccata dal permissivismo amorale. La parola pubblica della Chiesa entra nelle camere da letto delle persone, per proibire e vietare quando si tratta di libertà sessuale o di scelte riproduttive, ma si ferma sull’uscio quando si tratta di condannare gli stupri e le violenze che avvengono proprio nelle case delle cosiddette famiglie normali.


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