di Luca Mazzucato

Perplessità, indignazione, rassegnazione: questo lo spettro delle reazioni suscitate nell'opinione pubblica palestinese e dei vicini paesi arabi dalla nomina di Blair a inviato del Quartetto (USA, UE, Russia e ONU) per la pace in Medioriente. La grande sfida che Blair si trova ad affrontare, infatti, è la normalizzazione dell'Occupazione militare dei Territori Palestinesi agli occhi del mondo. Il nuovo corso diplomatico si potrebbe riassumere nello slogan “due popoli, uno stato e mezzo”, ovvero la creazione accanto dello Stato Ebraico di una sorta di Repubblica di Vichy, in cui la polizia palestinese di Fatah dovrebbere smantellare la resistenza in West Bank per conto degli israeliani. Così come le menzogne e l'aiuto militare di Blair sono state decisive per creare un consenso occidentale attorno alla guerra in Iraq, questa volta gli Stati Uniti chiedono all'ex premier britannico un ultimo sforzo per rimuovere dai media occidentali la tragedia palestinese. L'unica voce fuori dal coro è quella del Ministro degli Esteri italiano D'Alema, che ha chiamato le diplomazie occidentali a rompere l'isolamento nei confronti di Hamas. Nel frattempo, dall'altra parte dello scacchiere, il vertice di questa settimana a Damasco tra Iran, Siria, Hezbollah e Hamas fa invece presagire un imminente inasprimento dello scontro.

di Fabrizio Lorusso

Dopo oltre un anno di scontri, accordi disattesi e false promesse ritorna la violenza della polizia e dei corpi speciali contro il diritto alla pacifica manifestazione del dissenso a Oaxaca Lo scorso 16 luglio la polizia dello Stato messicano di Oaxaca, supportata da corpi speciali della Polizia Federale Preventiva e dell’esercito, ha represso per l’ennesima volta il movimento popolare che, in questa occasione, stava cercando di celebrare una versione alternativa della tradizionale festa popolare chiamata Guelaguetza. Ad oltre un anno dallo scoppio del conflitto tra il governo di Oaxaca, con il governatore Ulises Ruiz alla testa, da una parte, ed il sindacato degli insegnanti della sezione 22 e la APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca) dall’altra, si riaccende la miccia della violenza governativa contro il movimento popolare che continua con le sue mobilitazioni di carattere pacifico e dimostrativo. Il Governo locale organizza e gestisce tutti gli anni l’evento della Guelaguetza, trasformandolo in un’occasione propagandistica e turistica poco rispettosa della dignità e della nobile tradizione che muove il popolo oaxaquegno. Di conseguenza, la APPO e il sindacato dei docenti hanno organizzato una marcia di protesta, cui hanno partecipato circa diecimila persone, contro gli abusi del Governo commessi soprattutto durante l’ultimo anno ma che possono farsi risalire all’inizio del mandato di Ruiz nel 2005, e già certificati da numerose ispezioni di associazioni per la protezione dei diritti umani di natura ufficiale e non governativa.

di Giuseppe Zaccagni

Saranno oltre 45 milioni di elettori ad andare al voto. Nella scheda troveranno 14 partiti che presenteranno 7395 candidati. Al parlamento ne arriveranno 550, ma ci sarà una soglia di sbarramento del 10 per cento. E’ questa, in sintesi, la Turchia che domenica 22 Luglio va alle elezioni politiche suscitando un interesse paneuropeo di notevole portata. Con gli occhi dell’intera nazione puntati, in particolare, sul candidato Erdogan (ex calciatore in una squadra di buon livello e poi una carriera di economista) che è stato il fondatore del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP, Adalet ve Kalk?nma Partisi) e, poi, Primo ministro dal 14 marzo 2003, dopo essersi fatto un nome come sindaco di Istanbul. Pragmatico ed efficiente si è impegnato a sviluppare la politica di transizione dal fondamentalismo islamico alle linee di una democrazia europea al fine, appunto, di far guadagnare un posto alla Turchia nell’assise del continente. E così, in questo quadro di vertice, il Paese va alle urne.

di Elena Ferrara

Le casse di Pyongyang sono vuote e i debiti con la Russia (forniture che risalgono ai tempi dell’Urss) gravano sempre più sulla fragilissima economia locale. E quindi Putin rilancia una vecchia pratica dei tempi sovietici. Chiede al governo nordista di inviare in Russia – nelle zone siberiane e dell’Estremo Nord - manodopera coreana: operai e contadini. Tutto ben conteggiato per giornate lavorative, salari e contratti di vario genere. Così – secondo gli economisti di Mosca - nel giro di 30 anni il governo di Kim Jong Il potrebbe riuscire a coprire il buco economico che si è registrato in favore di Mosca. Comincia perciò la grande migrazione. Si prevedono regioni di accoglienza che saranno veri e propri campi base. Ma subito c’è la protesta di Amnesty International che si oppone a una pratica del genere sottolineando che non è possibile, nell’epoca attuale, prendere manodopera dall’estero facendola lavorare praticamente gratis, perché garantita da un governo. In pratica: operai come moneta di scambio.

di Raffaele Matteotti

Si apre l'attesa conferenza nazionale di Mogadiscio indetta dal governo somalo, ma alla conferenza arrivano in pochi visto che la capitale somala è terreno di battaglia e che le stessi sedi del governo sono da giorni prese di mira a colpi di mortaio. Il premier Ghedi aveva detto che la conferenza si sarebbe tenuta anche se fosse esplosa una bomba atomica, ma la qualità ed il numero dei partecipanti porta a credere che si tratterà di qualcosa di assolutamente inutile. Nemmeno gli inviati della UE, tra i quali il nostro stoico Raffaelli, si sono presentati e i piloti che dovevano portare gli “ospiti” stranieri si sono semplicemente rifiutati di atterrare in un aeroporto che è uno degli epicentri della violenza. La situazione nel paese è pessima, la violenza nella capitale è ormai endemica ed è di pochi giorni fa l'ennesima fuga in massa degli abitanti, che li porterà a raggiungere gli altri somali che fanno la fame nelle zone più decentrate del paese. La fame, nel paese “liberato dagli islamici” è una minaccia più attuale ed imponente di quella della guerra. Particolarmente significativa e preoccupante è la situazione dipinta dalle agenzie umanitarie, che denunciano il governo di ostacolare gli aiuti e parlano di un paese in mano alle bande armate nel quale centinaia di migliaia di profughi sono abbandonati al loro destino.


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