di Daniele John Angrisani

Mentre in Italia il governo Prodi riusciva, seppure per una manciata di voti, a salvarsi sul decreto per il rifinanziamento delle truppe in Afghanistan, anche oltreoceano è andato in onda lo psicodramma della politica estera in Parlamento. Ad una settimana dall'approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti della legge che prevede di vincolare l'erogazione dei fondi supplementari, necessari per finanziare l'aumento delle truppe in Iraq proposto dal presidente Bush all'approvazione di un calendario per il loro ritiro definitivo entro settembre 2008, anche il Senato americano ha deciso di sfidare apertamente il presidente sul terreno minato della questione irachena. Con un voto di 50-48 il Senato a maggioranza democratica ha infatti deciso di approvazione una sua mozione che richiede il ritiro delle truppe entro il marzo 2008, come condizione per l'approvazione dei fondi aggiuntivi richiesti. Tale mozione, però, ha più valenza politica che pratica, in quanto non è vincolante ed in ogni caso non pregiudica l'approvazione finale di questi fondi da parte del Senato. Diverso è il discorso per la mozione approvata dalla Camera che è invece vincolante e rappresenta un serio tentativo di pressione nei confronti dell'Amministrazione repubblicana.

di Elena Ferrara

L’appuntamento per i palestinesi e per quanti si battono per la causa della Palestina è fissato per il 30 marzo. Sarà questa l’occasione per rievocare quei tragici avvenimenti del 1976 quando gli arabi-palestinesi rimasti in Palestina dopo l’occupazione israeliana del 1948 - e la conseguente espulsione della maggior parte del popolo - scesero in piazza per difendere il diritto alla loro terra. Ventotto anni di occupazione erano stati, infatti, segnati da leggi repressive, coprifuoco, divieto di spostamento, terrorismo, immiserimento, confisca delle terre, distruzione dei villaggi, divieto di espressione e di organizzazione. Tentativi tutti di cancellare ogni identità fisica, storica, culturale dalla terra palestinese. La storia ricorda che gli arabi-palestinesi affrontarono, quel giorno, a mani nude, i carri armati. Risultato: sette caduti, tra cui una donna, decine e decine di feriti, centinaia di arresti. Si apriva, così, una pagina nuova nella lotta palestinese che vedeva una coesione popolare sempre più stretta. Ed è appunto da quel marzo 1976 che la lotta palestinese è lotta per il mantenimento della terra. Giornata del ricordo, quindi, che verrà celebrata in tutto il mondo. I palestinesi ricorderanno le tragiche tappe della loro esistenza.

di Bianca Cerri

Secondo la versione ufficiale, dopo aver espresso la propria delusione in una lettera indirizzata agli ufficiali con i quali aveva condiviso la missione in Iraq, il colonnello americano Westhusing si sarebbe sparato un colpo di pistola alla tempia. Ma non è detto che le cose siano andate così perché prima di mettere fine ai suoi giorni, Westhusing aveva redatto un rapporto nel quale accusava apertamente l’attuale capo delle forze armate USA, David Petraeus, di aver tollerato l’uso di forme di tortura portate all’estremo sui prigionieri iracheni, come per altro confermato da un altro militare di alto rango in un intervista apparsa pochi giorni fa sul Texas Observer nella quale viene chiamato in causa anche il generale Fil. La morte di Westhusing risale a due anni fa, ma il 26 gennaio scorso la senatrice democratica Barbara Boxer ha dichiarato che si adopererà per far aprire un’inchiesta sulla vicenda oltre che sulle “azioni inqualificabili” attribuite a Fil e Petraeus nella lettera scritta dal colonnello prima di morire.

di Carlo Benedetti

Il Cremlino, in vista delle presidenziali del 2008, non vuole invasioni di campo. I membri della vasta nomenklatura sono interessati sempre più alla conservazione delle strutture del potere. E così comincia una battaglia contro lo zoccolo duro dell’opposizione che al giorno d’ggi dimostra di avere un vasto seguito. La manovra consiste nel mettere nell’angolo quanti possono contestare il ruolo di Putin e comunisti e nazionalisti finiscono tutti nel mirino del Cremlino. Ma non è cosa facile proprio perché i comunisti - tanto per citare la forza più organizzata - riescono a conquistare, per la prima volta dal giorno del crollo dell’Urss, un canale televisivo. Nasce la loro tv. Diretta e controllata dal Partito comunista di Zjuganov. Con programmi particolari e telegiornali che evidenziano ottimi rapporti con gli uomini più influenti del Paese. Per ora il canale “rosso” ha come raggio di azione la zona siberiana di Novosibirsk (178.000 chilometri quadrati con una popolazione di 3 milioni), ma nei piani della nuova emittente c’è una ulteriore diffusione anche in altre regioni. Ed ecco che sulla base di questo annuncio (per certi versi sensazionale nella realtà di una Russia dominata da un potere oligarchico ed anticomunista che si avvale di una nuova categoria di “servitori” impegnati nei media) il Cremlino lancia l’allarme: “I comunisti attaccano e puntano all’informazione… ora si appropriano anche delle onde della televisione”. Ed è subito chiaro che si avverte un certo sconvolgimento.

di mazzetta

L’Egitto è un paese nominalmente repubblicano e sostanzialmente dittatoriale, come se ne vedono tanti. A officiare l’aspetto sostanziale in barba a quello nominale, ha contribuito con decisione il suo presidente, Hosni Mubarak. Questi, coccolato dall’Occidente, giunse al potere oltre un quarto di secolo fa dopo il provvidenziale (almeno per lui) assassinio di Sadat. A comandare il paese si è trovato bene e ha deciso che non avrebbe più cambiato lavoro. Oggi, giunto alla vecchiaia (78 anni), sta cercando di predisporre le condizioni perché i suoi beni e il suo potere passino alla sua discendenza senza possibilità di sorprese. Diversamente da altri padri di famiglia, Mubarak possiede un intero paese e non può quindi limitarsi ad un semplice testamento o a sistemare i suoi assetti patrimoniali per salvarli dalle tasse di successione. Altri leader sono più fortunati, vuoi perché la leadership è assicurata loro dal sangue reale, vuoi perché le istituzioni nei loro paesi sono puramente decorative. In Egitto invece c’è una Costituzione e un sistema giudiziario, ma anche la storia di una de-colonizzazione che è passata attraverso le idee del socialismo e un presente fatto da un popolo che non è certo sottosviluppato culturalmente.


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