di Carlo Benedetti

MOSCA. La recente scomparsa dell’attore Ulrich Muhe, protagonista di “Le vite degli altri”, il film che rievoca le vicende della Stasi della “Germania Democratica”, del capitano Gerd Wisler, del drammaturgo Georg Dreyman spiato e ricattato, è avvenuta proprio mentre in Russia si apre un dibattito sulle attività spionistiche di quando il mondo era diviso in due. Tutto è favorito dal fatto che quel recente “passato che non passa” è ancora presente ed ha dei precisi punti di riferimento. A partire da Putin che si porta dietro l’alone del Kgb, per finire da altri massimi esponenti del Cremlino attuale sempre forgiati alle scuole dei servizi segreti. Per non parlare poi delle centinaia di organizzazioni di polizia privata che sono piene di ex agenti o di quelle joint-venture dove si stanno riciclando molti uomini dei “servizi”. E ci sono poi i pensionati della Lubjanka che si aggirano fra le ambasciate e le redazioni (locali e straniere) offrendo materiali, dossier, rievocazioni e tutto quanto può fruttare denaro. In pratica c’è un vero e proprio mercato dell’usato spionistico. Ma ci sono anche aspetti sino ad oggi tenuti in disparte che rappresentano l’altra faccia delle “Vite degli altri”.

di Elena Ferrara

Arrivano i vampiri ed è subito un business. Non solo quello, tradizionale, riferito a libri e film ispirati alla figura del succhiasangue romeno. Questa volta il “Vampiro” diventa una vera e propria industria. Si materializza nelle strade di un’antica città della Romania – Brasov - e si aggira nelle cantine e negli androni di antichi palazzi della Transilvania con tanto di copyright e di aree protette: veri e propri parchi nazionali che consentono al Vampiro di spostarsi velocemente con il suo carro funebre e la bara che lo nasconde. Tutto brevettato e controllato dalla Siae di Bucarest. L’iniziativa nasce grazie ad uno scrittore e imprenditore francese di origine romena, un certo Paul-Loup Sulitzer. Uomo dei giorni nostri appassionato lettore delle antiche vicende del conte Dracula narrate in quell’affascinante e impressionante romanzo gotico scritto nel 1897 dall’irlandese Bram Stoker. Il programma di questa operazione hollywoodiana sta per entrare nella fase conclusiva. Sulitzer ha effettuato una lunga serie di ricognizioni nelle terre romene mettendo in fila tutti gli elementi di ordine storico e folkloristico segnati dalla vita di Dracula così come descritta da Stoker. La vicenda – è noto – si perde nella notte dei tempi ed è ancor oggi dominata dalla superstizione e dall’ignoranza.

di Daniele John Angrisani

La notizia è di quelle che, se confermata dai fatti, può rappresentare davvero una svolta epocale. Ma sino ad ora si tratta solo di voci semi-ufficiali, a cui la stampa internazionale non sembra aver dato molto sino ad ora molto peso. Stiamo parlando del cosidetto "Accordo di Principi" che il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, avrebbe intenzione di proporre al presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen), secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz. Si tratta di una ipotesi di accordo di estrema importanza, in quanto stabilisce, per l'appunto, i princìpi sulla base dei quali potrebbero riprendere le trattative per l'accordo di pace definitivo. Stando a quanto riportato dalla stampa israeliana, i punti principali di questa proposta sono: creazione di uno Stato palestinese indipendente sul 90% del territorio dell'attuale Cisgiordania e della Striscia di Gaza; scambi di territorio con i palestinesi per compensare i grandi insediamenti colonici che dovrebbero rimanere sotto controllo israeliano nella Cisgiordania; un tunnel costruito sotto territorio israeliano per garantire il legame territoriale tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza; evitare ulteriori frizioni tra le parti in causa e garantire la sicurezza; infine i sobborghi arabi di Gerusalemme Est come capitale del nuovo Stato palestinese.

di Eugenio Roscini Vitali

Anche se mai abbastanza, del Darfur si parla ormai tutti i giorni. Si sa che il conflitto ha avuto ufficialmente inizio a Golo, distretto di Jebel Marra, il 26 febbraio del 2003; che la prima azione militare dei ribelli risale al 25 febbraio 2002, quando i primi militanti del Fronte di liberazione del Darfur (FLD) attaccarono con successo un presidio militare dell’esercito sudanese; che dopo l’incursione dei ribelli ad al-Fashir del 23 luglio 2003, il governo, umiliato da una sconfitta, da il via libera ad un’orda di massacri e reprime la rivolta con la violenza. Si sa che la guerra vede di fronte i gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit, popolazione originarie del Darfur che si oppongono alla politica di islamizazione imposta dal governo sudanese e i Janjaweed, miliziani arabi appartenenti alle tribù nomadi dei Baggara, appoggiati ed armati dalle truppe di Khartoum. Che le prime rivolte, arginate dall’intervento dei Janjaweed, scoppiano tra il 1996 e il 1999 e vedono coinvolti i Masalit; che i Janjaweed, per le violenze rivolte sistematicamente contro i civili, sono stati accusati dalla comunità internazionale di crimini contro l’umanità. Che dopo oltre quattro anni di guerra le stime parlano di circa 400 mila vittime e più di 2 milioni di rifugiati. Si sa che i principali gruppi antigovernativi sono l'Esercito di Liberazione del Sudan (SLA) e il Movimento per la giustizia e l'uguaglianza (JEM).

di mazzetta

La settimana scorsa è stato pubblicato il rapporto della commissione investigativa internazionale sull’attentato all’ex-premier libanese Rafik Hariri. Il capo della commissione Brammertz ha presentato i primi risultati dell’inchiesta, ma questi non sono piaciuti in Occidente e quindi non se ne è parlato per niente. Il rapporto, incensato da tutte le cancellerie occidentali per l’accuratezza ed il rigore, punta il dito sui jihadisti provenienti dall’Arabia Saudita. Il rapporto in realtà evita di indicare esplicitamente il reame, ma le perifrasi usate per indicare l’attentatore (“proviene da un paese dal clima più secco di Libano e Siria”, “è stato diversi anni in un contesto rurale”, che poi sarebbe l’Afghanistan) e altri riferimenti sparsi nel rapporto non lasciano dubbio alcuno. Una riservatezza che copre anche l’identità di altre cinque o sei persone, individuate attraverso l’analisi dei tabulati dei cellulari, delle quali non è stato reso noto alcun dettaglio; il che spinge a credere che non si tratti di siriani e neppure di Hezbollah. A questo punto, per quel si è scoperto fino ad oggi , non ci sono responsabilità della Siria nell’attentato.


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