di Elena Ferrara

Due eventi, in queste ore, riportano la Nigeria nell’arena mondiale. Da un lato c’è la vicenda del rapimento da parte del Mend (Movimento per l’indipendenza del Delta del Niger il cui obiettivo è la separazione dalla Nigeria e una redistribuzione dei redditi petroliferi) dei sei tecnici della Chevron (quattro italiani, un americano e un croato). Dall’altro ci sono le contestate elezioni politiche sulle quali il paese si divide. E così il labirinto nigeriano (133 milioni di abitanti e più di 250 etnie) mostra, sempre più, i tanti e pericolosi aspetti di una destabilizzazione generale. Anche le scommesse sul futuro vanno in tilt con le ultime elezioni presidenziali e parlamentari che sono duramente contestate perché caratterizzate da brogli e irregolarità. Il cammino che si profila è quello di una destabilizzazione generale carica di problemi e di grandi incertezze mentre nel conto ci sono già oltre 200 vittime (polizia e civili) restate sul campo della protesta. Di conseguenza la situazione è sempre più a rischio.

di Agnese Licata

Sembra aver deciso di andare dritto per la sua strada, Nicolas Sarkozy. Sicuro di quei milioni di francesi che mai, dal 1974 ad oggi, erano stati così tanti nello scegliere un candidato di centrodestra, Sarkozy sceglie di non sedurre i voti dei centristi e di prepararsi al ballottaggio del 6 maggio continuando a sbandierare ai quattro venti le sue parole preferite: ordine, sicurezza, autorità. Anzi, rincara la dose. Nel palazzetto dello sport di Bercy, dove il leader dell’Ump ha tenuto il suo comizio domenica scorsa, si è scagliato contro il Sessantotto, presunta origine di quel declino francese che i cittadini d’oltralpe sentono incontrastato da troppo tempo. “Da allora – ha affermato con orgoglio Sarkozy – non si può più parlare di morale in politica, ci ha imposto il relativismo morale e intellettuale. Gli eredi del ’68 ci hanno imposto che non c’è nessuna differenza tra bene e male, tra bello e laico, tra vero e falso, che l’allievo e il maestro si equivalgono, che non bisogna dare voti, che si può vivere senza una gerarchia dei valori”. E ancora: “Guardate come l’eredità del ’68 indebolisce l’autorità dello Stato!”. Insomma, il coacervo di tutti i mali sarebbe ancora lì, nonostante quelle barricate siano state seppellite da quasi quarant’anni di storia, da una globalizzazione che ha cambiato il volto del mondo, dalla fine di tutti gli ideali politici e civili e da tanto altro ancora.

di Giuseppe Zaccagni

In tutto l’Est europeo soffia forte il vento della revisione storica e della resa dei conti con i comunisti e il regime polacco dei gemelli Kaczynski lo accusa di "crimine comunista" per aver instaurato, il 13 dicembre del 1981, la legge marziale. E così l’ex generale di Varsavia, il generale-presidente Wojciech Jaruzelski (84 anni), rischia fino a dieci anni di reclusione. "So – dichiara oggi - che i miei compatrioti mi odiano per quello che ho fatto e non posso dar loro torto. Ma, se non avessi “invaso” io stesso il Paese con le nostre forze armate e imposto la legge marziale, lo avrebbero fatto i russi con i loro carri armati e sarebbe andata peggio". Con lui sono accusati altri otto protagonisti dell'epoca, fra cui l'ex ministro degli interni Czeslaw Kiszczak e l'ex segretario del partito comunista Stanislaw Kania.

di Elena Ferrara

Lo scontro è duro e carico di pericolose avventure. Tutto avviene in una Turchia (stato laico con una schiacciante maggioranza della popolazione di fede musulmana) che chiede, dal 2005, di entrare in Europa ma che si trova a fare i conti con una situazione interna sempre più a rischio e che vede svilupparsi un braccio di ferro tra il governo e l’esercito. La contesa riguarda la scelta del futuro candidato alle elezioni presidenziali e, più in generale, gli atteggiamenti nei confronti del principio di laicità dello stato. E questo vuol dire che il cielo di Ankara è più che mai coperto di nuvole nere. La crisi politica è iniziata quando il ministro degli esteri Abdullah Gul, unico candidato alle presidenziali sostenuto dal partito filo islamico del premier Tayyp Erdogan, non è riuscito ad essere eletto in Parlamento. Uno scacco notevole per quei partiti che in questi anni si sono riconosciuti nella sua linea politica (dal Partito del Benessere a quello della Virtù sino al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo). E così Abdullah Gul (classe 1950, economista e banchiere, primo ministro e titolare degli Esteri) si trova ora ad essere di nuovo l’ago della bilancia di una situazione politico-istituzionale dove i condizionamenti delle ideologie e delle religioni sono più forti che mai.

di Carlo Benedetti

“Il dissenso è stimolato e finanziato dall’Ovest”, “I dissidenti sono nemici del Paese e fanno della dissidenza una vera professione”, “Nelle file del dissenso si infiltrano agenti di potenze straniere”… Erano questi, in sintesi, i punti centrali della propaganda e delle polemiche che il Cremlino, negli anni sovietici, rivolgeva a coloro che si rifiutavano di seguire i dettati della “società socialista”. Il passato torna. Perché il capo della Russia (che ha studiato, in piena era Urss, i manuali della lotta alla dissidenza) risponde alle manifestazioni di piazza - che mettono in stato d’accusa la sua gestione - sfoderando tutto l’armamentario della vecchia epoca. E’, in pratica, la “fase uno”. Fa circondare i giovani che lanciano accuse, fa strappare i cartelli che alzano e poi fa sfoderare i manganelli. Botte, quindi. E subito i commissariati del centro di Mosca e di San Pietroburgo si riempiono di “dissidenti”. Verbali e processi in vista. Poi, immediata, scatta la “fase due”. Quella della diffamazione e delle accuse di collisione con “potenze straniere”. Ecco i fatti.


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