di Carlo Benedetti

La notizia è nota, ma è bene ripeterla per ampliarne i contorni, poiché la situazione russa - come sempre - è complessa e difficile da illustrare. Un tempo, in casi del genere, il rischio era quello di apparire o filo o antisovietici, russi o antirussi. Oggi il problema è più semplice poiché sono cadute le barriere ideologiche. Tutto a Mosca rientra nell’ambito di una corsa per il potere, in un ambiente collettivo dominato dalla dittatura delle banche e delle borse. Con la scelta di campo che non è solo un fatto economico. Ci sono due appuntamenti istituzionali: quello del 2 dicembre 2007 - elezioni per il rinnovo del Parlamento-Duma - e quello del 9 marzo 2008 - elezione del nuovo presidente del paese. Volendo seguire un ordine cronologico, c’è un presidente che si chiama Vladimir Putin. Classe 1952. Una infanzia a Leningrado, studi di diritto e di tedesco. Poi una passione per i servizi segreti. Nel 1975 entra nel Kgb e frequenta i corsi per divenire agente del controspionaggio. Ha tutti i requisiti richiesti. Capacità di apprendere al volo e di mantenere il silenzio anche quando gli chiedono il nome. E’ mandato a lavorare - in collaborazione con la Stasi di Misha Wolf- a Dresda, nella Rdt. Arriva al crollo dell’Urss e del Muro di Berlino e lui rientra in patria e lavora a Leningrado, nell’amministrazione comunale di Sobciak e fa una rapida carriera.

di Bianca Cerri

Nessuno ha ancora spiegato i motivi che hanno portato il vice sceriffo di Crandon, una cittadina del Wisconsin che conta appena duemila anime, ad aprire il fuoco contro alcuni adolescenti che stavano partecipando ad una festa in casa di un compagno di scuola. Pare che una delle ragazze uccise fosse stata in passato fidanzata con l’autore della strage, che a sua volte è stato ucciso dai colleghi in un bosco nei dintorni di Crandon. Almeno questa è la versione fornita da Gary Bradley, sindaco della cittadina. I nomi dei cinque ragazzi uccisi verranno letti ad alta voce assieme a quelli che già compaiono nel lunghissimo elenco delle vittime della polizia in tutte le città americane che hanno aderito alla marcia annuale contro la brutalità delle forze dell’ordine. “Resistenza contro la Repressione” è il tema scelto per il 2007 dall’organizzazione “22 Ottobre”, che da 11 anni coordina la marcia alla quale partecipano anche le Unioni del Lavoratori, la Rete Anti-razzista, le associazioni del Reduci di Guerra e tanti altri.

di Fabrizio Lorusso

Studenti, attivisti e membri di numerose organizzazioni della società civile hanno manifestato nel pomeriggio del 2 ottobre scorso per commemorare i 39 anni della strage di Piazza Tlatelolco nella quale, a seguito di un’operazione militare partita alle 18.10, morirono oltre 300 persone (fino a 500 secondo fonti extra-ufficiali) che si erano radunate per discutere di democrazia, libertà politiche e strategie di lotta contro l’autoritarismo del regime fondato sul Partido Revolucionario Insitucional (PRI). Il 1968 era anche l’anno delle Olimpiadi nelle quali il Messico avrebbe mostrato al mondo i simboli della modernità che, finalmente, sembrava aver raggiunto la terra azteca in un contesto di presunta democrazia e sviluppo generalizzato. Il 2 1968 ottobre segnò profondamente la politica e la società messicana infliggendo un duro colpo al movimento studentesco, centrato soprattutto sull’attivismo degli studenti della UNAM (Universidad Nacional Autonoma de Mexico, una delle più grandi e prestigiose del mondo) e del Politecnico che rivendicavano un’apertura democratica.

di Daniel John Angrisani

Un anno fa, il 7 ottobre 2006, la giornalista russa del giornale di opposizione Novaya Gazeta, Anna Politkovskaya, venne trovata uccisa nell'ascensore della sua casa di Mosca. L’evento ha avuto una forte ripercussione internazionale danneggiando non poco l’immagine del regime di Putin all’estero. A distanza di un anno, a Mosca si è ricordato questo avvenimento, sebbene fossero più i poliziotti presenti in tenuta antisommossa che i manifestanti. L'atmosfera tra i partecipanti è stata tale che gli stessi organizzatori l’hanno definita come "una veglia funebre non solo a ricordo di Anna Politkovskaya, ma anche di ciò che era la libertà e la democrazia in Russia". Nella capitale russa si è tenuta anche una esibizione fotografica in onore della giornalista uccisa, organizzata dal gruppo russo per la difesa dei diritti umani, Memorial, di cui fa parte anche Natalya Estemirova, una coraggiosa giornalista cecena che proprio ieri ha avuto il Premio Anna Politkovskaya per il suo lavoro nella travagliata repubblica del Caucaso del Nord. Sebbene anche in questo caso la partecipazione popolare abbia lasciato desiderare, di questi giorni il fatto stesso che si sia riuscita a tenere una tale esibizione è una notizia.

di Fabrizio Casari

Quarant’anni fa, un medico argentino, uomo straordinario, moriva in un paese normale per una causa nobile, forse la più nobile delle cause. Ernesto Guevara de la Serna, detto “Che”, per via del suo ripetere continuo di quell’intercalare argentino, cavaliere errante e senza pace del diritto al riscatto dei più umili, dopo aver vinto nell’amata Cuba ed aver tentato di vincere nell’Africa martoriata, depredata ed umiliata dal colonialismo, decise di andare incontro alla morte in una anonima altura boliviana. Nelle Ande boliviane aveva scelto di andare a tentare la sua ennesima rivoluzione, per seguire “l’odore della polvere”, come disse a Fidel Castro al momento di lasciare Cuba. Era il marzo del 1965. Nell’isola aveva gloria ed onori, ruoli e riconoscimenti, ma che riteneva fossero medaglie di un tempo ormai andato, bandiere di una vittoria ormai raggiunta. Lasciò tutto quello che aveva per dedicarsi a tutto quello per cui viveva e si unì alle guerriglie in Africa e in America latina. Fidel, che scelse di aiutarlo per rispettare il patto tra loro, che prevedeva la possibilità di proseguire altrove la sua impresa, una volta che l’isola fosse stata liberata dalla tirannia di Batista, lo lasciò andare via fornendolo di tutto ciò che chiedeva e consentendogli di scegliersi i compagni d’avventura. Il Comandante Ernesto “Che” Guevara lasciava Cuba, i suoi ruoli e i suoi affetti con una lettera al lider maximo, nella quale non chiedeva nulla; le sole cose che pretendeva erano l’obbligo di privare i suoi familiari di qualunque privilegio, atteso che, il privilegio più grande di sua moglie e dei suoi figli, era quello di poter vivere e crescere in una Cuba libera e sicura, dove le leggi dell’uomo nuovo avevano definitivamente sconfitto quelle del denaro.


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