di Sara Michelucci

Tomorrowland - Il mondo di domani dà nuova forza al genere fantascientifico, grazie alla capacità del regista Brad Bird di costruire una storia avvincente, vera e propria avventura che sapientemente dosa dialoghi e personaggi. Il regista di successi d’animazione come Ratatouille, questa volta, si cimenta con personaggi in carne e ossa e sceglie George Clooney nella parte del protagonista.

Frank e Casey viaggiano nel tempo e nello spazio, arrivando a Tomorrowland. Uno luogo dove lo stupore la fa da padrone ed è inutile farsi troppe domande. Le azioni e decisioni dei personaggi, però, andranno a influenzare direttamente quello che accade sulla Terra e su loro stessi.
Frank è un ex enfant prodige, che però ha perso qualsiasi speranza ed è fortemente disilluso. Incontra Casey, che invece ha l’ottimismo della sua giovane età. È molto acuta, intelligente e ha una forte curiosità scientifica.

I due saranno accomunati dalla stessa sorte, compiendo una pericolosa missione per svelare i segreti di una misteriosa dimensione spazio temporale, meglio conosciuta come Tomorrowland. Le loro imprese cambieranno sia il mondo che la propria vita, per sempre.

Il regista porta lo spettatore in una dimensione altra, dove le possibilità sono potenziate rispetto alla vita vera. Un posto dove le cose volano, dove c’è una magia tutta particolare, ma in cui accadono comunque cosa spiacevoli. Pur essendo un film targato Disney, infatti, non mancano scene di uccisioni, pur senza esagerare in termini di violenza delle immagini. Il futuro, quindi, si presenta come un luogo di scoperta, una dimensione che l’uomo è chiamato a costruire, senza rinunciare all’immaginazione.  

Tomorrowland
(Usa 2014)

REGIA: Brad Bird
SCENEGGIATURA: Damon Lindelof, Jeff Jensen
ATTORI: George Clooney, Britt Robertson, Judy Greer, Kathryn Hahn, Hugh Laurie
FOTOGRAFIA: Claudio Miranda
MONTAGGIO: Walter Murch
MUSICHE: Michael Giacchino
PRODUZIONE: Walt Disney Pictures
DISTRIBUZIONE: Walt Disney Pictures

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Vincitore del premio della Giuria al Festival di Cannes 2014, Timbuktu, il nuovo film del regista mauritano, Abderrahmane Sissako, racconta uno spaccato interessante del fondamentalismo islamico, ma senza pregiudizi o facili luoghi comuni. Un pastore di bestiame vive con la sua famiglia in un villaggio nei pressi di Timbuktu, in Mali. La sua è una vita semplice, molto tranquilla e scandita dal duro lavoro, vissuto fra le dune del deserto. Una calma che, però, viene bruscamente turbata dall’arrivo di elementi armati jihadisti che impongono la Sharia.

Niente sigarette, musica o football. Tutto diventa proibito e vengono imposti matrimoni forzati, le donne iniziano ad essere perseguitate e private della libertà e cominciano ad essere emanate dai loro tribunali delle sentenze basate su una visione settaria dell’Islam. Un modo di agire basato su ferocia e repressione, che, però, non ferma la popolazione, la quale resiste con forza e determinazione agli ‘invasori’.

Sissako costruisce chiaramente la storia su un dualismo tra due visioni dell’Islam opposte: quella moderata e quella integralista. Due mondi diversi, dicotomici, che non possono essere assimilati. Un film che arriva in un periodo storico difficilissimo per il mondo islamico, dove lo spettro dell’Isis genera paura e confusione, distruggendo intere culture e inasprendo la divisione tra Oriente e Occidente. Un film sulla diversità, ma anche sulla resistenza di un popolo, capace di tirare fuori la propria grinta per scacciare ‘un invasore’ che, in questo caso, proviene dal suo stesso paese.

Ma aprire gli occhi è possibile, su quelle che realmente sono le differenze tra chi usa la religione per accaparrarsi il potere e generare sottomissione e chi, invece, ha semplicemente un credo proprio e vive la vita nel rispetto degli altri. Ed è quello che un film come questo, forse, ci chiede di fare. 

Timbuktu (Francia 2014)

Regia: Abderrahmane Sissako
Personaggi: Ibrahim Ahmed, Abel Jafri, Hichem Yacoubi, Toulou Kiki, Kettly Noël
Sceneggiatura: Abderrahmane Sissako, Kessen Tall
Produttore: Sylvie Pialat
Fotografia: Sofian El Fani
Montaggio: Nadia Ben Rachid
Musiche: Amin Bouhafa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Il mito dell’eterna giovinezza torna nuovamente al cinema con il nuovo film di Lee Toland Krieger. Adaline - L'eterna giovinezza ambienta il racconto negli anni trenta, dove una giovane donna di 29 anni, Adaline Bowman, si salva miracolosamente da un incidente automobilistico e questo le dà la possibilità di non invecchiare mai.

La ragazza, 29enne, vive oltre ottant'anni in totale solitudine, vedendo addirittura invecchiare la propria figlia. Si è sottratta per tanto tempo a un legame sentimentale, ma l'incontro con l’affascinante Ellis Jones, cambierà le cose. Riuscirà Adaline a mantenere il suo segreto?

Metafora contemporanea, dove l’invecchiamento è una cosa sgradevole, che va coperta a suon di bisturi e botulino, il film è anche una riflessione sull’accettazione di se stessi e dello scorrere del tempo.

Quella di Adaline è una vita a metà, proprio perché non è la sua vera vita. Vive contro natura, vede addirittura incanutire sua figlia. Se in La morte ti fa bella, il regista Robert Zemeckis, dava vita in maniera sapiente a una commedia nera, dove la perfezione fisica si accompagna al decadimento morale, ma alla fine anche corporeo, delle due protagoniste.

Nel lavoro di Krieger tutto si basa sulla capacità della protagonista di tenere nascosta la sua vera identità. O, meglio, i suoi veri anni. Forse ci si aspettava qualcosa di più incisivo dal punto di vista della storia e della resa registica, nonostante il tutto alla fine risulti gradevole.

Adaline - L'eterna giovinezza (Usa 2014)

REGIA: Lee Toland Krieger
SCENEGGIATURA: Salvador Paskowitz, J. Mills Goodloe
ATTORI: Harrison Ford, Blake Lively, Michiel Huisman, Amanda Crew, Ellen Burstyn, Richard Harmon, Kathy Baker, Anjali Jay, Lynda Boyd, Barclay Hope, Chris William Martin
FOTOGRAFIA: David Lanzenberg
MONTAGGIO: Melissa Kent
MUSICHE: Rob Simonsen
PRODUZIONE: Lakeshore Entertainment, Sidney Kimmel Entertainment, Sierra / Affinity
DISTRIBUZIONE: Eagle Pictures

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Due personaggi completamente diversi tra loro. E nonostante le divergenze, la passione sboccia lo stesso. La nuova commedia di Lucas Belvaux, Sarà il mio tipo?, racconta la storia d’amore fra il professore di filosofia Clément e Jennifer, una parrucchiera con poche aspettative. Lui è brillante e colto. Si è trasferito da Parigi nella piccola cittadina Arras, nel Nord della Francia. Legge i grandi filosofi, come Kant e ha una vita piuttosto casalinga.

Jennifer, invece, è esuberante e vive fieramente ad Arras. Appassionata di romanzi rosa e di uscite nei locali con le amiche, dove si esibisce cantando nei karaoke, ha decisamente pochissimo in comune con il tenebroso professore che non crede nella vita di coppia. I due, però, sono attratti l’un l’altro. Anche se dovranno fare i conti con le barriere culturali e sociali che si inframmezzano nella loro storia.

Tratto dal romanzo Non il suo tipo, di Philippe Vilain, il film riesce a tenere alta l’attenzione dello spettatore, utilizzando un’ironia sofisticata, che non scade nel banale. Buona la costruzione dei personaggi, che sanno alternarsi tra di loro, facendo emergere proprio della dualità di cui ha bisogna la storia per poter decollare.

Una dicotomia che risulta essere vincente e che offre al racconto uno spunto per parlare di relazioni amorose in modo divertente, ma allo stesso tempo serio. I due provano a scambiarsi i ruoli: lui balla e lei cerca di leggere Kant, alternandosi in una raffinata storia d’amore destinata a scontrarsi con due modi di guardare la vita molto diversi.

Sarà il mio tipo? (Francia 2014)

Regia: Lucas Belvaux
Sceneggiatura: Lucas Belvaux
Attori: Émilie Dequenne, Loïc Corbery, Sandra Nkake, Charlotte Talpaert, Anne Coesens, Daniela Bisconti, Didier Sandre, Martine Chevalier

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Parlare della morte della propria madre non è certo cosa facile. Ma Nanni Moretti non delude e regala con il suo nuovo lavoro, Mia Madre, uno spaccato di vita intenso e mai scontato, dove si ride e si piange allo stesso tempo. Il dolore è qualcosa che si insinua tra le pieghe della vita, quasi fosse una taglio attraverso cui guardare, ma difficile da arginare. Proprio come l’acqua che invade l’appartamento di Margherita, interpretata da una brava Margherita Buy.

Una regista di successo che sta lavorando a un film con protagonista il famoso attore americano, Barry Huggins (John Turturro). La sua è una vita quasi totalmente inglobata dal lavoro. Si è separata dal marito, ha una relazione con un attore del set, che si è però ormai consumata, e deve vedersela anche con i problemi adolescenziali di sua figlia Livia.

Dall’altra parte c’è il fratello Giovanni, interpretato da Nanni Moretti. È lui la spalla su cui Margherita si appoggia per accudire la madre,  gravemente malata. Lui cucina, è sempre disponibile, non perde mai la calma. Mentre Margherita è il contrario.

Attraverso il suo personaggio Moretti parla di se stesso, ma anche del ruolo del regista, “uno stronzo a cui voi permettete di fare tutto”, dice testualmente Margherita al suo staff. Ma anche il ruolo dell’attore è messo a nudo da Moretti attraverso Barry Huggins, dove la voglia di uscire dal personaggio e di tornare alla vita ‘vera’ è ben esemplificata nella frase urlata da Turturro “Recitare è una perdita di tempo”.

Realtà e finzione, allora, si confrontano e si confondono ed è in questo alternarsi che Margherita dovrà trovare la sua strada e la sua serenità.

Mia madre
(Italia 2015)
Regia: Nanni Moretti
Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Valia Santella
Attori: Nanni Moretti, Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Beatrice Mancini
Casa di produzione: Sacher Film, Fandango, Le Pacte, Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Fotografia: Arnaldo Catinari
Montaggio: Clelio Benevento
Scenografia: Paola Bizzarri




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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