di Sara Michelucci

Anna è ‘na cosa e niente’. La sua vita lo è. Il modo in cui ha iniziato a considerare i sentimenti e le passioni lo è. Anna Ruotolo, interpretata magistralmente da Valeria Golino, che si è aggiudicata anche la Coppa Volpi, è la protagonista del nuovo film di Giuseppe Gaudino, Per amor vostro.

In una Napoli sempre più degradata, Anna vive con i suoi demoni, reali e immaginari. Ha tre figli, di cui uno sordomuto, che ama alla follia e per cui farebbe tutto. Anche accettare un marito violento e che la umilia giorno dopo giorno. Anche far finta di non sapere la vera occupazione del padre dei suoi figli, il quale a strozzo presta soldi alla povera gente.

Ma Anna va avanti. È apprezzata nel suo lavoro di suggeritrice in uno studio televisivo. Ed è lì che si innamora di Migliaccio e crede, finalmente, di poter riscoprire l’amore.

Gaudino usa il bianco e nero per raccontare la cronaca di una vita senza colore e senza pretese. Ma poi alterna questo stile ‘retrò’ a inserzioni musicali, immagini disegnate e ‘mostri’, facendo risuonare le parole dell’incipit dell’Inferno dantesco.

Realtà e immaginazione si mischiano, si alternano, con immagini che dal realismo delle vie di Napoli si scontrano con quelle surreali di un sottosuolo fatto di demoni e anime dannate.

Uno stile che certamente mette a segno un lavoro ben fatto e che colpisce, risultando originale, anche se in certe parti, probabilmente, si spinge un po’ troppo oltre.


Per amor vostro (Francia, Italia 2015)
REGIA: Giuseppe M. Gaudino
SCENEGGIATURA: Giuseppe M. Gaudino, Isabella Sandri, Lina Sarti
ATTORI: Valeria Golino, Massimiliano Gallo, Adriano Giannini
PRODUZIONE: Buena Onda, Eskimo, Figli del Bronx, Gaudri, Bea Production Company, Minerva Pictures Group, con Rai Cinema
DISTRIBUZIONE: Officine UBU

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Stile diretto, reale e senza troppi fronzoli quello scelto dal regista Vincenzo Marra che nell’ultimo lavoro, La Prima Luce, racconta di quanto possa essere lacerante una separazione e come l'amore di un padre per suo figlio riesca a superare ogni confine. Una storia come tante quella di Marco, giovane e cinico avvocato rampante, interpretato da un convincente Riccardo Scamarcio.

Vive a Bari con la sua compagna cilena, Martina, e il loro piccolo Mateo di 7 anni. Martina si è trasferita in Italia dopo aver conosciuto Marco. Ma ha voglia di tornare nel suo Paese natale insieme a suo figlio, perché il rapporto con il suo uomo è ormai alla fine. Una scelta che escluderebbe Marco e lui non glielo consente, troppo profondo è l’amore e il legame con suo figlio.

Dopo un periodo lacerante, Martina decide di scappare insieme a Mateo e si reca nel suo paese facendo perdere ogni traccia. Il tempo per Marco inizia a scorrere più lento, non ha nessuna notizia di suo figlio e dopo un periodo di angoscia e sbandamento decide di andare a cercarlo. Una volta arrivato in Sud America si ritrova in una metropoli di 6 milioni di persone, indifferente e indecifrabile. Ma dopo lunghe e inconcludenti ricerche Martina e Mateo ricompaiono nella sua vita.

L’autore decide di affrontare un tema importante e che spesso compare in svariati fatti di cronaca.  Lo stile asciutto e la capacità degli attori di rendere appieno l’angoscia che si prova quando uno dei due genitori decide di togliere il figlio all’altro e addirittura di portalo a migliaia di chilometri di distanza, riescono a cogliere nel segno. Il coinvolgimento emotivo è pieno, nonostante ci si fermi forse un po’ troppo alla ‘pura’ cronaca di una vicenda, senza riuscire a conferire qualcosa di più incisivo e originale al racconto stesso. 

La prima luce
(Italia 2015)
Regi: Vincenzo Marra
Soggetto: Vincenzo Marra
Cast: Riccardo Scamarcio, Daniela Ramirez, Gianni Pezzolla
Sceneggiatura : Angelo Carbone E Vincenzo Marra
Direttore della fotografia: Maura Morales Bergmann (a.i.c.)
Montaggio: Vincenzo Marra e Sara Petracca
Produzione: Paco Cinematografica
Distribuzione: Bim

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

È un Bellocchio che sperimenta, che non lascia nulla al caso, ma che al contempo stupisce e interroga lo spettatore quello di Sangue del mio Sangue, ultima fatica del regista emiliano. Bellocchio fa i conti con la storia, raccontando di Federico, giovane uomo d’armi che cerca la vendetta del fratello, un sacerdote che si è ucciso, sembra per amore.

Ad essere incolpata è una giovane suora, Benedetta, creduta dall’Inquisizione avere un’alleanza con Satana. Federico, al tempo stesso, viene sedotto come il suo gemello dalla donna, che verrà condannata ad essere murata viva nelle antiche prigioni di Bobbio.

Secoli dopo tornerà nel medesimo posto, ormai abbandonato, un altro Federico, ispettore ministeriale che, accompagnato da un magnate russo interessato ad acquistare la proprietà, scoprirà che l’ex prigione-convento di Santa Chiara è ancora abitata da un misterioso conte, interpretato da un bravo Roberto Herlitzka. Un ‘vampiro’ contemporaneo, che esce solo di notte per le strade della città. Esplicito, ovviamente, è il riferimento a La monaca di Monza di Manzoni.

Il regista parte dal passato per raccontare il presente, in un parallelismo che non è così immediato ma su cui, se ben ci si riflette, nascono delle connessione importanti. È un’Italia chiusa, protetta, come dice lo stesso regista “dal sistema consociativo e corruttivo dei partiti e dei sindacati che la globalizzazione sta radicalmente trasformando (non si capisce ancora se in meglio o in peggio)”.
Il film è stato presentato all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.


Sangue del mio Sangue (Italia 2015)

REGIA: Marco Bellocchio
ATTORI: Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio, Alba Rohrwacher, Lidiya Liberman, Federica Fracassi, Alberto Cracco, Bruno Cariello, Toni Bertorelli, Filippo Timi, Elena Bellocchio, Alberto Bellocchio
FOTOGRAFIA: Daniele Ciprì
MONTAGGIO: Francesca Calvelli, Claudio Misantoni
MUSICHE: Carlo Crivelli
PRODUZIONE: IBC Movie, Kavac; in collaborazione con Rai Cinema Distributore
DISTRIBUZIONE: 01 Distribution

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Si muove in un taxi l’occhio del regista. E lo spettatore guarda attraverso l’obiettivo di una mini telecamera, posta sul cruscotto del veicolo guidato per le vie di Teheran dal regista iraniano Jafar Panahi. E non si stenta a capire come mai Taxi Teheran si sia aggiudicato l’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2015. Il regista, la cui vita è segnata da diversi arresti politici da parte del governo iraniano, è seduto al volante del suo taxi e percorre le animate strade di Teheran.

La Teheran contemporanea, fatta di tante contraddizioni e divieti, dove la libertà è un’utopia, è tratteggiata attraverso i racconti dei passeggeri che si susseguono e si confidano con il regista.

Tra ironia e drammaticità, Panahi riesce ad andare nel cuore della cultura iraniana, in quella volontà di cambiamento che scuote dall’interno il Paese. Già con Abbas Kiarostami - di cui Panahi è stato aiuto regista sul set di Sotto gli ulivi - la città iraniana veniva vista con gli occhi dei passeggeri di una macchina guidata da una donna e dall’obiettivo di una minicamera digitale.

Ma in questo caso c’è un elemento in più: il regista si "sveste" del suo ruolo e si mette davanti la macchina da presa, parlando, oltre che della condizione in cui versa la cultura in Iran, indirettamente anche di se stesso e della sua, di condizione.

Nel 2010, Jafar Panahi viene condannato a non poter più realizzare film, scrivere sceneggiature, concedere interviste alla stampa e uscire dal suo paese per un periodo di tempo indeterminato, pena 20 anni di incarcerazione per ogni divieto violato, ovvero una pena complessiva potenziale di 80 anni di prigione. La condanna viene confermata in appello nell’autunno del 2011.

Malgrado queste interdizioni, il regista continua a fare film, ottenendo numerosi riconoscimenti in vari Festival all’estero. Ed è il racconto scolastico della nipotina, che elenca gli elementi che permettono a un film di essere ‘distribuibile’ in Iran, a descrivere la condizioni in cui versa l’arte nel Paese. 

Taxi Teheran (Iran 2015)
REGIA: Jafar Panahi
SCENEGGIATURA: Jafar Panahi
ATTORI: Jafar Panahi
FOTOGRAFIA: Jafar Panahi
MONTAGGIO: Jafar Panahi
PRODUZIONE: Jafar Panahi Film Productions
DISTRIBUZIONE: Cinema

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

È ancora una volta la storia di un pugile che cerca il riscatto a tornare al cinema con Southpaw – L’ultima sfida New York di Antoine Fuqua. Billy Hope (un bravo Jake Gyllenhaal) è un campione imbattuto dei pesi massimi. Un mancino che ha un modo di combattere molto aggressivo.

Dai bassifondi è riuscito a conquistare la vetta e ora ha una villa mozzafiato, una moglie bellissima che adora e che come lui proviene dall’orfanotrofio dove entrambi sono cresciuti, e una figlia piccola.

Ma è ora che la sua vita cambi, che smetta con la boxe. La moglie Maureen prova a convincerlo, ma prima che Billy possa avere una nuova vita, un incidente gli porta via l’amata. Il suo rivale Miguel Escobar, infatti, durante una violenta lite fa partire un colpo di pistola che colpisce Maureen, uccidendola. E così la vita di Billy sarà stravolta.

Un film sicuramente duro e che colpisce, ma che non riesce a decollare in maniera incisiva, anche a causa di una struttura narrativa poco snella e ancorata a degli stereotipi che non lo rendono pienamente originale. Il cast, sicuramente, è azzeccato e riesce a dare slancio alla pellicola, che nella costruzione dei personaggi risulta interessante.

Southpaw – L’ultima sfida New York

(Usa 2015)

Regia: Antoine Fuqua
Cast: Jake Gyllenhaal; Forest Whitaker; Rachel McAdams
Sceneggiatura: Kurt Sutter
Produzione: Escape Artists, Fuqua Films, Riche Productions
Distribuzione: 01 Distribution
Fotografia: Mauro Fio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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