di Fabrizio Casari

Campioni d’Italia, d’Europa e del mondo. Come se vincere tutto in Italia e la Champions in Europa non fosse stato abbastanza, quarantacinque anni dopo il trionfo del 1965, l’Inter si regala anche il tetto del mondo. Lo fa battendo i coreani in semifinale e gli africani in finale, con identico punteggio: 3 a 0. La trasferta di Abu Dhabi si rivela la ciliegina sulla torta: il 2010 è diventato l’anno della squadra di Massimo Moratti, che ha raccolto ben cinque trofei su sei disponibili nell’anno solare.

Dulcis in fundo, l’Inter ha vinto anche il premio FIFA World Player (di solito difficilmente assegnato ai vincitori) e Samuel Eto’o ha vinto il premio di miglior calciatore del torneo. Un altro piccolo Triplete, insomma. E nel Guinnes entra anche Esteban Cambiasso: da ieri è il giocatore argentino che ha vinto più trofei (22) superando persino il grande Alfredo di Stefano.

Adesso i detrattori e gli antipatizzanti mediatici annidati tra le vedovelle di Luciano Moggi, spiegheranno in ogni salsa che il torneo FIFA ha avuto una qualità scarsa, che il Membete non era avversario degno come lo sarebbero stati i brasiliani (che però proprio dalla squadra africana sono stati eliminati in semifinale). Ma sono chiacchiere da Bar sport, riedizioni calcistiche della favola di Fedro sulla volpe e l’uva.

E a sottolineare come ad essere con il naso all’insù nell’arte poco nobile dell’invidia nascosta dal disinteresse ci siano soprattutto quelli che, carichi d’invidia, avrebbero pagato qualunque cifra per esserci, sarebbe bene ammettere che, quali che siano gli avversari - che non ha certo scelto l’Inter - per vincere questa finale bisogna arrivarci e che il cammino nerazzurro non è certo robina da tutti i giorni.

Bisogna infatti vincere prima la Champions League e, vincerla nel modo in cui l’ha vinta l’Inter, ha rappresentato una manifestazione di forza cui è difficile replicare. I nerazzurri, infatti, hanno battuto le squadre che avevano vinto i loro rispettivi campionati: dal Rubin Kazan al Chelsea, dal Barcellona al Bayern Monaco. In un solo torneo, ha messo al tappeto i campioni di Russia, d’Inghilterra, di Spagna e di Germania; appare dunque capzioso dire ora che la squadra in finale di Coppa del Mondo era africana.

La partita non ha avuto storia, come del resto non l’aveva avuta la semifinale contro i sudcoreani. L’Inter, recuperati i suoi giocatori vittime della più incredibile catena d’infortuni del calcio italiano, ha giocato da Inter. Difesa solida, controllo della partita a centrocampo, pressing alto e ripartenze, finalizzazioni micidiali. Stankovic, Zanetti, Milito, Eto’o (dodicesimo gol in una finale), Pandev e Biabiany hanno messo la firma sui gol, ma il gioco visto in campo era il gioco dell’Inter del Triplete.

Benitez, che ha inspiegabilmente tenuto fuori Stankovic per buona parte della partita (il giocatore serbo era furioso prima e triste poi) e se il match non avesse subito preso la piega migliore le polemiche non sarebbero mancate, visto che Dejan Stankovic era certamente tra i più in forma. E siccome l’Inter è sempre l’Inter, è inevitabile che nei momenti dove dovrebbe trovare posto solo la gioia, s’inneschino polemiche sbagliate per la scelta del testo e del contesto.

Se a Madrid, dopo la vittoria in Champions, Milito aveva avuto la pessima idea di mettere in discussione la sua permanenza all’Inter, ad alzarle questa volta è Benitez, che dopo essersi sentito sulla graticola (se non avesse vinto il torneo avrebbe preso un'altra direzione da Milano) ha deciso di lanciare ultimatum fuori luogo. Con le bollicine dello champagne che ancora frizzavano, nella conferenza stampa post-partita ha infatti minacciato di lasciare l’Inter "se a Gennaio non arriveranno quattro rinforzi".

Forse era nervoso perché l'Inter ha giocato le due partite in Arabia Saudita con lo schema con il quale giocava con Mourinho. Niente difesa alta, ma chisura e ripartenze rapide, pressing alto e verticalizzazione rapida. L'Inter, insomma, ha lasciato le teorie di Benitez nella panchina ed ha giocato come ha sempre giocato quando ha dovuto vincere.

E forse Benitez era nervoso anche per le parole di Mourinho, che si era detto pronto a vedere la partita dell’Inter (“la mia squadra”) con la maglietta nerazzurra addosso e che aveva chiesto con forza di vincere, dopo un cammino durato 57 partite. O forse lo era per aver visto Moratti parlare con Capello ad Abu Dhabi. Ma davvero l’allenatore spagnolo poteva scegliere un altro momento.

Ma lasciando da parte per un attimo l’opportunità di sporcare una vittoria straordinaria con una polemica, proviamo ad entrare nel merito. Giocatori da Inter, sul mercato, non ce ne sono. I due acquisti che proponeva Benitez l’estate scorsa costavano cifre di molto superiori al loro valore e uno di questi è stabilmente riserva nella sua squadra. Ad ogni modo acquistare fuoriclasse in giro per il mondo prevede una forte disponibilità di denaro, una trattativa in corso ed un allenatore che non gridi il suo interesse per l’operazione che, a questo punto, diventa solo più onerosa e complessa.

Benitez sapeva che l’Inter avrebbe acquistato giocatori importanti solo davanti ad occasioni di mercato; il fair play finanziario e la consapevolezza di un mercato stretto non consentivano esborsi che sarebbero risultati inutili. Poteva benissimo, stando così le cose, non accettare di venire a guidare i campioni d’Europa.

Forse Moratti è eccessivamente ottimista quando dice che la squadra non ha bisogno di rinforzi, ma il rientro dei titolari infortunati ha prodotto due vittorie con sei gol fatti in tre partite e nessuno subito. Se i metodi d’allenamento di Benitez, che hanno falcidiato i bicipiti femorali di tutta l’Inter (ultimo Snejider al Mondiale), non fossero stati prima applicati e poi reiterati e difesi ad onta di ogni logica, proprio la squadra avrebbe dato una risposta diversa. Non a caso, nelle ultime settimane nessun giocatore forzava fisicamente, proprio nel timore di giocarsi il Mondiale di Abu Dhabi.

Non solo: Benitez, in un impeto di superbia, ha anche chiesto “pieni poteri” e “gestione totale” della squadra, affermando che, in caso contrario, l’Inter dovrà parlare con il suo agente. Francamente, il mister spagnolo deve aver visto il suo lavoro all’Inter con le lenti deformate del suo ego.

La squadra in mano sua ha perso la Supercoppa europea ed è a tredici punti di distanza dalla capolista in campionato. In campo ha mostrato scarsa tenuta atletica, scarsissima concentrazione e zero grinta. Ad essere precisi, non è Benitez ad aver fatto vincere l’Inter, semmai il contrario. Quelle di Benitez sembrano dunque parole destinate ad una lettera di dimissioni, non ad un rilancio della squadra. Come pensa possa andare a finire dando ultimatum al Presidente e ai giocatori?

E’ probabile quindi che Moratti incaricherà Branca di liberarsi del problema. Sono diverse le opzioni che sono a disposizione per la panchina dell’Inter. Per venire ad allenare i campioni d’Italia, d’Europa e del Mondo, c’è la fila e non serve un fenomeno. L’unico che c’è, Mourinho, provvisoriamente allena altrove.

 

di Fabrizio Casari

La vittoria in zona Cesarini della Juventus sulla Lazio porta i bianconeri a meno sei dal Milan capolista e assegna alla squadra di Del Neri il ruolo dell’anti-Milan. Provvisorio o definitivo è presto per dirlo, ma i bianconeri, dopo una bella partita nel primo tempo e noiosa nella ripresa, raccolgono ora, con il gol di Krazic al 94°, un testimone che vale ben di più che i tre punti.

Il pareggio sarebbe stato il risultato più giusto tra due squadre che sono sembrate di uguale valore, Gli uomini di Reja pensavano già di aver portato via un buon punto da Torino e forse la mezza papera di Muslera è anche figlia di una scarsa concentrazione, mentre il gol del serbo juventino lo è certamente della fortuna. Ma tant’é. Roma, Napoli e Milan e ora Juventus sono le squadre che hanno guadagnato le vittorie a tempo ormai scaduto, confermando quanto sosteneva il vecchio Boskov: “Partita finisce quando arbitro fischia”.

Un pacchetto di mischia, quello alle spalle della squadra di Allegri, che dimostra un qualche segno d’incertezza in un campionato che più scontato non si poteva immaginare e che, domenica dopo domenica, prosegue senza scossoni e senza particolari emozioni. La classifica, quindi, è quanto di più simile alle proiezioni e ai pronostici che si potevano ipotizzare.

Il Milan, vittorioso contro il Bologna, si trova in vetta con 36 punti, seguono Juventus Lazio e Napoli con 30, il Palermo e la Roma con 26 punti. Poi segue l’intendenza: L’Inter, la Sampdoria e l’Udinese ne hanno 23, il Genoa 21, il Cagliari 20 come il Chievo, la Fiorentina e il Bologna 19, Catania e Parma 18, Brescia e Lecce 15, Cesena 12, Bari 10. L'Inter, impegnata al Mondiale per club, non ha giocato col Cesena. Il match a San Siro sarà recuperato il 19 gennaio 2011. Ma non avrebbe avuto comunque la possibilità di modificare il disegno della parte alta della classifica.

Il Milan travolge il Bologna al Dall’Ara con i gol di Boateng. Robinho e Ibrahimovic e l’errore dal dischetto di Di Vaio certo non aiuta i rossoblu, già di per sé stessi inguaiati dal default finanziario della proprietà. L’attaccante svedese mette il piedone in tutte le azioni da gol e viene confermato il teorema solito: più che Milan è Ibramilan.

Vero è che Ibra da diversi anni, prima con l’Inter, ora con il Milan, ha sempre trascinato alla vittoria in campionato le sue squadre. Solo lo scorso anno, con il Barcellona, l’importante del bomber dalle mille maglie e dagli amori eterni che durano poco, non ha avuto un ruolo importante: nel Barca, infatti, nessuno ha pensato di costruire il gioco per fare segnare lui e lo stesso suo tasso tecnico, pur rilevantissimo, non era certo il maggiore: Messi, Xavi e Iniesta sono decisamente di un'altro pianeta. Ma in Italia è diverso:Ibrahimovic è decisivo e averlo o no fa la differenza tra vincere il campionato o no.

Dunque il Milan - almeno in questo periodo - non pare possa essere superato. Si tratterà solo di vedere quanto durerà il periodo. E, a proposito di periodi, anche quello della Roma sembra volgere in positivo, persino oltre i meriti dei giallorossi. Perché Ranieri avrà anche la pazienza in riserva quando chiede ai media maggior rispetto per la Roma, ma sarebbe importante ricordare che i media ingigantiscono spesso, colorano sempre, ma inventano raramente.

Se lo spogliatoio della Roma appare nervoso, inutile dare la colpa a chi lo racconta; meglio sarebbe punire chi non controlla i nervi. Sul campo, dove invece andrebbe canalizzata l’energia accumulata, alla Roma manca sempre la capacità di affondare il colpo definitivo e supera il Bari, ultimo in classifica e ampiamente rimaneggiato, solo grazie ad un gol in fuorigioco di Juan. Certo, la decisione di annullare il gol di Borriello per un presunto fallo di mano appare discutibile, ma anche quella di lasciare in campo Brighi (che andava espulso) risulta penalizzante per il Bari.

Annotazione di fine serata. Dopo il Bologna, anche il Catanzaro (in C2) si trova sull’orlo dell’abisso finanziario. I giocatori non percepiscono lo stipendio da mesi (e non è certo lo stipendio dei loro colleghi di serie A). Diritti televisivi, sponsor, finanziamenti vari, non riescono nemmeno – o soprattutto - a smentire la più provata delle verità: dirsi imprenditori e saper intraprendere sono ormai aspetti dicotomici. Se non c’è Pantalone, pagano quelli con i pantaloncini.

di Fabrizio Casari

C’era una volta il pallone d’oro. Organizzato dalla rivista francese France Football e assegnato da una giuria di giornalisti sportivi, era destinato a premiare i calciatori migliori europei ovunque giocassero. Tra questi, il premio andava a chi, nell’anno in corso, si era distinto per importanti vittorie o prestazioni decisive ai fini delle stesse. Un trofeo prestigioso per chi lo vinceva, certo, ma anche per chi veniva a trovarsi sul podio dei primi tre. Persino chi, pur non riuscendo ad arrivare alla vetta, era comunque tra i 23 nominati nella platea dei concorrenti, trovava motivo non banale di soddisfazione.

Intendiamoci, non sempre tutto filava liscio, dal momento che notori bidoni si erano trasformati in stelle di prima grandezza grazie a qualche voto di qualche compiacente giornalista-giurato che, preferiamo pensare disinteressatamente, capiva poco di calcio ma molto di nazionalità. D’altra parte, a ben vedere, anche i meno dotati sul campo dispongono di qualcuno capace in area manageriale e comunicativa; di quelli insomma che sanno fare il loro mestiere, che capiscono perfettamente come si costruiscono carriere, ingaggi e percentuali sui cartellini dei giocatori.

Ora la giuria del premio, che verrà consegnato a Zurigo il prossimo 10 Dicembre, è stata allargata alla FIFA, la bizzarra organizzazione del calcio internazionale gestita da malaffare e incompetenza e, per questo, diretta dall’uomo giusto al posto giusto: Blatter. Ma ad ogni modo, pur inquinato dalla cricca di Blatter, il premio avrebbe dovuto mantenere il presupposto iniziale, cioè le vittorie - per numero e importanza - e il ruolo giocato dai premiati nel favorirle.

Ma leggendo la lista dei premiati dell’edizione di quest’anno, così come anticipata dalla Gazzetta dello sport, si scopre che qualcosa non quadra. Se l'indiscrezione del giornale sportivo venisse confermata (e la Gazza difficilmente sbaglia su questo) sarebbe davvero un assurdo. Come tutte le cose che tocca Blatter, un classico esempio di re Mida alla rovescia, perdono di ogni credibilità. Il Pallone d’oro del 2010 sembra essere infatti, in barba a quanto successo, una competizione spagnola destinata al calcio spagnolo.

Chi sale sul podio, infatti? Iniesta, Xavi e Messi, i tre gioielli del Barcellona di Guardiola. Che però è stata eliminata dall’Inter in Champions. Ma dev’essere un dato secondario. Succede, infatti che l’Inter, la squadra cioè che ha vinto il proprio campionato, la propria Coppa e Supercoppa di Lega e la Champions League (cioè la Coppa più importante della galassia calcistica internazionale) e che si appresta a disputare le finali del Mondiale per club, non vede nessuno dei suoi protagonisti premiato. Né giocatori, né allenatore. Il Triplete, che l’anno prima, realizzato dal Barcellona, aveva entusiasmato il mondo, l’anno successivo, vinto dall’Inter, non ha più valore.

Lo scandalo contro la squadra nerazzurra è cominciato con l'esclusione di Diego Milito, cioè colui che ha segnato nelle finali di tre competizioni su quattro, nemmeno previsto però nella lista ampia dei 23 competitori al premio. E’ poi proseguito con Snejider, l’olandese che ha ispirato il gioco dell’Inter del Triplete e che ha contribuito enormemente a portare l’Olanda alla finale del mondiale, vincendone addirittura la classifica marcatori: anche lui escluso dal podio.

Infine, a completare l’assurdo, Josè Mourinho, che ha guidato l’Inter del Triplete e che è fuor di dubbio allenatore tra i più vincenti al mondo, che si vede superato da Vicente Del Bosque, allenatore della Spagna campione del mondo per nazioni.

France Football e FIFA hanno deliberatamente snobbato l’Inter e, con essa, il calcio italiano. Sembra quasi che Mourinho debba pagare i demeriti di Lippi e che invece Del Bosque debba recuperare i demeriti di Guardiola. Ovviamente, nessuno nega i meriti di Del Bosque, che pure ha vinto grazie ad un sistema di gioco non suo però, ma proprio di Guardiola, avendo schierato al mondiale tre quarti di Barcellona con un quarto di Real Madrid.

Bisogna però che siano chiariti i criteri con cui i riconoscimenti si elargiscono: o ciò che conta è il Mondiale per nazioni, oppure sono le competizioni nazionali, europee e sudamericane a risultare determinanti per l’assegnazione del premio. Se ciò che conta è il Mondiale, allora tanto vale istituire il premio ogni 4 anni. E, sempre se ciò che conta è il Mondiale, allora non si capisce cosa faccia Messi sul podio di quest’anno. La stella argentina ha giocato un pessimo Mondiale, che infatti non ha vinto. Snejider e Furlan hanno in cambio disputato un super Mondiale, da protagonisti assoluti, portando oltre ogni pronostico le loro nazionali a suon di gol. Ma sul podio non ci sono.

Se invece contano Coppe europee e campionati nazionali - e quindi, a maggior ragione, chi realizza il Triplete - allora allenatore e giocatori migliori dell’Inter avrebbero dovuto essere i premiati, non quelli del Barcellona. Sul podio, poi, avrebbe dovuto trovare posto per l’appunto Diego Furlan, che ha fatto vincere all’Atletico Madrid sia l’Europa League che la Supercoppa europea, oltre a giocare un Mondiale straordinario con l’Uruguay. Ma nemmeno Furlan è sul podio.

Se poi, diversamente da quanto previsto, si premia la bravura in assoluto, conviene assegnare il Pallone d’oro al fantasista argentino (che l’ha già vinto) per meriti a prescindere, come direbbe Totò. Ma anche qui, se il premio si riferisce alle prestazioni dell’anno in corso, Messi non doveva  salire sul podio di questa edizione.

L’impressione è che il combinato disposto di Blatter e dei giornalisti francesi abbia scelto su basi diverse da quelle dei risultati sul campo, utilizzando criteri e norme private a sostegno della più assoluta arbitrarietà. Che toglie però, definitivamente, ogni residua patina di decenza sia al premio che all’istituzione. Quasi quasi a non esserci, parafrasando Moretti, si viene notati più che ad esserci.

 

di Fabrizio Casari

Ormai si gioca senza interruzioni: dal venerdì al lunedì il campionato, il martedì e mercoledì la Champions e il giovedì l’Europa League. Non se ne può più, si rischia l’overdose. Cominciamo comunque da venerdì scorso. La caduta rovinosa dell’Inter contro la Lazio ha aperto una giornata di campionato che, chiusasi, si è rivelata avara di sorprese e ricca invece di risultati che apparivano scontati alla vigilia. Che il Milan strapazzasse il Brescia e che la Roma non riuscisse a passare contro il Chievo, o che la Fiorentina con il ritrovato Mutu riuscisse a battere il Cagliari e che il Genoa potesse aver ragione del disastrato Bari, erano risultati più che probabili. E la vittoria della Juve sul campo del Catania semplicemente sottolinea il quadro, anche se al Massimino tutti avevano pagato prezzo fino ad oggi.

Desta stupore e polemiche il pareggio della Roma a Verona, ma a ben vedere non si capisce il perché. Il Chievo è una squadra affatto disprezzabile, che ha battuto Inter e Napoli: sul suo campo nessuno si è mai divertito. Le polemiche nell’ambiente romanista hanno riguardato il campo e le scelte di Ranieri. Per quanto riguarda il campo, tutti e 22 ci giocavano e, fino a tutto il primo tempo, la Roma vinceva per due a zero, quindi sarebbe bene non polemizzare. Riguardo alle scelte di Ranieri, non sono poi così incomprensibili: fra tre giorni la Roma dovrà disputare una sfida di Champions League che dovrà vincere a tutti i costi, pena l’esclusione dalla competizione. Affrontare il Cluj con Totti e Borriello riposati è dunque una necessità.

Il rischio che in un campo così mal messo potessero infortunarsi era troppo alto. Una scelta dunque, quella dell’allenatore giallorosso, comprensibilmente prudente: una mancata vittoria con il Chievo ha la possibilità di essere risolta nelle rimanenti partite di campionato, mentre una mancata vittoria con il Cluj significherebbe uscire dal torneo europeo; un’onta e una mancanza di denaro nelle casse del club, che rappresenterebbero una buona parte di fallimento della stagione, dopo la sconfitta in Supercoppa italiana.

Il Milan continua come nelle giornate precedenti: la capolista é Ibrahimovic più dettagli trascurabili. Hai voglia a mettere o no Pirlo, far giocare o no Ronaldinho. Fino a quando lo svedese giocherà bene, i rossoneri saranno in cima alla classifica. Non a caso ha vinto 7 campionati su otto giocati ed é diventato inutile solo dove si gioca al calcio per insegnare e mostrare calcio, cioé al Bracellona. Quando Ibra dovesse avere un calo di forma o un infortunio, il Milan si fermerà.

Nemmeno un inguaribile ottimista avrebbe scommesso sulla vittoria interista all’Olimpico. Il divario d’idee e uomini in campo e soprattutto psicologico tra Inter e Lazio, poteva solo avere l’entità del risultato come variabile, non l’esito della partita. Benitez ha certamente molte scusanti, prima tra tutte gli infortuni. All’Inter mancano sei titolari e il settimo è costretto a lasciare il terreno di gioco dopo mezz’ora. E sono titolari che, nei loro rispettivi ruoli, sono al top dei valori mondiali. Julio Cesar, Maicon, Samuel, Milito ed Eto’o sono i migliori (o tra i migliori) del mondo nei loro rispettivi ruoli. E se poi anche nei sostituti ce ne sono altri quattro in infermeria, cosa fare?

Eppure, le scusanti di Benitez finiscono qui, poi entrano in gioco le colpe. Perché comunque in campo c’erano giocatori complessivamente migliori di quelli della squadra di Reja, solo che assolutamente incapaci di produrre gioco e intensità agonistica sufficiente. E’ perfettamente inutile che l’allenatore spagnolo continui a evocare il passato quando si discute d’infortuni e appagamento psicologico e dimenticarlo invece quando si parla di risultati. Benitez ha in mano l’Inter da cinque mesi e il risultato è penoso.

Errori nella preparazione a parte, quella nerazzurra è una squadra senza idee, senza schemi, senza velocità e senza agonismo (proprio come il suo allenatore) e subisce il ritmo e l’aggressività, il gioco e i gol di qualunque squadra avversaria che sia appena di livello accettabile. Un’indiscrezione racconta della possibile esclusione di Snejider dal pallone d’oro, anzi addirittura dai primi 3 posti. Sarebbe abbastanza vergognoso visto che nemmeno Milito è stato inserito nella speciale classifica. Se vincere tutto non basta, chissà cosa si deve fare o quanto si deve contare per riuscirci..

Non era certo questa la missione dell’allenatore spagnolo, che ora può persino complicare ulteriormente la situazione, giacché anche in caso di vittoria in Champions con il Werder Brema (cosa non facile, vista l’attuale Inter) se il Thottenam batte il Twente l’Inter arriva seconda nel girone, con la certezza di trovare le squadre più blasonate d’Europa. E il Mondiale per club, per i tifosi dell’Inter, che fino a qualche mese fa sembrava dover essere l’ulteriore trionfo della squadra più forte della sua storia, sta pian piano assumendo i contorni di un evento da temere.

La Fiorentina comincia ad accumulare punti e vittorie e tra le mura di casa ormai non perde da diversi turni. Il lavoro di Sinisa Mihajlovic comincia a dare i suoi frutti. Vincono le genovesi: la Sampdoria, alla vigilia del collegio arbitrale su Cassano, trova in Pazzini chi la guida a sbaragliare il Bari e il Genoa ha in Toni e Ranocchia i killer del Lecce. Dopo aver messo paura all’Inter Crespo manda a casa l’Udinese. Il bomber argentino a 35 anni raggiunge quota 150 gol in Italia: non a caso il suo soprannome è “arma letale”. Sembra non volersi far condizionare dalle vicende societarie il Bologna, che vince due a zero il derby regionale con il Cesena. Se la presidenza del Bologna avesse anche solo la metà della serietà professionale di Di vaio, sotto le Torri riterebbe un’aria migliore.

di Fabrizio Casari

Non sono certo mancate le emozioni in questo turno del campionato. La Roma è stata letteralmente affondata dal Palermo e stessa sorte l’ha subìta il Napoli, che è andato a sbattere contro l’Udinese di un Di Natale pazzesco. Risultato straordinario anche per l’Inter di Benitez, che senza Eto’o squalificato e Milito infortunato riscopre la vena di Stankovic e segna cinque gol ad un Parma comunque di buon livello e con un Crespo mai domo. Dall’inizio del torneo è la prima goleada di un’Inter sempre sparagnina in avanti. Il Milan conferma quanto già si è capito: se Ibrahimovic non segna, il Milan non vince.

Molti l’avevano data già per spacciata, fuori dalla corsa per il titolo, ma l’Inter ieri, è stata l’unica tra le grandi a guadagnare punti e ha dimostrato che il campionato è tutt’altro che segnato. Grazie quindi ad uno strepitoso Stankovic, la squadra di Benitez ha ridotto di due punti il distacco dal Milan e ha smosso in maniera decisa la classifica. Dunque, dopo il successo sul Twente, che gli ha permesso il passaggio automatico agli ottavi di Champions, l’Inter sembra aver ripreso la strada del successo anche in campionato, tornando a vincere al Meazza, dove da tempo collezionava risultati negativi.

Non che non abbia ballato, la beneamata, causa incertezze difensive di Materazzi; ma certo che la sua vecchia guardia - Stankovic e Cambiasso - cui si è aggiunta una rete del rientrante Thiago Motta (ottimo scorcio di gara), ha mandato un messaggio chiaro: il rientro di Thiago Motta, Cambiasso e Stankovic propone un centrocampo di ben altra pasta da quello visto nell’ultimo mese e mezzo. Per quanti errori tattici potrà commettere Benitez, il rientro graduale dei titolari infortunati (Julio Cesar, Milito e Maicon) consegnerà ben altra Inter al campionato, certamente in grado di dire la sua fino alla fine per il titolo.

Stupisce invece per le dimensioni la debacle della Roma alla Favorita. Il Palermo ha giocato un’ottima partita, superiore in ogni aspetto a quella della squadra di Ranieri, che ha perso un’ottima occasione per dare uno scossone alla classifica e sparigliare la cordata delle favorite al successo finale. Il Palermo ha atteso la Roma nella prima parte della gara, mentre il secondo tempo è stato un monologo rosanero con la Roma palesemente in bambola. Quello che si è visto sono state due diverse velocità nel gioco e due diversi approcci nell’interpretazione della partita. Ranieri era convinto che la gara contro il Palermo avrebbe declinato con nettezza la nuova fase positiva dei giallorossi, ribadita da uno splendido secondo tempo in Champions. Forse i giallorossi non hanno ancora le gambe e la tenuta atletica per sostenere due impegni importanti ravvicinati.

Non deve stupire invece il pari della Lazio a Roma, contro un Catania che sa come chiudere le fonti offensive del gioco dell’avversario. Ventisette punti in quattordici partite sono comunque un biglietto da visita di assoluto rispetto ma la partita che tra cinque giorni dovrà sostenere contro un Inter con la testa già al Mondiale per club, potrebbe rilanciarla o confermare un rallentamento. D’altra parte, diversamente da quanto fatto dal Catania, scesa in campo per portare via un punto, i nerazzurri verranno a Roma per vincere e la Lazio potrà quindi disputare una partita aperta che dirà qual’è il suo stato di forma.

Il Milan ringrazia, appunto, le cadute di Roma e Napoli e consolida il primato temporaneo in classifica. Ma la squadra di Allegri, che pure ha cercato in ogni modo di aver ragione di una Sampdoria dotata di carattere robusto, non ha dato la sensazione di avere un passo in più rispetto alle altre. Ancora una volta si conferma Ibrahimovic-dipendente, con tutto il bene e il male che ciò comporta. Se Ibrahimovic non segna il Milan è una compagine di buona qualità, ma largamente al di sotto delle ambizioni che un mercato faraonico ed elettorale avevano fatto intendere e, forse, inferiore per qualità complessiva di gioco a squadre che, per ora, lo inseguono.

Marrazzi ha rimproverato i suoi di scarsa tenuta psicologica, accusandoli di “perdere subito la testa”, ma un allenatore dovrebbe servire anche a questo (o soprattutto a questo). Dunque, solito copione: se il Napoli vince è merito di Mazzarri, se perde è colpa della squadra. La Juventus, invece, la testa non la perde e la fortuna nemmeno, visto che pareggia in zona Cesarini con una punizione di Pepe per fallo (dubbio) ai danni di Felipe Melo. Dov’è la novità?

 


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