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di Fabrizio Casari
La vittoria della Juventus e il pareggio del Milan, la caduta del Napoli e il ritorno alla vittoria dell’Inter, hanno rappresentato la cifra della scorsa giornata di campionato. Le polemiche di Galliani contro la svista arbitrale che ha negato il gol del Milan (palla respinta oltre o sulla linea? Francamente non è semplicissimo) che ritiene ormai di aver perso ben quattro punti nei confronti della Juventus per errori arbitrali.
Sommano infatti, a via Turati, l’errore clamoroso di Juventus-Milan e quello di domenica scorsa e, in una lettera inviata alla Federazione, lamentano un’alterazione della competizione con i bianconeri per la conquista del titolo. Peccato però che al Catania sia stato annullato un gol regolarissimo (di cui nessuno parla) e che Galliani ometta il gol negato all’Inter nel derby ed altre decisioni discutibili che hanno portato il Milan a collezionare (come sempre) il maggior numero di rigori dati in parallelo al minor numero di quelli subiti. Davvero risulta improbabile un complotto ai danni del Milan, per quanto la “simpatia” dei vertici arbitrali nei confronti della Juventus sia nota.
Il nervosismo che si respira in casa rossonera è ovviamente determinato non solo dallo strabismo di chi ha in questi anni addirittura modificato il calendario a suo vantaggio, ma anche dalla consapevolezza che la sfida di stasera contro il Barcellona potrebbe rappresentare un bivio decisivo per l’annata intera, visto che lo scudetto - che pareva affare ormai certo - rischia di complicarsi in ragione dell’impegno di Champions. Uscito dalla Coppa Italia, infatti, ove il Milan riuscisse nel miracolo di passare il turno si troverebbe a dover disputare la finale senza poter togliere gli occhi dal campionato, mentre nel caso non riuscisse a passare il turno in Europa, nemmeno per lo scudetto ci sarebbe un percorso semplice. La rivalità tra i due club, fino a pochi anni fa complici, è destinata dunque a crescere nel finale di stagione.
La Juventus, dal canto suo, sembra aver trovato le energie migliori per questo finale di campionato. Nelle ultime due gare si è sbarazzata di Inter e Napoli e ha ridotto di due punti la distanza dalla vetta. Ha comunque la finale di Coppa Italia come impegno e anche per lei non saranno rose e fiori da qui alla fine del campionato. Ma sta bene, corre, lotta e segna, pur in assenza di un bomber di razza.
L’Inter di Stramaccioni fa tornare il sorriso sui volti nerazzurri. Serviranno conferme nei prossimi turni, ma sembra che in pochi giorni il giovane tecnico romano abbia già trasmesso indicazioni importanti, sia sul piano tattico che psicologico. L’Inter, infatti, ha rispolverato un calcio piacevole e se la messe di gol (5) non è di per sé indicativa, visto che di fronte aveva la difesa più battuta della Serie A, è però altrettanto vero che cinque gol sono tanti, tantissimi per l’Inter che non riusciva più a vincere in casa da diverso tempo, precisamente dal 22 gennaio contro la Lazio.
Solo l’arbitro Valeri poteva concedere tre rigori contro l’Inter con uno solo meritevole della massima punizione, ma non è la prima volta che l’arbitro romano mostra i denti ai nerazzurri. Il tifo è cosa seria, pare. Ad ogni modo Stramaccioni ha schierato la squadra con un indeito 4-3-3, ha resuscitato Zarate e riproposto un Milito gigantesco. Esordio anche per Guarin, che mancava da mesi dai campi: ottimo inserimento che darà i suoi frutti sia nel finale di stagione che nel prossimo anno.
La vittoria della Roma e la caduta dell’Udinese raccontano due cose: che la squadra allenata da Luis Enrique, che ha scoperto le verticalizzazioni, è naturalmente portata a giocare meglio sui campi primaverili e che l’Udinese, come ormai da due anni, finisce con un mese d’anticipo la benzina nel serbatoio.
Ma le due notizie più importanti del week end pallonaro sono due e ugualmente tristi: la morte di Giorgio Chinaglia, indimenticato bomber della Lazio di Maestrelli campione d’Italia e lo scandalo scommesse, che ha portato all’arresto di Masiello (che ha già confessato la combine) e, sottobanco, annuncia altri provvedimenti giudiziari.
Si può discutere all’infinito sulla giustizia che assegna alle società di calcio la responsabilità oggettiva per quanto commesso dai suoi tesserati, ma si deve ricordare che questo vale per ogni comparto imprenditoriale: davvero non si vede perché per il calcio dovesse vigere una giurisprudenza diversa. Dunque, il tema della lotta per il terzo posto (ultimo tram per l’accesso alla Champions del prossimo anno) sarà oggetto solo in parte delle disputa sul campo; saranno anche il giudice sportivo e gli organi istituzionali del calcio a stabilire, con le penalizzazioni a campionato chiuso, il nome di chi il prossimo anno potrà giocare nell’Europa che conta.
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di Fabrizio Casari
Le sfide importanti della domenica calcistica erano due: quella della Roma contro il Milan e dell’Inter contro la Juventus. Si sono concluse come previsto, cioè con le vittorie delle prime due in classifica, ma entrambe le gare hanno avuto uno svolgimento decisamente diverso da quanto atteso. Cominciamo dalla partita di Torino. Il cosiddetto Derby d’Italia, cioè la partita tra Juventus e Inter, è finito con la vittoria bianconera.
Molti si aspettavano una Juventus a goleada, con un Inter dimessa e pronta a recitare la parte dell’agnello sacrificale. Così non è stato, anzi. L’Inter è scesa in campo concentrata e decisa e nei primi sessanta minuti ha giocato meglio della Juventus, cui solo uno straordinario Buffon ha permesso di non affondare. E' stata decisiva la mossa di Conte che ha cambiato assetto alla squadra mettendo così in crisi Ranieri. Lo juventino portava il centrocampo a cinque e l'interista lo riduceva a due. Poi, negli ultimi venti minuti, dopo il primo gol di Caceres, i nerazzurri si sono disuniti, hanno accusato il colpo e il raddoppio di Del Piero ha chiuso il match.
E’ stata una partita a tratti bella (non a caso i migliori sono stati i due portieri), comunque mai sottotono, che ha visto la migliore Inter della stagione danneggiata dalle scelte del suo allenatore. Ranieri, infatti, come al solito, non riesce proprio a leggere quello che accade in campo e, in preda a riflessioni tutte sue, ogni domenica riesce a procurare danni dalla panchina. E’ chiaro da diverse partite che Ranieri non da nemmeno un briciolo di valore aggiunto alla squadra e che non riesce a risolvere nemmeno uno dei problemi che l’affliggono.
Ieri è riuscito a regalare la partita alla Juventus sostituendo i migliori (e più giovani, non a caso) dell’Inter per inserire due giocatori che hanno stravolto l’intelaiatura della squadra e le posizioni dei singoli. Con Poli e Obi aveva limitato al minimo Pirlo e tenuto bene la fascia sinistra del campo, dove il nigeriano aveva decisamente il sopravvento su Di Ceglie e Caceres e rappresentava una spina nel fianco per la Juve. E lui chi toglie? Poli e Obi. E’ Ranieri, non c’è niente da fare. La differenza tra Inter e Juve, ieri sera, é stata soprattutto la differenza in panchina. Conte azzecca tutte le mosse, Ranieri no, come sempre. Dunque un ulteriore coefficiente di difficoltà per una Inter a fine ciclo che avrebbe però certamente potuto ottenere dei punti in più con un allenatore all’altezza della società. Difficile ora che possa raggiungere anche solo la zona dell’Europa League. Fortunatamente per lui, Moratti ieri si è almeno goduto la conquista della Champions League della Primavera, straordinariamente guidata da Stramaccioni. Chi si contenta gode e, vista la sua Primavera, godrà certamente in futuro.
La Juventus non ha giocato la sua miglior partita, ma la grinta e la corsa non sono mai mancate, così come non sono mancate le buone giocate, fatte di trame veloci e una buona tenuta del campo. Ha evidenziato, come ormai le capita spesso, i limiti in zona gol. Né Matri, né Vucinic sono attaccanti da doppia cifra garantita e un centravanti di razza, considerata la mole di gioco prodotta dai suoi centrocampisti, cambierebbe in modo deciso le sorti della squadra allenata - splendidamente, va detto - da Conte. Se gli verrà data fiducia e soprattutto libertà di scelta sul mercato, Conte potrà portare la Juventus a traguardi all’altezza della sua storia.
Il solito Ibrahimovic e il solito rigore danno al Milan la vittoria sulla Roma, più molle del solito. Sebbene in vantaggio, i giallorossi hanno ritenuto di dover affondare il colpo, invece di cercare di difendere il gol ottenuto. E’ ovvio che si può subire il pareggio, ma un punto a Milano, contro la capolista, non è certo da buttare via. Invece, il non volersi accontentare da parte di Luis Enrique, che si deve sentire un messia del calcio offensivo, ha trasformato in una sconfitta una gara che poteva davvero finire in modo diverso. Il Milan, in cambio, sa che prima o poi Ibrahimovic segna e sa che le squadre che provano ad attaccarla si espongono seriamente ai contropiedi che il fuoriclasse svedese riesce a capitalizzare.
Vince il Milan, vince la Juventus, e la differenza con la domenica scorsa è che i quattro punti di distanza hanno a disposizione una partita in meno per essere messi in discussione. Il resto delle partite, ad eccezione di una vittoria a due minuti dalla fine della Lazio, sono state un cumulo unico di pareggi. Equilibrio o primi conti in tasca alla giornate che mancano?
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di Fabrizio Casari
Il Milan prosegue la sua corsa verso la vittoria, sconfiggendo per due a zero un Parma troppo molle per spaventare i campioni d’Italia. Che hanno mostrato un Ibrahimovic in grande spolvero, che ha disegnato assit, giocate e l’ormai solito rigore con le quali stabilisce perentoriamente le distanze tra i rossoneri ed il resto delle squadre italiane.
In attesa di misurarsi domani sera nella sfida di Coppa Italia (dove al Milan mancheranno però diversi titolari), per quanto riguarda il campionato i rossoneri sono in testa con quattro punti di vantaggio. Pur continuando ancora a recriminare sullo scontro diretto, che senza gli orrori arbitrali li vedrebbe oggi con sei punti avanti alla Juve, 4 di vantaggio non bastano a dispensare tranquillità, ma rappresentano comunque un discreto bottino da amministrare.
In attesa del Barcellona, dove la squadra di Allegri non avrà di che divertirsi, per i rossoneri si tratta dunque di mantenere lo spazio dalla Juventus, che però, umiliando la Fiorentina, ha risposto in maniera straordinaria sia alle critiche che l’avevano investite circa la “pareggite” sia all’allungo del Milan.
Cinque gol e una Fiorentina annichilita sono infatti il biglietto da visita che la squadra allenata da Conte ha presentato alla fase finale del campionato. Un’ottima partita, giocata con il coltello tra i denti, ma forse per la Fiorentina vista sabato, simile al burro, sarebbe bastato anche una forchetta. Indipendentemente dai guai nei quali versano i Viola, i bianconeri hanno mandato un segnale chiaro: non molleranno fino alla fine.
Ovviamente a Torino ci si augura che il doppio impegno del Milan nella fase finale della stagione possa incidere sulla marcia dei rossoneri, ma forse la situazione non è così scontata. Ibrahimovic, infatti, non è mai stato sufficiente ad arrivare a vincere la Champions, ma per il campionato basta e avanza. E il calendario non aiuta, dal momento che la Juventus avrà solo una partita (con il Cesena) semplice da qui alla fine, mentre il Milan ha un calendario decisamente più abbpordabile.
La Lazio porta a casa la seconda sconfitta consecutiva, perché trova un Catania che, coerentemente con il cammino fatto fin qui dall’inizio di stagione, conferma di essere squadra che sa giocare al calcio, che non ha timori reverenziali nei confronti di nessuno e che mette in difficoltà tutte le grandi. Occasione persa per i biancoazzurri per portarsi più vicini alla vetta e soprattutto per farsi spazio nella zona terzo posto, che rappresenterebbe un obiettivo straordinario per la squadra di Reja.
Lo scontro tra Udinese e Napoli, che si preannunciava ancor più caldo dopo la caduta della Lazio, era decisamente uno scontro diretto nella zona terzo posto, ma nessuno dei due ne ha approfittato. Il pareggio tra Udinese e Napoli è stato infarcito di polemiche per il pessimo arbitraggio (arbitrava Rocchi, non poteva essere diversamente); ma al netto dell’operato di un arbitro che non dovrebbe mai scendere in campo, la partita è stata bella, dura, piena di colpi di scena. Il Napoli, sceso negli spogliatoi alla fine del primo tempo in svantaggio e con un rigore sbagliato da Cavani, ha tirato fuori carattere e tecnica e lo stesso matador uruguayano ha realizzato una doppietta permettendo così ai partenopei di uscire indenni dalla partita.
Della caduta della Lazio non ne approfitta nemmeno l’Inter, che viene fermata sul pareggio dall’Atalanta. L’Inter non riesce proprio a costruire gioco. Non si tratta nemmeno più di corsa, pure non certo vertiginosa, ma proprio di schemi. Nessuno sa smarcarsi, nessuno sa dove andare e, quel che è peggio, Ranieri lo sa meno degli undici in campo, dal momento che opera scelte che solo lui capisce.
Occasione persa per avvicinarsi al terzo posto, obiettivo ormai difficilissimo da raggiungere viste le sole nove partite che mancano e le numerose squadre presenti tra i nerazzurri e la coppia di testa. Uscita dalla lotta per il campionato, uscita dalla Champions, uscita dalla Coppa Italia; difficile trovare un anno così negativo per l’Inter negli ultimi cinque anni.
Talmente negativo che potrebbe persino concludersi con la zona Uefa, che costringerebbe la squadra di Moratti a giocare l’Europa League, che non interessa e non può stimolare chi, un anno fa, diventava campione del mondo di club, mentre obbligherebbe ad un doppio lavoro e un doppio investimento per la stagione futura. In attesa di decidere quale sarà l’allenatore del prossimo anno al quale consegnare le chiavi della squadra per il suo rilancio, servirebbe forse lasciare da subito Ranieri al suo destino e affidare la squadra a Stramaccioni, almeno in funzione del prossimo mercato; schierare i giovani (cosa che Ranieri proprio non riesce a concepire) permetterebbe vedere quali tra loro sono all’altezza dell’Inter per il prossimo anno.
Colpaccio del Novara che vince in trasferta contro il Siena; peccato che sia ormai pressocchè inutile ai fini del verdetto finale, ma una soddisfazione per Tesser è cosa buona e giusta. Pareggio tra Lecce e Palermo e Bologna e Chievo, risultati che non cambiano la classifica per nessuna delle quattro. Il campionato in corso appare già segnato in tutte le sue posizioni.
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di Fabrizio Casari
Un Milan ispirato e spietato, che si avvantaggia dal sostenere l’intera partita in superiorità numerica causa discutibile rosso diretto a Balzaretti, stronca il Palermo e, in qualche misura, stronca anche le ambizioni della Juventus di Conte, che ove non dovesse vincere il recupero contro il Bologna (cosa non semplicissima) comincerebbe a vedere la fuga dei rossoneri con qualche seria preoccupazione.
Anche perché il Chievo, pure privo di Pellisier, con il pareggio ottenuto a Torino ha messo in luce l’insorgere di qualche scricchiolio in casa Juventus. La squadra appare effettivamente con qualche debito di corsa, cioè l’arma principale dei bianconeri che non hanno fuoriclasse a disposizione (come Ibrahimovic) che risolvono le partite anche quando le cose non vanno per il verso giusto. In aggiunta, le dichiarazioni di Marotta (“non disponiamo di uno come Ibra”) risultano fuori luogo, giacché averli sarebbe proprio il compito cui Marotta stesso dovrebbe assolvere e che non assolve.
In questo caso, dunque, le parole del DG juventino sembrano più voler indicare nei limiti dei giocatori a disposizione le eventuali responsabilità. I fischi che hanno accompagnato l’uscita della squadra al termine della partita non hanno certo aiutato al rasserenamento del clima e lo stesso Conte, con dichiarazioni tese come quelle del dopo partita, palesemente rivolte alla dirigenza societaria e alla tifoseria, indica con sufficiente chiarezza il clima di nervosismo che aleggia a Torino e che coinvolge staff tecnico, societario e tifoseria. Il rischio di veder sfumare la vittoria del campionato tiene tutti con i nervi scoperti.
Ben altra aria si respira invece nel Milan, che avendo ormai archiviato il turno di Champions, dato il risultato dell’andata, può decisamente dedicarsi al campionato con un Ibrahimovic tornato in grande forma proprio nel momento nel quale anche il resto della squadra - attaccanti in particolare - pare aver ritrovato tonicità. Da qui al prossimo turno di Champions c’è tempo per mantenere o addirittura incrementare il vantaggio sulla Juventus, che consentirebbe di affrontare la fase finale della stagione con una sufficiente riserva di punti in grado di garantire un finale di stagione ancora in testa.
Il derby di Roma ha definitivamente messo a nudo i limiti della Roma di Luis Enrique, che continua a proporre un’idea di assetto tattico da oratorio di periferia. E’ spaventoso vedere la semplicità con la quale l’assetto difensivo dei giallorossi non trovi misure e tempi per contrastare le ripartenze avversarie, consentite dallo sbilanciamento ossessivo della Roma in attacco. Il possesso palla dei giallorossi è davvero un tic-toc da accademia, una specie di “torello” prolungato ed inutile, prova ne sia che durante il derby il portiere laziale, Marchetti, non ha dovuto mai intervenire, non essendo arrivato nemmeno un tiro nello specchio della porta.
L’idea di tenere la palla e non scagliarla mai tra i legni della porta avversaria è uno dei misteri della fede del nuovo credo calcistico di Luis Enrique, probabilmente convinto che, come nella boxe, in assenza del colpo finale, a stabilire la vittoria o la sconfitta siano i punti che certificano l’iniziativa di uno dei due pugili. Il calcio, invece, è sport diverso: non si vince ai punti, ma con i punti.
La Lazio, invece, squadra decisamente operaia ma non priva di giocatori che hanno confidenza con il pallone, ha capito bene cosa andava fatto e l’hanno fatto come potevano. Una partita, il derby, che non è quasi mai bella nel senso dello spettacolo: troppa la tensione e troppo alta la posta in gioco sul piano della vivibilità degli ambienti per dedicarsi al bel calcio.
Ma è la prima volta che nell’arco di una stagione la Lazio vince due derby su tre e ora Reja, che era sempre stato vittima delle stracittadine con la Roma, è diventato il killer peggiore per Luis Enrique. Addirittura adesso Reja parla di sintonia con la societò, dopo aver minacciato, ritirato e poi negato dimissioni e scontri interni. Miracoli delle vittorie. Partita dunque non bella e tifoseria schifosa, che nei suoi ululati razzisti esibisce la cifra esatta della sua civiltà.
L’Inter evita con 30 minuti di corsa l’ennesima sconfitta, pareggiando con il catania di Montella. Anche sulla sponda nerazzurra si assiste al tributo di sangue che ad ogni partita paga Julio Cesar. Il quale, ancora fortissimo tra i pali se i tiri partono centralmente, viene regolarmente battuto da chiunque tiri in diagonale.
E' vero, l'Inter non ha terzini che sanno marcare e coprire le incusrsioni dalla fascia verso il centro, ma la sensazione è che il tentativo di coprire bene il proprio palo lasci troppo specchio di porta libero per il palo lontano; ed è un difetto, questo, sempre evidenziato dal portiere brasiliano. Ma sarebbe davvero curioso capire come mai non viene risolto, visto che l’Inter ha incassato circa dieci gol in questo modo.
Detto ciò, il gol del due a zero provvisorio del Catania è in colossale fuorigioco, non visto dalla pessima terna arbitrale. Senza quella rete irregolare l’Inter sarebbe tornata ai tre punti che, insieme ai sei che gli sono stati deufradati nelle prime giornate di campionato, vedrebbero ben altra classifica.
Ma per l’Inter è meglio così, perché una diversa classifica avrebbe potuto ulteriormente illudere la dirigenza nerazzurra sul valore oggettivo di questa squadra, che non è nemmeno lontano parente di quello esibito fino ad un anno fa. Ranieri, è chiaro, non è la medicina giusta, quale che sia la malattia, ma l’applauso che ha accompagnato l’uscita dell’inutile Palombo e dell’immobile Cambiasso in favore dell’entrata di due giovani come Obi e Poli, dice molto su quello che tutti i tifosi dell’Inter pensano di cosa sarebbe necessario fare. Ranieri forse ha capito e magari il licenziamento di Villas Boas da parte del Chelsea lo aiuterà a ragionare: da unica possibilità, Ranieri si trova ora ad essere una possibilità a scadenza variabile e niente più.
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di Fabrizio Casari
Un Milan di altissimo livello per settanta minuti non è riuscito a battere la Juventus, grazie allo scandaloso errore arbitrale. Lo scontro tra Milan e Juve, cominciato da due settimane prima e destinato a proseguire fino alla fine della stagione, ha ricevuto benzina sul fuoco dalla terna arbitrale in campo e dalle parole sconsiderate di Marotta, Conte e Galliani.
Per quanto riguarda la partita c’è da dire che la strategia di Allegri aveva funzionato: tutti si aspettavano la solita Juventus di corsa e pressing e il solito Milan per tasso tecnico e capacità realizzativa. Invece il Milan si è messo a giocare come la Juve, aggredendo i bianconeri con pressing a tutto campo, corsa e velocità di manovra, senza perdere con ciò qualità. Dal canto suo la Juve, che come il Milan non sa e non può giocare, impedita a muoversi come sa, è stata in balia dei rossoneri per settanta minuti, cioè fino a quando i ragazzi di Allegri hanno avuto fiato.
Evidentemente l’assenza di Ibra, tema sul quale le rispettive “diplomazie” si erano già esercitate, come qualcuno aveva previsto, si è rivelata più problematica per la Juventus, che ha visto i suoi legnosi centrali privi di punti di riferimento. Quando infatti il Milan gioca con il fuoriclasse svedese la manovra ha uno sbocco obbligato e i gol arrivano solo se le difese avversarie non riescono a limitare la capacità di calcio di Ibrahimovic. Quando invece Ibra manca, la manovra diventa molto più imprevedibile e Robinho e Pato, liberi dal dover girare al largo dell’area per non pestare i piedi al colosso svedese, dimostrano di essere due attaccanti brasiliani di livello assoluto. Ovvio che negli ultimi 20 minuti il Milan avrebbe gradito la presenza dello svedese per tenere palla e provare a ripartire in contropiede con efficacia micidiale, ma resta il fatto che, senza Ibra, il Milan non è più debole, ma diversamente forte.
Il gol di Muntari racconta un po’ di cose: la prima è che solo Muntari, a un metro dalla porta spalancata e con il portiere a terra, schiaccia la palla sul portiere. La seconda è che l’inadeguatezza del guardialinee non è annoverabile negli errori che “ci possono stare”. Piuttosto è organica al “modello Rocchi”, intendendo con ciò gli errori così clamorosi da sembrare sospetti. La terza è che piangere serve sempre, soprattutto se non ce n’è motivo. Che succederà se alla fine del torneo saranno proprio uno o due i punti che assegneranno lo scudetto alla Juve davanti al Milan o se, addirittura, la squadra di Conte dovesse prevalere per i punti realizzati nello scontro diretto?
La rissa finale, che ha visto come protagonisti Mexes, Chiellini e Ambrosini, dice invece che il difensore del Milan cambia maglia ma non cambia abitudini: isterico e impreciso, dimostra di rimanere un buon difensore ma di non essere in grado di divenire un campione; che Ambrosini non da oggi è lo spot peggiore per lo stile Milan e che Chiellini dovrebbe avere ben altro spessore per guidare la difesa della Nazionale.
C’è poi il capitolo a parte di Buffon. Il portiere juventino ha detto che non si era accorto se il pallone era o no entrato in rete, aggiungendo però che, se pure l’avesse visto, non l’avrebbe detto all’arbitro. Una bugia e una verità: Buffon ha visto benissimo che la palla era entrata ed è vero che non l’ha detto all’arbitro.
Qualcuno si è scandalizzato, ma Buffon non è mai stato l’emblema della sportività e resta un dipendente della Juventus che concorre alla vittoria del campionato, non ad una manifestazione benefica. Ballano milioni di Euro per la società, prestigio e premi per i suoi giocatori. Dunque perché stupirsi?
Per l’Inter è arrivata la decima sconfitta del campionato, stavolta a Napoli. I partenopei hanno controllato sempre una partita, anche quando nell’ultimo quarto d’ora sono rimasti in dieci ed hanno confermato la ritrovata forma. L’Inter, invece, è proprio nella forma fisica che appare a terra. I giocatori di Ranieri non arrivano mai prima sulla palla né si smarcano cercando di dettare il passaggio: sono fermi. Scambiano il pallone con passaggetti di pochi metri e sempre all’indietro, mai la ricerca della manovra offensiva. Perché? Perché, paralizzati dalla paura di subire, hanno paura di giocare, non avendo fiato per attaccare e rientrare, cioè per compiere le due fasi del gioco.
Ranieri ha due sostanziali problemi: la mancanza di forma fisica, dovuta alle vacanze natalizie godute mentre le altre squadre faticavano nel richiamo della preparazione; l’assenza di un qualunque schema di gioco, offensivo e difensivo. La sfortuna, poi, ci mette il resto. L’Inter, così, non è una squadra, sono 11 giocatori che vanno in campo ognuno per conto suo.
Più che il terzo posto il destino dell’Inter è quello di giocare solo in Italia per il prossimo anno e forse sarebbe il momento di schierare i giovani con due o tre innesti delle vecchie glorie, almeno per poter valutare, a fine stagione, chi è da Inter e chi no. Moratti aveva detto alla vigilia che il destino di Ranieri si sarebbe discusso dopo Napoli. Non c’è molto da discutere, pare. Dopo questa serie nera, come minimo si può dire che se Ranieri non ha particolari colpe nei problemi della squadra (ma qualcuno ce l’ha) comunque è certo che non riesce a risolverne neanche uno.
La Roma è stata schiantata a Bergamo, dove è scesa in campo senza Totti (squalificato) e De Rossi, castigato dalla società per essere arrivato in ritardo ad un allenamento. Il regolamento interno dei giallorossi lo prevede e la sua inderogabilità è stata già sperimentata da Osvaldo. Dunque complimenti alla Roma per la coerenza. La domanda semmai è un’altra: l’assenza di De Rossi significa lo sbraco della Roma? Luis Enrique, come spesso succede, c’ha messo del suo: far giocare la difesa (lenta) in prossimità del centrocampo, è altro da farla stare “alta”.
Significa esporsi al contropiede di una squadra come l’Atalanta (ben allenata da Colantuono) che nella compattezza difensiva e della velocità in attacco ha le sue due armi migliori. Serviva un filtro vero davanti alla difesa e Perrotta e Simplicio avrebbero garantito esperienza ed equilibrio maggiori. Infatti i giallorossi ne hanno beccati due in pochi minuti proprio con ripartenze immediate che scavalcavano il centrocampo sbilanciato e la difesa fuori posizione e puntavano la porta. Poi le espulsione di Osvaldo (un altro che non diventerà mai grande senza un robusto reset al carattere) é la conseguenza di un clima interno e di uno stato d’animo alterato che certo non è aiutato dall’altalena di risultati.
La Lazio, dopo le polemiche infinite tra Reja e Lotito, che hanno portato l’allenatore a dimettersi e poi a ripensarci, torna a far parlare il campo e batte per uno a zero (con il solito Klose) la Fiorentina dell’ex Delio Rossi e l’Udinese si rialza dalle ultime partite e va a battere con un sonoro 3 a 1 il Bologna. Il Siena asfalta il Palermo, rimasto in dieci dopo 70 secondi per l’espulsione di Balzaretti. Ma un rigore assai dubbio e un’espulsione forse troppo severa avrebbero piegato chiunque. Bel colpaccio del Lecce a Cagliari e vittoria utile del Chievo, mentre finisce in parità tra Genoa e Parma, in un’altra partita segnata da orrori arbitrali. Prosegue intanto lo straordinario campionato del Catania, che ha battuto 3 a 1 il Novara del catenacciaro (auto definizione ndr) Mondonico. Montella sta facendo un ottimo lavoro e forse qualcuno, a Roma, lo sta rimpiangendo tra una pausa e l’altra della decantazione del “projecto”.