- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
Una giornata particolare quella appena giocatasi. La vittoria meritata della Lazio al fotofinish rompe il digiuno di Reja nei derby e fa giustizia dell’ironia fuori luogo di Totti alla vigilia. Solo quattro vittorie - Parma, Catania, Bologna e Lazio - poi un record assoluto di pareggi a reti inviolate con due cadute inaspettate: quella dell’Inter e quella del Napoli. Cenni di resurrezione invece da parte del Milan, che batte sonoramente il Palermo indicato alla vigilia come possibile rischio per i campioni d’Italia. Quella del Napoli è una caduta che indica come la continuità sia il problema principale della squadra di Mazzarri. Certo sarebbe bene non continuare a mettere in alternativa la Champions e il campionato nelle ambizioni, perché così facendo si rischia di pensare all’Europa quando si gioca il campionato e viceversa. La sconfitta di ieri dice invece che i partenopei faranno bene a cercare di concentrarsi su entrambi se non vogliono rischiare di perdere l’unico obiettivo davvero alla portata, quello nazionale. Per vincere in Europa ci vuole ben altro.
Ma la sconfitta del Napoli è un incidente di percorso, quella dell’Inter traccia una riga netta sotto la squadra che, fino a pochi mesi fa, vinceva coppe in ogni dove e che ora sembra decisamente seppellita dalle macerie di un crollo. E’ proprio la questione nerazzurra il tema di questo inizio di campionato. La crisi dell’Inter ha molti padri e qualche figlio degenere. Il figlio degenere è certamente il segno ormai evidente di una linea arbitrale che, iniziata con la Supercoppa e proseguita fino a ieri, indica con chiarezza come l’Inter paghi lo scontro estivo con il Palazzo.
Mai si era visto che una squadra ricevesse 4 rigori contro - tutti illegittimi, alcuni scandalosi - e due rigori netti negati in cinque partite. Fanno diversi punti e diversi gol di differenza che non rovescerebbero completamente la situazione, però certo direbbero cose più giuste. E la linea della protesta a caldo e dell’abbassare i toni 24 ore dopo indica come proprio l’Inter sia conscia che una guerra è in corso ma che, purtroppo, non si è capaci di sostenerla. Ma detto ciò, c’è una crisi di gioco e di risultati che, pur in questa condizione, si evidenzia anche dall’incapacità di tenuta caratteriale della squadra, che appena subisce un gol si prepara a prenderne come minimo un altro.
La crisi in campo riflette quella negli uffici e comincia dal rifiuto di prendere atto dell’usura fisica e quindi anche tecnica di molti dei suoi campioni e finisce con innesti decisamente non solo a livello dell’Inter e dei suoi obiettivi, ma addirittura giunti a prezzi elevati. Nella squadra che giocava a Catania, infatti, non c’era solo il pesante capitolo delle assenze - Julio Cesar, Ranocchia, Chivu, Snejider, Forlan, Coutinho, Obi - ma anche quello delle imbarazzanti presenze - Milito, Muntari e Alvarez - a dare l’idea di una stagione difficilmente recuperabile.
Certo, l'assenza dell'olandese é durissima per la costruzione del gioco interista (e figuriamoci cosa sarebbe successo se fosse stato ceduto), ma non sarà solo il suo rientro a permettere l'inversione di marcia. Ci si chiede se la mancanza di un gioco comporta anche la mancanza di tecnica, ma il fatto è che le due cose, all’Inter si sommano e, su queste, campeggia la mancanza di condizione fisica. La squadra che vinse il triplete ha ormai esaurito il suo ciclo, e il canto del cigno l’ha espresso lo scorso anno con Leonardo in quella rimonta straordinaria.
Oggi non ha più benzina, non ha più anima e non ha più ambizioni. L’idea dei vertici societari di modulare pochi innesti di qualità lasciando partire i giocatori più anziani è stata, appunto, solo un’idea. Alla fine, i più sfiniti sono rimasti e il solo Eto’o è partito. Ma quando si lascia partire l’attaccante più forte al mondo e, pur avendo preso Castanois, non si ha il coraggio di mandare via Milito (la cui ultima partita all’altezza resta quella del Bernabeu); quando si abbandonano tutti gli obiettivi di mercato in Italia e all’estero mentre si acquistano Alvarez e Jonathan, allora c’è poco da recriminare contro le condizioni esterne e molto da dover ammettere. La società Inter non ha più un governo da quando Mourinho ha preso la via di Madrid e Oriali è stato defenestrato per far contento Branca.
Moratti dovrà farsene una ragione: almeno otto giocatori sui tredici-quattordici titolari non sono, ad oggi, all’altezza dell’Inter. Da qui due strade: o una rivoluzione con relativo investimento a caccia di giocatori che segnano il livello e le ambizioni di una grande, oppure una politica impostata davvero sui giovani che però, come insegnano Arsenal e Ajax, non fa vincere niente pur giocando un buon calcio. Ma la terza, quella di temporeggiare, sarebbe quella suicida.
La differenza non è tra spendere o non spendere, ma tra spendere bene e spendere male. E comunque, invocare il fair-play finanziario che imporrebbe austerità, pena il non poter disputare la Champions, non ha molta logica, perché così la Champions non la si disputa lo stesso, al più si lotta per un posto nelle prime sei del campionato. Sta dunque a Moratti, che dicono furioso, decidere se proseguire o mollare, perché di questo, alla fine, si tratta.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
Tra Juventus e Udinese la testa della classifica è bianconera. Le supersfide che offriva questo turno tra Juventus e Milan e tra Inter e Napoli, cioè tra quattro delle cinque o sei squadre che si troveranno nei primi tre posti alla fine del campionato, hanno fornito indicazioni pesanti come sentenze. La Juventus ha giustamente vinto il match del posticipo con due gol di Marchisio negli ultimi cinque minuti di gara.
Bello che i gol siano stati di Marchisio, uno dei migliori giocatori della rosa e uno di quelli non intossicati da Calciopoli; un giocatore che da l'anima e che ha ormai assunto le movenze di un leader in campo. Il Milan, dal canto suo, non se la passa bene: ha perso così con il Napoli e la Juventus, cioè due dei tre scontri diretti. Le due milanesi, entrambe sconfitte, dovranno misurarsi con un campionato che indica come, a parità di tecnica, la freschezza fisica, almeno per ora, ha la meglio sull’esperienza.
Milan e Inter, infatti, una campione d’Italia e l’altra campione del mondo in carica, avvertono decisamente gli scricchiolii di due formazioni avanti con gli anni e usurate, e lasciano il campo a due compagini che fanno dell’aggressività, della velocità e della grinta miscelata con la tecnica la cifra del loro gioco. Conte e Ranieri forse non riusciranno a trovare il modo per far correre così le loro rispettive squadre per tutto il campionato, ma fino a che ci riusciranno, difficilmente perderanno terreno. Conte, peraltro, diversamente da Mazzarri, ha la fortuna di non avere l’Europa e giocare una volta a settimana offre un vantaggio di energie non indifferente, soprattutto quando si hanno in panchina giocatori come Quagliarella, Del Piero, Matri.
Tra Inter e Napoli ci si attendeva una bella partita, una di quelle da tripla nei pronostici. Due squadre in forma, soprattutto il Napoli; una sfida scudetto, insomma, non tanto per la classifica immediata quanto per lo scontro diretto tra due delle squadre che ambirebbero a vincere il titolo. E così sembrava dover essere: dai primi minuti si è assistito a una partita bella, con una parziale supremazia dei nerazzurri, ricca di rapidi capovolgimenti di fronte tra due squadre che volevano vincere. Peccato sia durata 40 minuti, perché l’arbitro Rocchi ha deciso che il risultato doveva scriverlo lui e non il campo.
E’ iniziata così la galleria degli orrori che ha regalato un’espulsione, un rigore e un gol al Napoli che si è trovato così in vantaggio immeritatamente, almeno fino a quel momento. A far saltare i nervi dei nerazzurri anche un gol annullato a Pazzini per un fuorigioco di due centimetri visto dallo straordinario assistente Nicoletti, che però poi non vede che il fallo da rigore è un metro fuori area e la posizione irregolare di Campagnaro che segna. Insomma un assistente con una vista alternata. Azzecca il centimetro contro l’Inter e sbaglia i metri e il regolamento a favore del Napoli.
Da quel momento la partita finisce. Davanti alle proteste di giocatori e Ranieri, il pessimo Rocchi sventola cartellini: non solo commette errori folli, ma non tollera nemmeno che qualcuno glielo faccia notare. Non è la prima volta che Rocchi si rende protagonista di arbitraggi scandalosi contro la squadra di Moratti. Sette espulsi in 16 partite, questo lo score con l’Inter. Quando il fischietto toscano incontra i nerazzurri, sembra di assistere a una corrida, con i giocatori nella parte del drappo rosso e lui in quella del toro. Perde letteralmente la testa, denunciando un’ostilità personale preconcetta e inconcepibile per il ruolo terzo di un arbitro. Diversamente da altri arbitri, che quando decidono di condizionare la partita lo fanno con furbizia, Rocchi lo fa con scelte plateali che non possono che indirettamente confermare i sospetti, persino quelli peggiori. La sospensione di Rocchi è inevitabile e la durata della sua assenza sui campi di gioco indicherà la buona fede o la malafede dei vertici del calcio.
Detto ciò, i primi 40 minuti sono stati interessanti e hanno raccontato di un Napoli che scoppia di salute, gioca bene e tiene il campo benissimo e di un Inter che ha pagato lo sforzo di Mosca. L’Inter non sembra in grado di giocare tre partite a settimana, l’usura dei suoi migliori giocatori è evidente e diventa decisiva quando gioca con impegni ravvicinati. Inoltre ha tre giocatori decisamente al di sotto del rendimento minimo per giocare, particolarmente Samuel, Alvarez e Forlan.
Il Napoli, invece, sprizza salute da tutti i pori: pressa, corre, gioca, allarga e stringe il campo come fosse una fisarmonica e verticalizza all’improvviso grazie a Lavezzi e Hamsick, che sanno trovare ogni possibile pertugio nelle difese avversarie. Gioca anche in contropiede ma pressa altissimo, tenendo tutto il baricentro della squadra molto più in alto di chiunque nel nostro campionato. E pur soffrendo sulle fasce se attaccato, in virtù dello schieramento difensivo a tre, sa portare i due centrocampisti di protezione in area quando serve. Mazzarri ha plasmato benissimo la squadra e l’innesto di Inler ha ottimizzato il centrocampo. Se avrà continuità di rendimento negli 11, visto che la panchina non offre garanzie, potrà arrivare lontano. Nel frattempo, in poche gare ha già battuto Milan e Inter, cioè due avversarie dirette al titolo.
La Lazio ha espugnato Firenze e, di per sé, è un risultato straordinario, sia per come arrivava lanciata la Fiorentina, sia per i problemi che denunciava la Lazio, peraltro in svantaggio dopo il gol di Cerci. L’Udinese continua la sua marcia battendo anche il Bologna portandosi alla testa della classifica. Continua a giocare un calcio straordinariamente bello, con giocatori che si trovano a memoria e nemmeno la partenza di Sanchez e Inler ne hanno ridotto pericolosità ed efficacia. Guidolin, che non gode di grandi celebrazioni sulla stampa, continua ad insegnare calcio e l’ambiente lo aiuta decisamente. Sembra quasi che la micidiale leggerezza con la quale la sua squadra gioca fosse dovuta ad una mancanza d’interesse per la classifica. Ovviamente così non è ed è probabile che i friuliani riusciranno a dire la loro tra le prime quattro o cinque alla fine del torneo.
La Roma abbandona il modulo spagnoleggiante, riduce il possesso di palla fine a se stesso, velocizza l’azione e schiera De Rossi venti metri più avanti e coglie un’importante vittoria sull’Atalanta, che è sembrata sazia dell’exploit raggiunto nelle prime giornate. L’abilità di Luis Enrique è quella di aver saputo capire che è arrivato il momento di miscelare il modulo che vorrebbe con i giocatori che ha e la Roma ha ripreso a vincere.
Totti si é infortunato e difficilmente potrà essere in campo nel derby, che si giocherà subito dopo la sosta delle nazionali. Non é certo una buona notizia per i giallorossi, che continuano ad avere nel loro capitano l'uomo che segna e fa segnare, la cifra tecnica più alta di tutto il campionato. Per Luis Enrique é il primo derby, ma proprio perché negli ultimi anni la Roma ha sempre prevalso, la statistica invita alla prudenza. Il tecnico spagnolo si gioca una bella fetta di credibilità presso un pubblico e una squadra (e una parte della stampa tifosa) che sembrano averlo eletto uomo della provvidenza.
Il Parma dello straordinario Giovinco s’impone con un bel 3 a 1 sul Genoa. Il Palermo di Mangia continua a stupire; produce buon gioco e inanella vittorie. Ieri ha battuto il Siena, che pure gioca bene ma che è già alla seconda sconfitta consecutiva, mentre il sempre più straordinario Cagliari va a vincere in trasferta a Lecce. Udinese, Cagliari e Palermo si trovano nei primi cinque posti. La provincia assedia il vertice del calcio.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
Arrivano da Bergamo le novità di questo turno di campionato, dove l’Atalanta racconta una piccola favola di provincia. Non guida la classifica, ma guida in qualche modo il campionato delle piccole. Sebbene abbiano ritrovato la vittoria Inter, Milan e Roma, la novità sono gli orobici. L’Atalanta a quattro punti, infatti, dopo aver superato i sei di penalizzazione per la vicenda scommesse illegali, dimostra che dove non ci sono i campioni, il carattere gregario supplisce. Se non avesse avuto la penalizzazione, infatti, la squadra di Bergamo sarebbe oggi sola al comando della classifica. Che non sarà forse duratura, ma intanto, pur accorciata, con le milanesi che approfittano dei risultati e tentano di ripartire, ci fa vedere quattro squadre come Udinese, Genoa, Cagliari e Chievo nei primi otto posti. Chi l’avrebbe pronosticato?
La Roma trova la sua prima vittoria del campionato battendo per uno a zero (gol di Osvaldo) il Parma nel posticipo. Non ha certo incantato la squadra di Luis Enrique, ma di fronte a un Parma davvero messo male, non poteva non vincere. Un po’ meno fitta la rete di passaggi, ma senza che questo abbia dato luogo ad accelerazioni, cambi di fascia nel possesso palla e inserimenti che possono trasformare un gioco abbastanza noioso in un tip-tap micidiale. La difesa continua ad essere troppo esposta e i giocatori fuori ruolo sono più di quelli che giocano nella posizione a loro congeniale. Ma era comunque importante vincere, sia per la classifica che per la panchina e il morale e i giallorossi l’hanno fatto.
Tra Napoli e Fiorentina è finita a reti inviolate. Sembra che la squadra di Mazzarri non riesca apiù a vincere, come se l’impresa di Manchester abbia prosciugato energie oltre ogni immaginazione. Certo, la Fiorentina dell’ottimo Mihajlovic è un osso duro per tutti, ma sarà bene che a Napoli comincino a darsi una spinta diversa se vogliono avere in pugno il torneo, come da pronostici. La Champions, infatti, erode smalto ed energie, toglie certezze o offre illusioni. Il girone di ferro in Europa non lascia molte speranze ai partenopei, così che, almeno in campionato, ritornare con i piedi a terra appare un’urgenza non procrastinabile, per evitare di trovarsi tra un paio di mesi con la borraccia vuota.
La cura Ranieri ha già sfebbrato l’Inter. Magari non sarà ancora guarita, ma certo non pare più malata d’impossibile. Poche semplici mosse dell’esperto neo-tecnico interista sono bastate a migliorare il quadro clinico: uomini che giocano nei loro ruoli, modulo con il quale sono abituati a giocare, rientro in campo di campioni imbullonati alla panchina.
La partita di Bologna, contro una squadra come quella allenata dal tarantolato Bisoli, ben messa in campo e con un reparto avanzato di qualità, seppure evidenziando ancora delle lacune, ha visto l’Inter vincere con tre gol segnati, un palo e una traversa, mentre l’unica rete bolognese è arrivata grazie ad un più che generoso rigore concesso da Tagliavento. Non era importante vedere un bel gioco, quanto ritrovare lo spirito combattente con il quale i nerazzurri in questi anni hanno vinto tutto. E questo in qualche modo si è visto, dal momento che dopo il pareggio del Bologna, la squadra di Ranieri, pure troppo schiacciata nella sua metà campo, ha giocato come meglio sa: ripartenze micidiali per la qualità dei suoi uomini. Che, infatti, hanno prodotto due gol in pochi minuti. Se poi si aggiunge che mancavano Snejider, Maicon, Stankovic e Thiago Motta oltre a Ranocchia squalificato, quanto visto non può che autorizzare ottimismo per i tifosi nerazzurri.
La Juve del condottiero Conte si salva per il rotto della cuffia contro il Catania, grazie a Krazic che nei primi minuti della ripresa risponde a Bergessio e, soprattutto, grazie ad una papera del portiere cesenate. Pare ancora un cantiere aperto quello di Conte, che deve lavorare molto sulla fase difensiva e sui calci piazzati. Più in generale, però, sembra che sia la forma di Pirlo a stabilire la qualità delle partite della Juventus. Se così fosse, sarebbe bene provvedere: un giocatore con la classe del campione bergamasco, ma anche con l’età e le pause che gli sono proprie, non può essere l’unica strada da percorrere. Ma Conte sembra sapere quanto i facili entusiasmi siano pericolosi come le depressioni. Sarà la sua capacità di trasmettere equilibrio a determinare seriamente come andrà questo campionato per la Juve.
Il Milan ha deciso di riprendere a correre e, grazie a uno dei suoi fuoriclasse, Seedorf, è riuscito a strappare i tre punti di cui aveva, come Inter e Roma, disperato bisogno. Lezioso e poco padrone del campo, certo, ma non c’è dubbio che le prime giornate di campionato vedono sempre le “piccole” molto più in palla delle “grandi”. E se anche le prime hanno la supremazia territoriale, poi sono i grandi campioni che decidono il risultato. E Seedorf è uno di questi, ha ragione Allegri che dice che l’olandese “andrebbe clonato”. Comunque, in assenza di Pato e Ibrahimovic, il Milan ha ottenuto, pur con qualche sforzo, i tre punti necessari alla classifica e al morale.
La Lazio di Reja, con un Cissè addormentato causa lentezza asfittica della squadra, pareggia in casa con il Palermo. Di per sé non è un risultato inaspettato, perché il Palermo di Mangia continua a dimostrarsi un osso duro da rodere, anche se l’assenza di Hernandez aveva ridotto gli spigoli rosanero. Ma se la Lazio intende disputare un campionato di livello sarà bene darsi una mossa. Se Reja dedicherà più tempo ad allenare e meno ai microfoni, è possibile che la Lazio cambi regime in breve tempo. I fischi con cui il pubblico dell’Olimpico ha salutato la fine della partita sono tutti per lui. Magari sarà una cornice antipatica, come ha detto, ma non si può chiedere a chi guarda i match di vedere un film diverso da quello che va in onda. Urgono rimedi e serenità interna, altrimenti, si prospetta un campionato anonimo, tra alti e bassi che non servono a nessuno.
Il Siena, che tre giorni prima aveva inchiodato la Roma pareggiando una partita che avrebbe meritato di vincere, schianta per 3 a 0 il Lecce e lo stupefacente Cagliari pareggia in casa con l’Udinese. Atalanta e Chievo vincono entrambe 2 a 1 contro Novara e Genoa. I veronesi mandano in gol Moscardelli e Pellissier, una coppia di attaccanti di assoluto valore, che s’integrano perfettamente per movimenti e scambi. Già detto la settimana scorsa, ci piace ripeterlo: a Verona sarà dura per tutti.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
Non si era ancora asciugato l’inchiostro della penna con la quale Claudio Ranieri aveva firmato l’accordo biennale con l’Inter, che già il turno di campionato portava il primo sorriso in casa nerazzurra. Infatti, in quello che poteva diventare il turno killer per la squadra di Moratti, una piccola rivoluzione del campo contro la dittatura dei pronostici ha accorciato la classifica a tutto vantaggio dell’Inter. Il pendolino napoletano si è fermato per un guasto nella fatal Verona, il Milan ultra favorito dopo tre giornate ha solo due punti dopo aver rischiato di perdere nella pericolosissima Udine e la Lazio del polemico Reja è andato a Cesena a prendersi tre punti dei quali aveva disperato bisogno. La Juventus del condottiero Conte ha regalato il primo punto al Bologna sprecando una ghiotta occasione e ha così frenato la sua corsa verso il tanto auspicato primato, mentre il Palermo dimostra che sa riprendersi anche dai passi falsi e sforna gioco garibaldino andando a vincere in Sardegna.
Nel posticipo, la Roma non é andata oltre il pareggio casalingo con il Siena, che ha giocato un’ottima partita e non avrebbe certo meritato di perdere. La Roma, così, continua ad essere un progetto affascinante per alcuni e molto meno per altri; ma la squadra di Luis Enrique continua ad essere sterile in zona gol e il possesso palla, se fine a se stesso, non ha mai portato punti. I giallorossi restano quindi nell’alveo delle grandi con pochi punti. Quanto alle piccole che fanno punti, il Genoa, continua a mietere vittime e si trova, a qualche decennio di distanza, in testa alla classifica. Che sarà anche provvisoria, ma non meno godereccia per il grifone.
La caduta del Napoli ad opera del Chievo per certi aspetti può sembrare l’autentica sorpresa della giornata, ma dovrebbe ricordare a tutti che la formazione veronese non regala niente a nessuno e continua da diverso tempo ad avere in casa un ruolino ben più significativo delle ambizioni legate solo alla salvezza. Per quanto riguarda i partenopei, la partita dimostra anche che un conto è un turn-over, un altro è una rivoluzione. Il turn-over può prevedere due o tre giocatori che sostituiscono i titolari, ma sette in una sola volta sono davvero troppi. Cambiare la maggior parte della squadra per dar modo di rifiatare ad alcuni, si è così rivelata mossa improduttiva, a conferma che il limite forse maggiore della squadra di Mazzarri è proprio la qualità della sua panchina. Desta quindi perplessità sentir dire a Mazzarri che lo rifarebbe.
La classifica dice quindi che Genoa, Juventus e Udinese guidano, con alle spalle Napoli, Fiorentina, Palermo e Cagliari distanziate da un punto. La distanza maggiore, invece, è quella delle milanesi e delle romane. Il Milan, incensato dai media di famiglia e definito all’unanimità o quasi il più serio candidato al titolo, pare ormai incapace di vincere. Va bene, mancavano Boateng e Ibrahimovic, ma davvero ciò basta a trasformare i campioni d’Italia in una squadretta qualunque? A tutte le squadre mancano normalmente tre o quattro titolari, tra squalifiche ed infortuni.
La questione è seria, perché a tutti coloro che l’anno scorso definivano i rossoneri Ibra-dipendenti, Allegri rispondeva che no, non era così. Poi però, stranamente, tanto l’anno scorso come quest’anno, gli inciampi in campionato del Milan coincidono con l’assenza di Ibra. Peraltro, succede che Cassano, Pato e Inzaghi in tre non facciano nemmeno la metà dei gol dello svedesone.
A testimoniare che il calcio é cosa grave, ma non sempre seria, ci ha pensato il Presidente della Lazio, Lotito, che ha deciso che è l’informazione romana che mal dispone Reja e che crea “un ambiente ostile”, un clima negativo e polemico intorno alla Lazio. Ci sarebbe, stando a Lotito, una strategia mediatica per destabilizzare la Lazio, neanche fosse uno “stato canaglia”. Non si capisce chi guida la “Spectre” che avverte Reja come fosse James Bond, ma pare si annidi nelle redazioni. Più in particolare, il presidente chiacchierone della Lazio ha messo sul banco degli imputati la carta stampata e, in un torrente di chiacchiere, ha stabilito che se la Lazio perde valore nelle quotazioni azionarie, questo non avviene per la crisi delle borse e perché il titolo è tutto meno che affascinante, visto l’indebitamento alto e i successi scarsi, ma perché la stampa romana critica. Da qui sarebbe giusto, secondo lui, addirittura denunciare fenomeni di aggiotaggio mascherato. Roba da neurodeliri.
L’Inter ha quindi Claudio Ranieri sulla sua panchina. Il tecnico romano, che ha allenato Fiorentina, Napoli, Cagliari, Parma, Juventus e Roma in Italia, Chelsea e Valencia all’estero, è uno specialista della rianimazione. Più di una volta, infatti, si è seduto sulle panchine con il torneo in corso e, ogni volta, ha raggiunto traguardi significativi. Gasperini ha lasciato l’Inter con rammarico di tutti, dal momento che mai è stata messa in discussione la sua onestà e signorilità. Ma i risultati sono stati devastanti per aver pensato di adattare l’Inter alle sue idee, piuttosto che le sue idee all’Inter.
Questa voglia di non adattarsi è sembrato ad alcuni coerenza estrema, ad altri cocciutaggine e presunzione; ma se nemmeno le raccomandazioni della società affinché tornasse sui suoi passi e la piantasse di confondere la squadra che ha vinto 17 trofei in cinque anni obbligandola a cambiare tutto e generando così confusione e crisi d’identità sono state ascoltate, allora forse si può parlare anche di una certa arroganza, pur occultata dai modi gentili e pacati che lo contraddistinguono. E’ vero che la società non l’ha supportato nelle sue richieste di mercato, soprattutto per il centrocampo? No, perché Poli è arrivato e Kuchka arriverà a Gennaio. Se però le sue richieste erano Lavezzi e Palacio da un lato e trattenere Eto’o dall’altro, chi non le avrebbe poste? E a chi non sarebbe piaciuto prendere Sanchez e Hazard?
Accettarle avrebbe significato infischiarsene del fair play finanziario, cosa che a Milano viene invece vista con molta serietà. E proprio la panchina a Gasperini confermava questo. Villa Boas, infatti, siede sulla panchina del Chelsea e non dell’Inter per lo stesso motivo: la società non voleva e non poteva pagare i 15 milioni di clausola rescissoria al Porto. Ma comunque, quale che sia stato il mercato, va detto che l’Inter scesa in campo con Gasperini aveva comunque giocatori in grado di battere le avversarie incontrate: i nerazzurri, infatti, non hanno perso con Barcellona, Manchester United e Chelsea, bensì contro Chievo, Palermo e Novara.
Tocca dunque all’esperto Ranieri, che almeno ritiene di dover assecondare le caratteristiche tecniche, tattiche e fisiche che hanno reso l’Inter la squadra italiana più forte degli ultimi anni. Può darsi che l’arrivo del tecnico testaccino, che pure nelle sue polemiche con Mourinho (ma sarebbe giusto dire quelle di Mourinho con lui..) ha sempre sostenuto che l’Inter era una corazzata quasi impossibile da battere. Si tratta di vedere ora se il cantiere navale di Appiano gentile riuscirà a rimetterla in grado di solcare il mare del nostro calcio con la forza di cui dispone. Se succederà, la classifica che si può leggere ora, diventerà presto un ricordo.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
Sarà l'entusiasmo del San Paolo, sarà l'eccitazione che i ragazzi di Mazzarri vivono ormai da mesi, sarà un Milan al di sotto delle attese, ma quando Cavani trova le serate come questa, c'é poco da fare, il risultato é scritto prima ancora di cominciare. Ibra a casa non basta a giustificare un Milan in panne. Il Napoli entusiasta e il Milan molle sono la fotografia di una partita che non ha mai avuto storia. E, nonostante i soliti aggiustamenti di calendario (Galliani é uno specialista della materia) i partenopei sono scesi in campo con una carica agonistica e una voglia di vincere che il Milan non aveva. Il 3 a 1 é risultato giusto di una partita che non ha mai avuto storia, nemmeno quando il Milan si era trovato in vantaggio.
Tutt'altro spettacolo da quello visto al Meazza 24 ore prima. Negli ultimi cinque-sei anni di calcio italiano, Inter e Roma hanno dato vita alla parte più spettacolare del torneo. La lotta tra le due squadre è stata sempre per stabilire quale delle due potesse puntare al titolo e le sfide sul campo facevano felici i pallottolieri. Gol e giocate di gran classe illuminavano partite al cardiopalma. Quest’anno, invece, la prima sfida è stata all’insegna di una serata per cuori deboli. Uno spettacolo sostanzialmente noioso, quello andato in scena al Meazza e un risultato giusto per quello che si è visto e soprattutto per quello che non si è visto.
Due allenatori discussi e discutibili, due squadre con un ritmo da oratorio, un pubblico che non sa nemmeno se fischiare o sospirare. A sentire la vulgata generale, pare che la Roma abbia fatto una grande partita e l’Inter no. Certo che i nerazzurri non hanno brillato, ma per definire quella della Roma una grande partita ci vuole coraggio e tifo sperticato.
I giallorossi hanno avuto maggiore controllo palla e maggiore presenza nella metà campo avversaria, ma in tutta la partita solo un tiro nello specchio della porta. Non è propriamente quanto ci si aspetta da una squadra che si dice votata all’attacco: e se era votata alla difesa che faceva? Solo la fortuna li ha graziati, dato che Milito si è divorato un gol e tre riti - Zarate, Nagatomo e Forlan - hanno sfiorato l’incrocio dei pali, mentre un altro di Snejider è stato respinto sulla linea da Kriajer.
Si vedrà anche l’embrione di un gioco, ma per ora la Roma è lenta e noiosa, non ha più quelle accelerazioni improvvise e quella velocità negli scambi che la rendevano pericolosissima per chiunque. E’ prevedibile, lenta e, senza la classe di De Rossi e il suo senso della posizione in mezzo ai due centrali di difesa, prenderebbe gol con una certa facilità.
Il che non significa che il modulo di Luis Enrique non sia intelligente e che non possa divenire vincente, ma serve ben altra condizione fisica e velocità. De Rossi, sistemato al centro della difesa, svolge il ruolo di player difensivo più indietro, quindi al riparo dal pressing del centrocampo avversario e, con Pizarro in linea verticale può aprire spazi alle due punte che si allargano e ai centrocampisti che s’inseriscono. Ma questo in teoria, perché se non hai Iniesta, Xavi e Messi in mezzo e Pedro e Villa sulle corsie, allora solo l’estrema velocità d’esecuzione può realizzare lo schema.
Se però è la lentezza a sovrastare la qualità, allora la storia è diversa. Se la Roma non avesse incontrato un’Inter così mal messa, completamente involuta sotto l’aspetto del gioco e del carattere, sarebbe uscita sconfitta. E, visto che i media celebrano l’originalità dell’allenatore spagnolo, mettere Taddei e Perrotta sulle fasce non è filosofia calcistica, ma bestemmia tattica. Se ieri nell’Inter sulle fasce ci fossero stati Maicon e Chivu, sarebbero stati dolori per il credo calcistico di Luis Enrique.
L’Inter dal canto suo paga una preparazione precampionato a metà, una campagna acquisti che certifica come si rinvii di un anno la ricostruzione e un tecnico che deve ancora capire che non è possibile prendere campioni che hanno vinto tutto giocando in un modo e pensare di fargli cambiare tutto. E’ una squadra dove i migliori sono in debito di condizione e con un’età non più verde e i rinforzi arrivati non sono nemmeno lontanamente paragonabili alla vecchia compagine. Per giunta, Milito conferma il trand dell’anno scorso, mangiandosi gol fatti. Poi, Gasperini, ci mette del suo. Quando Pazzini resta in panchina per vedere Muntari in campo, lo stadio giustamente fischia, perché l’Inter rimane senza prime punte.
Gasp sostiene che aveva bisogno di rinforzare la mediana perché Snejider era stanco, e che proprio dopo il suo ultimo cambio l’Inter ha avuto le occasioni migliori. Ma la partita ha detto esattamente il contrario: Snejider non era poi così stanco, visto che è stato il più attivo e semmai è stato il cedimento fisico della Roma che ha spostato il baricentro dei nerazzurri più avanti consentendo le occasioni da rete. Proprio per questo se invece che Muntari ci fosse stato Pazzini, i nerazzurri avrebbero concluso ben diversamente la partita.
Gasperini ha fatto la scelta di chi aveva paura di perdere partita e impiego. Dimenticandosi che l’Inter in casa non può rinunciare a vincere per timore di perdere; questo è un ragionamento che può andar bene a Genova o a Crotone, non a Milano. Mourinho, per intenderci, avrebbe inserito quattro punte e vinto, come spesso ha fatto. La differenza abissale con il passato e il presente sta anche qui.
Entrambe le squadre hanno poi dimostrato la crescente insufficienza delle loro bandiere: Totti da un lato e Zanetti dall’altro, sono ormai alle prese con evidenti limiti fisici e, nel contempo, vittime di meccanismi di gioco che gli sono estranei. Restano la classe e l’abnegazione di entrambi, ma la sensazione è che giochino per i nomi e la storia che portano e non per l’effettiva necessità di schierarli. Il che non fa bene né alle loro squadre, né alla loro storia.
La Lazio è decisamente bifronte: un conto è quella del primo tempo, un’altra quella del secondo. Il modulo che impiega Reja non è certo utile ad esaltare le individualità di cui dispone, ma è proprio la tenuta fisica che si rivela precaria. Dopo il pareggio a Milano e quello di coppa, una sconfitta come quella patita ad opera del Genoa comincia a insinuare dubbi circa le ottimistiche previsoni d’inizio campionato.
Prosegue la corsa dell’Udinese, che batte anche la Fiorentina, mentre il Bologna rimedia la seconda sconfitta. Parma e Catania muovono le rispettive classifiche, mentre il Siena, come ci si attendeva, cede di fronte alla Juve del suo ex-allenatore. Il Palermo, subito celebrato per aver battuto l’Inter, è andato a sbattere contro nerazzurri d’inferiore caratura. Sul campo dell’Atalanta, infatti, prima Denis e poi un nubifragio hanno cancellato le velleità rosanero.
Per quello che può valere con due sole gare giocate, la classifica indica la Juventus al comando insieme al Napoli, al Cagliari e all’Udinese e solo due squadre a zero punti, il Cesena e il Bologna, seguite dall’Atalanta penalizzata che si trova a meno due. Ma, sorprese a parte, che comunque in ogni campionato ci sono, statisticamente, per almeno le prime cinque giornate, una classifica siffatta era in parte ipotizzabile sin dall’inizio, quando si è letto il calendario del campionato.
La Juventus degli Agnelli ha le prime quattro gare con squadre di medio-bassa classifica, mentre per Roma, Inter, Napoli e Milan gli impegni sono decisamente di diverso spessore, e tre delle quattro hanno anche il girone delle coppe. Prima o poi s’incontrano tutte le squadre, così che un vantaggio iniziale non ha significato, dicono alcuni. Ma, dicono altri, arrivare a fine ottobre con una sei o sette di punti di vantaggio sui competitor non è poco e favorisce ulteriormente il fatto d’incontrare poi le grandi con il rodaggio d’inizio campionato già effettuato. Del resto, sia sui media che nel Palazzo c’è molta voglia di Juve. Vuoi vedere che anche il campionato ha i suoi incentivi?