- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
Non si era ancora asciugato l’inchiostro della penna con la quale Claudio Ranieri aveva firmato l’accordo biennale con l’Inter, che già il turno di campionato portava il primo sorriso in casa nerazzurra. Infatti, in quello che poteva diventare il turno killer per la squadra di Moratti, una piccola rivoluzione del campo contro la dittatura dei pronostici ha accorciato la classifica a tutto vantaggio dell’Inter. Il pendolino napoletano si è fermato per un guasto nella fatal Verona, il Milan ultra favorito dopo tre giornate ha solo due punti dopo aver rischiato di perdere nella pericolosissima Udine e la Lazio del polemico Reja è andato a Cesena a prendersi tre punti dei quali aveva disperato bisogno. La Juventus del condottiero Conte ha regalato il primo punto al Bologna sprecando una ghiotta occasione e ha così frenato la sua corsa verso il tanto auspicato primato, mentre il Palermo dimostra che sa riprendersi anche dai passi falsi e sforna gioco garibaldino andando a vincere in Sardegna.
Nel posticipo, la Roma non é andata oltre il pareggio casalingo con il Siena, che ha giocato un’ottima partita e non avrebbe certo meritato di perdere. La Roma, così, continua ad essere un progetto affascinante per alcuni e molto meno per altri; ma la squadra di Luis Enrique continua ad essere sterile in zona gol e il possesso palla, se fine a se stesso, non ha mai portato punti. I giallorossi restano quindi nell’alveo delle grandi con pochi punti. Quanto alle piccole che fanno punti, il Genoa, continua a mietere vittime e si trova, a qualche decennio di distanza, in testa alla classifica. Che sarà anche provvisoria, ma non meno godereccia per il grifone.
La caduta del Napoli ad opera del Chievo per certi aspetti può sembrare l’autentica sorpresa della giornata, ma dovrebbe ricordare a tutti che la formazione veronese non regala niente a nessuno e continua da diverso tempo ad avere in casa un ruolino ben più significativo delle ambizioni legate solo alla salvezza. Per quanto riguarda i partenopei, la partita dimostra anche che un conto è un turn-over, un altro è una rivoluzione. Il turn-over può prevedere due o tre giocatori che sostituiscono i titolari, ma sette in una sola volta sono davvero troppi. Cambiare la maggior parte della squadra per dar modo di rifiatare ad alcuni, si è così rivelata mossa improduttiva, a conferma che il limite forse maggiore della squadra di Mazzarri è proprio la qualità della sua panchina. Desta quindi perplessità sentir dire a Mazzarri che lo rifarebbe.
La classifica dice quindi che Genoa, Juventus e Udinese guidano, con alle spalle Napoli, Fiorentina, Palermo e Cagliari distanziate da un punto. La distanza maggiore, invece, è quella delle milanesi e delle romane. Il Milan, incensato dai media di famiglia e definito all’unanimità o quasi il più serio candidato al titolo, pare ormai incapace di vincere. Va bene, mancavano Boateng e Ibrahimovic, ma davvero ciò basta a trasformare i campioni d’Italia in una squadretta qualunque? A tutte le squadre mancano normalmente tre o quattro titolari, tra squalifiche ed infortuni.
La questione è seria, perché a tutti coloro che l’anno scorso definivano i rossoneri Ibra-dipendenti, Allegri rispondeva che no, non era così. Poi però, stranamente, tanto l’anno scorso come quest’anno, gli inciampi in campionato del Milan coincidono con l’assenza di Ibra. Peraltro, succede che Cassano, Pato e Inzaghi in tre non facciano nemmeno la metà dei gol dello svedesone.
A testimoniare che il calcio é cosa grave, ma non sempre seria, ci ha pensato il Presidente della Lazio, Lotito, che ha deciso che è l’informazione romana che mal dispone Reja e che crea “un ambiente ostile”, un clima negativo e polemico intorno alla Lazio. Ci sarebbe, stando a Lotito, una strategia mediatica per destabilizzare la Lazio, neanche fosse uno “stato canaglia”. Non si capisce chi guida la “Spectre” che avverte Reja come fosse James Bond, ma pare si annidi nelle redazioni. Più in particolare, il presidente chiacchierone della Lazio ha messo sul banco degli imputati la carta stampata e, in un torrente di chiacchiere, ha stabilito che se la Lazio perde valore nelle quotazioni azionarie, questo non avviene per la crisi delle borse e perché il titolo è tutto meno che affascinante, visto l’indebitamento alto e i successi scarsi, ma perché la stampa romana critica. Da qui sarebbe giusto, secondo lui, addirittura denunciare fenomeni di aggiotaggio mascherato. Roba da neurodeliri.
L’Inter ha quindi Claudio Ranieri sulla sua panchina. Il tecnico romano, che ha allenato Fiorentina, Napoli, Cagliari, Parma, Juventus e Roma in Italia, Chelsea e Valencia all’estero, è uno specialista della rianimazione. Più di una volta, infatti, si è seduto sulle panchine con il torneo in corso e, ogni volta, ha raggiunto traguardi significativi. Gasperini ha lasciato l’Inter con rammarico di tutti, dal momento che mai è stata messa in discussione la sua onestà e signorilità. Ma i risultati sono stati devastanti per aver pensato di adattare l’Inter alle sue idee, piuttosto che le sue idee all’Inter.
Questa voglia di non adattarsi è sembrato ad alcuni coerenza estrema, ad altri cocciutaggine e presunzione; ma se nemmeno le raccomandazioni della società affinché tornasse sui suoi passi e la piantasse di confondere la squadra che ha vinto 17 trofei in cinque anni obbligandola a cambiare tutto e generando così confusione e crisi d’identità sono state ascoltate, allora forse si può parlare anche di una certa arroganza, pur occultata dai modi gentili e pacati che lo contraddistinguono. E’ vero che la società non l’ha supportato nelle sue richieste di mercato, soprattutto per il centrocampo? No, perché Poli è arrivato e Kuchka arriverà a Gennaio. Se però le sue richieste erano Lavezzi e Palacio da un lato e trattenere Eto’o dall’altro, chi non le avrebbe poste? E a chi non sarebbe piaciuto prendere Sanchez e Hazard?
Accettarle avrebbe significato infischiarsene del fair play finanziario, cosa che a Milano viene invece vista con molta serietà. E proprio la panchina a Gasperini confermava questo. Villa Boas, infatti, siede sulla panchina del Chelsea e non dell’Inter per lo stesso motivo: la società non voleva e non poteva pagare i 15 milioni di clausola rescissoria al Porto. Ma comunque, quale che sia stato il mercato, va detto che l’Inter scesa in campo con Gasperini aveva comunque giocatori in grado di battere le avversarie incontrate: i nerazzurri, infatti, non hanno perso con Barcellona, Manchester United e Chelsea, bensì contro Chievo, Palermo e Novara.
Tocca dunque all’esperto Ranieri, che almeno ritiene di dover assecondare le caratteristiche tecniche, tattiche e fisiche che hanno reso l’Inter la squadra italiana più forte degli ultimi anni. Può darsi che l’arrivo del tecnico testaccino, che pure nelle sue polemiche con Mourinho (ma sarebbe giusto dire quelle di Mourinho con lui..) ha sempre sostenuto che l’Inter era una corazzata quasi impossibile da battere. Si tratta di vedere ora se il cantiere navale di Appiano gentile riuscirà a rimetterla in grado di solcare il mare del nostro calcio con la forza di cui dispone. Se succederà, la classifica che si può leggere ora, diventerà presto un ricordo.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
Sarà l'entusiasmo del San Paolo, sarà l'eccitazione che i ragazzi di Mazzarri vivono ormai da mesi, sarà un Milan al di sotto delle attese, ma quando Cavani trova le serate come questa, c'é poco da fare, il risultato é scritto prima ancora di cominciare. Ibra a casa non basta a giustificare un Milan in panne. Il Napoli entusiasta e il Milan molle sono la fotografia di una partita che non ha mai avuto storia. E, nonostante i soliti aggiustamenti di calendario (Galliani é uno specialista della materia) i partenopei sono scesi in campo con una carica agonistica e una voglia di vincere che il Milan non aveva. Il 3 a 1 é risultato giusto di una partita che non ha mai avuto storia, nemmeno quando il Milan si era trovato in vantaggio.
Tutt'altro spettacolo da quello visto al Meazza 24 ore prima. Negli ultimi cinque-sei anni di calcio italiano, Inter e Roma hanno dato vita alla parte più spettacolare del torneo. La lotta tra le due squadre è stata sempre per stabilire quale delle due potesse puntare al titolo e le sfide sul campo facevano felici i pallottolieri. Gol e giocate di gran classe illuminavano partite al cardiopalma. Quest’anno, invece, la prima sfida è stata all’insegna di una serata per cuori deboli. Uno spettacolo sostanzialmente noioso, quello andato in scena al Meazza e un risultato giusto per quello che si è visto e soprattutto per quello che non si è visto.
Due allenatori discussi e discutibili, due squadre con un ritmo da oratorio, un pubblico che non sa nemmeno se fischiare o sospirare. A sentire la vulgata generale, pare che la Roma abbia fatto una grande partita e l’Inter no. Certo che i nerazzurri non hanno brillato, ma per definire quella della Roma una grande partita ci vuole coraggio e tifo sperticato.
I giallorossi hanno avuto maggiore controllo palla e maggiore presenza nella metà campo avversaria, ma in tutta la partita solo un tiro nello specchio della porta. Non è propriamente quanto ci si aspetta da una squadra che si dice votata all’attacco: e se era votata alla difesa che faceva? Solo la fortuna li ha graziati, dato che Milito si è divorato un gol e tre riti - Zarate, Nagatomo e Forlan - hanno sfiorato l’incrocio dei pali, mentre un altro di Snejider è stato respinto sulla linea da Kriajer.
Si vedrà anche l’embrione di un gioco, ma per ora la Roma è lenta e noiosa, non ha più quelle accelerazioni improvvise e quella velocità negli scambi che la rendevano pericolosissima per chiunque. E’ prevedibile, lenta e, senza la classe di De Rossi e il suo senso della posizione in mezzo ai due centrali di difesa, prenderebbe gol con una certa facilità.
Il che non significa che il modulo di Luis Enrique non sia intelligente e che non possa divenire vincente, ma serve ben altra condizione fisica e velocità. De Rossi, sistemato al centro della difesa, svolge il ruolo di player difensivo più indietro, quindi al riparo dal pressing del centrocampo avversario e, con Pizarro in linea verticale può aprire spazi alle due punte che si allargano e ai centrocampisti che s’inseriscono. Ma questo in teoria, perché se non hai Iniesta, Xavi e Messi in mezzo e Pedro e Villa sulle corsie, allora solo l’estrema velocità d’esecuzione può realizzare lo schema.
Se però è la lentezza a sovrastare la qualità, allora la storia è diversa. Se la Roma non avesse incontrato un’Inter così mal messa, completamente involuta sotto l’aspetto del gioco e del carattere, sarebbe uscita sconfitta. E, visto che i media celebrano l’originalità dell’allenatore spagnolo, mettere Taddei e Perrotta sulle fasce non è filosofia calcistica, ma bestemmia tattica. Se ieri nell’Inter sulle fasce ci fossero stati Maicon e Chivu, sarebbero stati dolori per il credo calcistico di Luis Enrique.
L’Inter dal canto suo paga una preparazione precampionato a metà, una campagna acquisti che certifica come si rinvii di un anno la ricostruzione e un tecnico che deve ancora capire che non è possibile prendere campioni che hanno vinto tutto giocando in un modo e pensare di fargli cambiare tutto. E’ una squadra dove i migliori sono in debito di condizione e con un’età non più verde e i rinforzi arrivati non sono nemmeno lontanamente paragonabili alla vecchia compagine. Per giunta, Milito conferma il trand dell’anno scorso, mangiandosi gol fatti. Poi, Gasperini, ci mette del suo. Quando Pazzini resta in panchina per vedere Muntari in campo, lo stadio giustamente fischia, perché l’Inter rimane senza prime punte.
Gasp sostiene che aveva bisogno di rinforzare la mediana perché Snejider era stanco, e che proprio dopo il suo ultimo cambio l’Inter ha avuto le occasioni migliori. Ma la partita ha detto esattamente il contrario: Snejider non era poi così stanco, visto che è stato il più attivo e semmai è stato il cedimento fisico della Roma che ha spostato il baricentro dei nerazzurri più avanti consentendo le occasioni da rete. Proprio per questo se invece che Muntari ci fosse stato Pazzini, i nerazzurri avrebbero concluso ben diversamente la partita.
Gasperini ha fatto la scelta di chi aveva paura di perdere partita e impiego. Dimenticandosi che l’Inter in casa non può rinunciare a vincere per timore di perdere; questo è un ragionamento che può andar bene a Genova o a Crotone, non a Milano. Mourinho, per intenderci, avrebbe inserito quattro punte e vinto, come spesso ha fatto. La differenza abissale con il passato e il presente sta anche qui.
Entrambe le squadre hanno poi dimostrato la crescente insufficienza delle loro bandiere: Totti da un lato e Zanetti dall’altro, sono ormai alle prese con evidenti limiti fisici e, nel contempo, vittime di meccanismi di gioco che gli sono estranei. Restano la classe e l’abnegazione di entrambi, ma la sensazione è che giochino per i nomi e la storia che portano e non per l’effettiva necessità di schierarli. Il che non fa bene né alle loro squadre, né alla loro storia.
La Lazio è decisamente bifronte: un conto è quella del primo tempo, un’altra quella del secondo. Il modulo che impiega Reja non è certo utile ad esaltare le individualità di cui dispone, ma è proprio la tenuta fisica che si rivela precaria. Dopo il pareggio a Milano e quello di coppa, una sconfitta come quella patita ad opera del Genoa comincia a insinuare dubbi circa le ottimistiche previsoni d’inizio campionato.
Prosegue la corsa dell’Udinese, che batte anche la Fiorentina, mentre il Bologna rimedia la seconda sconfitta. Parma e Catania muovono le rispettive classifiche, mentre il Siena, come ci si attendeva, cede di fronte alla Juve del suo ex-allenatore. Il Palermo, subito celebrato per aver battuto l’Inter, è andato a sbattere contro nerazzurri d’inferiore caratura. Sul campo dell’Atalanta, infatti, prima Denis e poi un nubifragio hanno cancellato le velleità rosanero.
Per quello che può valere con due sole gare giocate, la classifica indica la Juventus al comando insieme al Napoli, al Cagliari e all’Udinese e solo due squadre a zero punti, il Cesena e il Bologna, seguite dall’Atalanta penalizzata che si trova a meno due. Ma, sorprese a parte, che comunque in ogni campionato ci sono, statisticamente, per almeno le prime cinque giornate, una classifica siffatta era in parte ipotizzabile sin dall’inizio, quando si è letto il calendario del campionato.
La Juventus degli Agnelli ha le prime quattro gare con squadre di medio-bassa classifica, mentre per Roma, Inter, Napoli e Milan gli impegni sono decisamente di diverso spessore, e tre delle quattro hanno anche il girone delle coppe. Prima o poi s’incontrano tutte le squadre, così che un vantaggio iniziale non ha significato, dicono alcuni. Ma, dicono altri, arrivare a fine ottobre con una sei o sette di punti di vantaggio sui competitor non è poco e favorisce ulteriormente il fatto d’incontrare poi le grandi con il rodaggio d’inizio campionato già effettuato. Del resto, sia sui media che nel Palazzo c’è molta voglia di Juve. Vuoi vedere che anche il campionato ha i suoi incentivi?
- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
La prima giornata del campionato non è mai indicativa circa la sorte complessiva del torneo, ma quest’anno, per quanto ancora inevitabilmente parzialissime, alcune indicazioni sembra già offrirle. Intanto il numero dei gol segnati: trentacinque, cioè venti in più della passata stagione. Il che non significa che siamo diventati un campionato di fenomeni e di funamboli, semmai che le nostre difese somigliano sempre più a degli scolapasta. Il perché, molto probabilmente, risiede nella nuova moda del calcio-spettacolo, che vede alcuni allenatori improvvisarsene profeti.
Squadre lunghissime e tutte votate all’attacco, squilibrate a centrocampo (dove si vincono o si perdono le partite) e, in genere, con poco senso tattico complessivo. Tutti si dichiarano strenui ammiratori del Barcellona, e ci mancherebbe. Ma pochi vedono la caratteristica principale dei bleugrana: un pressing asfissiante, una manovra avvolgente con tali e tanti inserimenti da ogni dove da far perdere l’orientamento difensivo agli avversari. A questo si aggiunge una tecnica individuale straordinaria e giocatori come Iniesta, Xavi e Messi che non hanno eguali in altre compagini.
E’ possibile dunque giocare come il Barcellona senza essere il Barcellona? Non sarebbe forse meglio far bene ciò che, per cultura calcistica, caratteristiche dei giocatori e del torneo, sappiamo fare meglio? In queste indicazioni prevenute dalla prima giornata, ovviamente sommarie e comunque suscettibili di cambiamenti rapidi, le più importanti sembrano però provenire da Inter e Roma, dove i due laboratori aperti sembrano denunciare lacune non secondarie.
Per quanto riguarda l’Inter, va detto che da undici anni non perdeva alla prima di campionato. Gasperini ha mandato in campo una squadra che prevedeva di lasciare in panchina Snejider, e già questo dice abbastanza. Una squadra schizofrenica, perché votata all’attacco ma con terzini cui si chiede di attaccare e punte cui si chiede di difendere non si va lontano. Se poi si aggiunge che far giocare a tre una difesa che non ha certo nella velocità la caratteristica principale significa invitare gli avversari al contropiede micidiale, allora davvero ci si candida fortemente alle figuracce. E seppure l’arbitro Brighi ha graziato due volte il Palermo, negando altri due rigori ai nerazzurri, i rosanero avebbero potuto segnarne almeno altri due, vista la disattenzione difensiva.
Insomma, o Gasperini non è un buon maestro, o i giocatori sono allievi scarsi. Fatto sta che in due mesi l’Inter ha perso identità di gioco e sicurezza psicologica. Sarà bene non fallire la prossima di Champions per il tecnico piemontese, perché è già stato redarguito da Moratti (che gli ha detto a chiare lettere di prepararsi a cambiare modulo se i risultati non arrivano) che medita solo quanto tempo ancora assegnargli.
La Roma di Luis Enrique ha in qualche modo problemi di natura simili, aggravati dal fatto che non dispone dell’intelaiatura complessiva dell’Inter. Il tourbillon di punte è stato inutile, perché a venti minuti dalla fine, quando si è sotto di un gol, proprio in virtù del numero di attaccanti in campo si smette il tic-toc con la palla bassa e lenta e si cercano profondità e verticalizzazioni, cross dalle fasce e penetrazioni centrali. Che senso ha continuare a tenere il bandolo del gioco se tanto non si arriva mai in porta? L’esclusione dall’Europa ha già messo in discussione le scelte del tecnico spagnolo ed eventuali ulteriori risultati negativi potrebbero aprire la strada ad un ripensamento generale sulla scelta di affidargli la squadra. Baldini arriva a Gennaio, ma se i risultati non arrivano prima, sarà difficile che Luis Enrique possa resistere fino a quel punto.
Una Lazio battagliera e per nulla in deferenza sul campo del Milan campione d’Italia permette di dire che quando Reja troverà il modo di sostenere il centrocampo, evitando di lasciare ai soli Ledesma e Brocchi il compito di rompere e costruire, la Lazio potrà davvero giocarsela con chiunque. L’estrema efficacia in zona gol di Cissè e Klose, se supportata dal centrocampo, può effettivamente determinare una qualità complessiva notevole.
Il Milan, che ha strategicamente lasciato riposare alcuni dei suoi big in vista dell’appuntamento di domani sera con il mitico Barca, non ha comunque risparmiato agli osservatori alcune perplessità. Prime tra tutte quelle legate allo stato di forma della sua difesa, Nesta su tutti. La seconda è la cifra complessiva del gioco, che è sembrato in involuzione rispetto allo scorso anno. Del resto, rinunciare a Pirlo e non sostituirlo, scegliendo la via muscolare alla vittoria, è una medaglia che presenta due facce. Si vedrà se Allegri saprà indicare per gennaio l’acquisto di un elemento che offra un’alternativa tecnica ai muscoli del centrocampo.
Il Napoli di Mazzarri ha esordito con grande piglio e offrendo spettacolo. L’intelaiatura della squadra, già notevole, si è quest’anno ulteriormente arricchita e l’unica incognita par essere quella legata alle energie da spendere in Champions, non avendo una panchina di particolare qualità. Ma se il tecnico saprà motivare la squadra come l’anno scorso, i partenopei risultaranno una piacevole conferma.
La Juventus di Conte ha esordito nel modo migliore. Il tecnico di scuola juventina sa quello che vuole e sa imporlo con pochi fronzoli, scegliendo panchinari e protagonisti senza andare tanto per il sottile. Aver acquistato Pirlo è stato il punto di svolta e la sua prestazione contro il Parma l’ha evidenziato. Ma va anche detto che la libertà della quale il regista bresciano ha goduto difficilmente verrà replicata nelle prossime partite. Ciò non toglie che i bianconeri hanno notevoli margini di crescita e sembra difficile che ripetano le tristi stagioni appena passate.
Buona la prima anche per Fiorentina e Udinese, la prima vittoriosa sul Bologna e l’altra sul Lecce. D’accordo, non stiamo parlando di avversari irresistibili, ma le due squadre confermano, ben oltre le ispaniche mode, di saper giocare per vincere pur non avendo fuoriclasse. Il tesoro, in questo caso, sta in panchina.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
Uno strano calciomercato, privo di grandi colpi e denso d’incognite, si è finalmente concluso. Il saldo per il calcio italiano non è certo positivo se ci si riferisce alla qualità. Alcuni tra i fuoriclasse che lo scorso anno calcavano i (disastrati) campi italiani se ne sono andati: Eto’o, Sanchez e Pastore sono stati venduti in nome del pareggio di bilancio o dell’affare irrinunciabile. Gli arrivi non sono all’altezza delle partenze: il solo Forlan è giocatore di rilievo internazionale assoluto, ma la sua età pesa sul piano strategico dell’operazione e, comunque, difficile possa sostituire l’efficacia assassina del camerunense.
Che, va detto, è diventato il giocatore più pagato al mondo, con uno stipendio lordo che si aggira sui venti milioni di euro l’anno. La partenza di Eto’o indica la nuova frontiera dell’Est, o meglio, dei petrolieri e faccendieri che, insieme agli sceicchi del Golfo, si sono impadroniti del mercato energetico globale. Gran Bretagna, Francia e Russia sembrano i mercati calcistici più accessibili dei Paperoni, la leva fiscale decisamente più vantaggiosa rispetto a quella italiana contribuisce non poco agli improvvisi amori. E se per riciclare denaro non c’è niente di meglio che muoverne tanto e in fretta, il calcio è l’habitat naturale.
Il fascino ridotto del campionato italiano comincia da qui: dall’impossibilità di competere con Spagna e Inghilterra (cui si aggiunge da ora anche la Russia) sul piano degli emolumenti. Non è questione di gioco o di blasone, ma di vil denaro. Il Fair play finanziario, che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo anno, colpirà relativamente le finanze dei club acquistati dai nuovi marajà che scrivono in cirillico assegni di milioni di euro, mentre tutt’altro discorso varrà per le squadre italiane, che non a caso hanno dato vita ad un calciomercato low cost. L’obiettivo delle major italiane, infatti, è stato quello di provare a ripartire senza azzerare ma cominciando a programmare il futuro su basi economicamente meno impegnative. Nel resto d'Europa i conti sono molto peggiori: Manchester United e Barcellona, per dire delle migliori, sono letteralmente affogate dai debiti. Che li ripianino o no é da vedere, ma intanto si registra che anche nel calcio, come in quasi tutto, non é la bravura che fa guadagnare, ma il denaro che rende bravi.
Le cifre dei movimenti dell’Ata hotel di Milano raccontano meglio di qualunque parola il nuovo mercato calcistico delle squadre italiane. Duecentocinquanta giocatori trattati dei quali 130 stranieri. Non si può decisamente dire che i vivai italiani siano stati valorizzati. Il motivo è duplice: da un lato sono rari i giovani di talento puro e contemporanea personalità da poter essere impiegati subito in campionato, viste anche le isteriche attese di ogni tifoseria. Dall’altro va detto che acquistare all’estero conviene economicamente, soprattutto perché sia il mercato degli svincolati (o rapidamente svincolabili) è decisamente più fornito, sia perché i costi sono obiettivamente più accessibili. Sul piano tecnico, il campionato che verrà presenta poche certezze e molte incognite.
Il Milan, che ha speso pochissimo, resta la squadra tecnicamente più forte per questo torneo. Le certezze della scorsa stagione sono state corroborate da innesti di discreta qualità: l’addio di Pirlo è stato compensato dall’arrivo di Aquilani e Nocerino, che non sono giocatori simili al regista bresciano e rafforzano l’idea di una squadra che aggiunge fisicità al reparto centrale ma rinuncia alla fantasia, avendone già tanta in attacco. Mexes in difesa non è una sicurezza ma nemmeno una fregatura. Resta una squadra con un’età eccessiva, ma in Italia avrà Ibra che continuerà a fare la differenza. In Europa, invece, sarà dura: Barcellona, Manchester United, Real Madrid e Chelsea sono di ben altro livello.
La Juventus ha toccato la soglia dei 400 milioni di euro e ventiquattro giocatori acquistati da quando Marotta è diventato il Direttore Generale, oltre che ad uno stuolo di allenatori. Una cifra pazzesca, soprattutto considerando che, tranne Pirlo e Vucinic, nessun giocatore arrivato potrebbe trovar posto nell’album dei campioni della Vecchia Signora. Vidal è un buon acquisto se lo si saprà gestire, Lichtsteiner è rodato ma la scommessa sarà il rendimento di Elia e Estigarribia. Le partenze di Felipe Melo, Sissoko e Martinez erano il minimo sindacale dovuto, ma le zavorre di Iaquinta, Amauri e Toni restano. Il colmo è stato offerto dalla vicenda Ziegler, unico giocatore che, appena acquistato, si è cercato di vendere. La chiarezza delle scelte appare dubbi e l’Agnellino che si fa ritrarre con Giaccherini indica come il giovin signore abbia decisamente appetiti inferiori a quelli dell’Avvocato. Conte è un buon allenatore e conosce l’ambiente. Ha il rispetto dei giocatori e la fiducia dei tifosi. Avrà bisogno di molto tempo e poche polemiche, ma saprà far bene. La sensazione è che la Juventus sia una squadra in grado di fare un buon campionato, ma non certo di puntare al titolo.
Il Napoli ha pescato bene, ma l’entusiasmo intorno agli azzurri sembra eccessivo. Inler è un ottimo giocatore, come Pandev, ma nessuno dei due fa la differenza in campo, nel senso che sono giocatori che aiutano la squadra a girare ma raramente cambiano partite e risultati. Oltre a questo, l’impegno europeo non sarà tenero, tutt’altro. Ad ogni modo i partenopei sono una squadra completa, solida e con una buona dose di tecnica calcistica. Ripetersi è sempre molto difficile, ma se Mazzarri saprà riconfermare la concentrazione e l’impegno della scorsa stagione, in Italia potranno comunque recitare un ruolo da protagonisti lottando per le prime tre posizioni.
L’Inter è una delle squadre che ha agito meglio sul mercato ma, al contempo, una delle grandi incognite. Il bilancio è decisamente a saldo positivo, ma la partenza di Eto’o le toglie una bocca di fuoco impressionante (37 gol lo scorso anno e la firma sui tre trofei vinti) e non è detto che potrà compensarli con l’arrivo di Forlan e Zarate. Il recupero di Milito e l’ulteriore crescita di Pazzini, però, insieme all'uruguayano e all'argentino, potrebbero rivelarsi sufficienti a non far rimpiangere troppo il camerunense. L’aspetto positivo è rappresentato dal mercato di prospettiva: Alvarez e Jonhatan, Poli e Kuchka, dopo Ranocchia, Coutinho e Castaignos e la conferma di Obi e Nagatomo (e occhio al baby Tassi), sembrano indirizzare la società nerazzurra verso una sostanziale rivoluzione verde, che vedrà i frutti il prossimo anno, quando la vecchia guardia abbandonerà progressivamente la nave. L’incognita maggiore però, per quest’anno, risiede nell’allenatore: nuovo e non abituato a simili piazze, dovrà rapidamente convincersi che i moduli si disegnano sui giocatori e non il contrario, altrimenti la rivoluzione verde la guiderà qualcun altro. I nerazzurri restano comunque l’unica compagine in grado di mettere in discussione il dominio del Milan, mentre appaiono nettamente inferiori alle altre big europee.
La Roma è la seconda incognita del torneo. Si è mossa molto sul mercato, nonostante alla vigilia si temesse un ridimensionamento economico. Ha molto acquistato e poco venduto, ma è difficile capire alcune scelte, prima tra tutte quelle di vendere Vucinic a 12 milioni per comprare Osvaldo a 18. Via Menez e Riise, Julio Sergio e Brighi, mai convincenti. Gli acquisti di Stekelemburg, Heinze e Krijaer rafforzano il reparto arretrato e Gago offre solidità a centrocampo, mentre Pjanic e Lamela sono due grandi investimenti per il futurom (e forse anche per il presente). Aver tenuto Borriello è stato un bene, ma otto attaccanti rischiano di generare problemi di spogliatoio infiniti, a maggior ragione non dovendo giocare in Europa. A questo proposito va detto che l’impatto di Luis Enrique non è stato dei migliori ed è proprio il tecnico a rappresentare l’incognita maggiore. Ma la Roma ha comunque dato il via all’operazione rinascita: il primo segnale è stato quello di ribadire ruoli e gerarchie. Totti gioca e non dirige e De Rossi se vuole accetta il nuovo ingaggio, altrimenti può andare. Una rivoluzione che dovrà essere consacrata sul campo, ma di rivoluzione si tratta. Può rappresentare la sorpresa autentica del torneo.
La Lazio ha svolto un buon mercato fino a due ore prima della sua fine. La cessione in prestito con diritto di riscatto di Zarate all’Inter, resasi necessaria causa guerre interne contro l’argentino da parte di Reja e di alcuni big dello spogliatoio, ha reso l’operazione inevitabile ma ha certamente privato i biancoazzurri di fantasia e imprevedibilità. La cessione di Muslera potrebbe rivelarsi indolore, visto che Marchetti offre garanzie e dunque il saldo economico sarebbe positivo. Ma Lichtsteiner verrà rimpianto (anche se Konko non è male) e aver ceduto anche Floccari e Foggia oltre a Zarate priva la squadra di alternative all’altezza in avanti. Gli acquisti di Cissè e Klose sono stati certamente due buoni affari (qualche dubbio su Klose, che rischia di svernare come fece Cruz). La sensazione è che da un punto di vista del gioco la Lazio sia una buona squadra ma prevedibile; un centrocampo risicato con un attacco troppo affollato avranno invece bisogno di una panchina intelligente, flessibile e fantasiosa. Sul fatto che queste possano essere caratteristiche di Reja qualche dubbio c’é.
Udinese e Palermo hanno svolto un mercato simile, basato esclusivamente sulla cassa. A Udine le cessioni di Sanchez (il cui prezzo non è ancora chiaro), Inler e Zapata hanno fortemente indebolito la squadra di Guidolin, non essendo state compensate da acquisti di livello e non è detto che la famiglia Pozzo peschi ogni anno il coniglio dal cilindro. Già fuori dall’Europa, è difficile immaginarla di nuovo protagonista come lo scorso campionato; al massimo si può ambire a un piazzamento tra le prime sei-sette.
Il Palermo, invece, ha fatto un mercato di saldi modello chiusura attività. Nella smania di autocelebrazione del nevrotico Zamparini sono finiti Pastore, Sirigu, Nocerino, Bovo, Cassani e un altro vagone di giocatori meno noti. Gli acquisti, tranne Aguirregaray (che è un buon terzino) e Silvestre, sono da lotta per non retrocedere. Se poi si voleva l’ultimo record del presidente, è arrivato puntuale. Esonerato Pioli prima ancora che il campionato iniziasse. Al suo posto Mangia, allenatore della Primavera. Nessuno della prima fascia, del resto, s’infilerebbe nel forno di Zamparini. Una squadra modesta e un presidente incapace e collerico sono un mix da evitare per tutti. Sarà già tanto se i rosanero troveranno un posto in classifica tra le prime 10. Che la giostra cominci.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
di Fabrizio Casari
Le accuse del Procuratore sportivo Palazzi all’ex-Presidente dell’Inter Giacinto Facchetti, appaiono, in forma e sostanza, gravemente condizionate da approssimazione e preconcetto. L’impianto accusatorio della relazione è fortemente sbilanciato e dallo stesso alcuni desumono che il Procuratore sportivo ritiene le ipotesi di colpa di Facchetti pari o quasi a quelle di Moggi. Se così fosse sarebbe un infortunio grave che allungherebbe ombre cupe sull’onestà di giudizio di Palazzi. Sarebbe infatti semplice pubblicare simultaneamente le telefonate intercorse tra Facchetti e Bergamo da una parte e quelle tra Moggi e Bergamo dall’altra per rendersi conto di quanto siano scarsamente associabili e completamente diverse negli obiettivi. Chiunque capirebbe la differenza.
Il fatto che le opinioni di Palazzi siano solo quelle dell’accusa andrebbe ricordato sempre: non solo perché dovuto nella descrizione di ogni vicenda processuale, ma proprio perché si deve ricordare la lunga lista di accuse che Palazzi distribuisce e che non vengono confermate dai tribunali. La fase dibattimentale e il giudizio terzo del giudice producono infatti sempre sentenze diverse da quelle richieste dalle accuse di Palazzi. Ultima quella sul caso Pandev.
Certo è strano che il giudizio complessivo della relazione indichi Facchetti quale responsabile di violazione degli articoli 1 e 6 del regolamento. Nelle numerose pagine dedicate alle telefonate intercorse tra Facchetti e i designatori, infatti, non è possibile rilevare altro che un generico quanto inefficace, pur ripetuto, tentativo di ottenere arbitri adeguati alla delicatezza degli incontri che attendevano i nerazzurri. L’intento che traspare era quello di proteggere l’Inter da designazioni arbitrali che, come successivamente appurato, erano tese a favorire il clan di Moggi.
Si dovrebbero rileggere attentamente le intercettazioni delle telefonate tra Facchetti e Bergamo e, ove si fosse provvisti di senso logico, si capirebbe facilmente come le richieste del dirigente interista siano per avere “il migliore” (chiede espressamente Collina) e per non avere, invece, quelli come Bertini o altri che contro l’Inter avevano precedentemente arbitrato con evidenti atteggiamenti punitivi. In sostanza, pur potendo eccepire sulle modalità, si tratta di richieste che possono essere configurate come tentativi di ricusazione di alcuni arbitri da un lato e richiesta di partecipazione di quelli meno ricattabili e meno sospetti di legami con il clan di Moggi e Giraudo dall’altro.
Per essere precisi si può citare una conversazione del Maggio 2005, nella quale Bergamo propone di affidare la gara all’arbitro Bertini (di cui Facchetti si era lamentato per via di diverse decisioni sbagliate e sempre a danno dell’Inter); Bergamo si offre d’istruire a dovere Bertini per un arbitraggio che finisca con la vittoria dell’Inter e Facchetti risponde invece di volere un arbitraggio giusto. Non certo contenuti e toni da assimilare alle altre miriadi di telefonate che i designatori avevano con Moggi. Su questo non è possibile equivocare, se non in malafede.
E’ bene comunque ricordare che all’epoca dei fatti non era proibito (come invece lo è oggi) parlare con i designatori. Lo facevano tutti, e molti tra questi perseguivano l’obiettivo di difendere le proprie squadre dagli assalti della cupola che intendeva determinare non solo le vittorie della Juventus, ma anche il resto del campionato. Ma un conto è parlare e un altro è tramare; un conto è chiedere garanzie di qualità nell’arbitro, un altro è dare ordini ai designatori.
Facchetti, infatti, chiedeva tutela dalla malafede e dall’incapacità già dimostrata da parte di alcuni fischietti verso i nerazzurri, e lo faceva sapendo bene con chi e di cosa stesse parlando, viste le informazioni che aveva avuto da un ex-arbitro (Nucini) su come funzionasse il sistema. Ma, a differenza di Moggi, Facchetti non organizzava le griglie con Bergamo e Pairetto, non decideva chi punire e chi promuovere tra i fischietti, non distribuiva le sim-card estere per parlare con arbitri e designatori senza essere intercettati, non ordinava risultati a la carte. Mettere quindi sullo stesso piano la condotta di Moggi e del suo clan con quella di Facchetti è improponibile dal punto di vista della ricostruzione oggettiva della vicenda e pessimo dal punto di vista “politico”.
Che le accuse di Palazzi diventino tout-court sentenze su alcuni giornali sportivi è parte di un’altra faccenda. Essi, infatti, oltre ad avere nei tifosi juventini un bacino importante di lettori, appartengono ai gruppi editoriali che fanno capo, indirettamente o direttamente, alla Fiat e alla Fininvest, cioè le società proprietarie - direttamente o tramite controllate - di Juventus e Milan, già condannate proprio per Calciopoli. Addirittura scatenati, in preda a crisi isteriche, i giornalisti vicini a Moggi, che oggi inneggiano invece alla relazione di Palazzi come fosse la sentenza di un tribunale. Per conto dell'ex dg juventino furono ventriloqui fin troppo attivi e per questo sanzionati dall’Ordine dei Giornalisti. Imperversano ormai solo nelle radio private che con alcuni dei condannati hanno particolare familiarità.
L’intento di dimostrare che l’agire era comune a tutti serve in primis alle loro vendette personali, giacchè la fine di Moggi ha comportato la loro entrata nel cono d’ombra. Ma, soprattutto, si vuole smontare l’idea che l’Inter fosse diversa dalle altre: non lo scudetto del 2006, ma lo “scudetto degli onesti” è quello che proprio non sopportano. Ovviamente, poi, da parte di costoro non viene citata la parte della relazione di Palazzi dove si confermano per Moggi e soci le accuse di essere “un vero e proprio sistema organizzato” destinato a favorire sul campo e fuori dal campo le vittorie alla Juventus.
La richiesta, subdola, che viene da più commentatori, è che l’Inter rinunci di sua iniziativa allo scudetto del 2006. Non costerebbe niente rinunciarvi, non fosse altro che questo sarebbe come ammettere che le accuse di Palazzi sono giuste. Questo sì che offrirebbe alle ineffabili penne “neutrali” la stura per poter chiudere il cerchio con una sentenza di colpevolezza generale che metta tutti sullo stesso piano. Moggi come Facchetti, Meani come della Valle, Lotito come Foti e via amalgamando ingredienti, vicende, persone e fatti che non hanno nessun elemento comune.
Pur nella lettura generale che vede comportamenti illeciti, tra chi altera la regolarità dei tornei e chi cerca di difendersi da ciò è difficile riscontrare elementi di verosimiglianza negli scopi e nel conseguente agire. Va detto, peraltro, che è lo stesso Palazzi a chiedere l’archiviazione della richiesta juventina relativa alla non assegnazione dello scudetto 2006, perché gli eventuali illeciti dell’Inter sono comunque prescritti.
Ed ecco allora che un’altra richiesta viene fatta all’Inter: quella di rinunciare alla prescrizione ed andare a processo. Palazzi lo propone a mo’ di sfida, spogliandosi così platealmente dal ruolo istituzionale per assumere le vesti autentiche. Peccato che l’eventuale imputato sia deceduto e, dunque, non si capisce chi dovrebbe essere a rinunciare alla prescrizione, dal momento che le accuse sono rivolte direttamente a Facchetti e non a Moratti, peraltro non tesserato all’epoca.
Si vorrebbe un processo mediatico, sostenuto dai giornali e dalle tv amiche che vedrebbe l’Inter sola contro tutto e tutti. Ma come mai la stessa richiesta - quella cioè di non avvalersi della prescrizione di fronte ad accuse d’illecito sportivo - non venne mai indirizzata alla Juventus in occasione del processo per doping? La Juventus, infatti, accusata dal procuratore Guariniello, evidentemente certa della sua colpevolezza, si guardò bene dal rinunciare alla prescrizione. E dunque fa bene Moratti ad avvertire sulle sicure azioni dell’Inter a tutela della sua immagine e dei danni verso chi è tentato dal ribaltone dei fatti.
Per carità, l’Italia è il Paese dove i ladri si mettono a fare politica e i politici si danno da fare per le loro aziende; dove i giudici vengono confusi con gli imputati e dove i repubblichini vengono messi sullo stesso piano dei partigiani. E' il Paese dove la verità paga dazio ai potenti, da sempre. L'importante, però, é che la verità non vada persa nel regno dell'indistinto. Gigi Riva, il più grande dei bomber azzurri, ha detto: “Tutti quelli che oggi parlano su Giacinto farebbero meglio a stare zitti: lui era pulito. Facchetti era una persona semplice, pulita, onesta, il nostro angelo. Ora provo una grande rabbia”. Moggi, per quanto possa dolere alle sue numerose vedove, variamente parcheggiate nei giornali, nelle radio e nelle Tv, resterà sempre l’emblema del gioco sporco, della corruzione e della slealtà sportiva, così come Facchetti verrà ricordato sempre come un gentiluomo dello sport. Ingenuo, forse, ma onesto.