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di Fabrizio Casari
La vittoria in zona Cesarini della Juventus sulla Lazio porta i bianconeri a meno sei dal Milan capolista e assegna alla squadra di Del Neri il ruolo dell’anti-Milan. Provvisorio o definitivo è presto per dirlo, ma i bianconeri, dopo una bella partita nel primo tempo e noiosa nella ripresa, raccolgono ora, con il gol di Krazic al 94°, un testimone che vale ben di più che i tre punti.
Il pareggio sarebbe stato il risultato più giusto tra due squadre che sono sembrate di uguale valore, Gli uomini di Reja pensavano già di aver portato via un buon punto da Torino e forse la mezza papera di Muslera è anche figlia di una scarsa concentrazione, mentre il gol del serbo juventino lo è certamente della fortuna. Ma tant’é. Roma, Napoli e Milan e ora Juventus sono le squadre che hanno guadagnato le vittorie a tempo ormai scaduto, confermando quanto sosteneva il vecchio Boskov: “Partita finisce quando arbitro fischia”.
Un pacchetto di mischia, quello alle spalle della squadra di Allegri, che dimostra un qualche segno d’incertezza in un campionato che più scontato non si poteva immaginare e che, domenica dopo domenica, prosegue senza scossoni e senza particolari emozioni. La classifica, quindi, è quanto di più simile alle proiezioni e ai pronostici che si potevano ipotizzare.
Il Milan, vittorioso contro il Bologna, si trova in vetta con 36 punti, seguono Juventus Lazio e Napoli con 30, il Palermo e la Roma con 26 punti. Poi segue l’intendenza: L’Inter, la Sampdoria e l’Udinese ne hanno 23, il Genoa 21, il Cagliari 20 come il Chievo, la Fiorentina e il Bologna 19, Catania e Parma 18, Brescia e Lecce 15, Cesena 12, Bari 10. L'Inter, impegnata al Mondiale per club, non ha giocato col Cesena. Il match a San Siro sarà recuperato il 19 gennaio 2011. Ma non avrebbe avuto comunque la possibilità di modificare il disegno della parte alta della classifica.
Il Milan travolge il Bologna al Dall’Ara con i gol di Boateng. Robinho e Ibrahimovic e l’errore dal dischetto di Di Vaio certo non aiuta i rossoblu, già di per sé stessi inguaiati dal default finanziario della proprietà. L’attaccante svedese mette il piedone in tutte le azioni da gol e viene confermato il teorema solito: più che Milan è Ibramilan.
Vero è che Ibra da diversi anni, prima con l’Inter, ora con il Milan, ha sempre trascinato alla vittoria in campionato le sue squadre. Solo lo scorso anno, con il Barcellona, l’importante del bomber dalle mille maglie e dagli amori eterni che durano poco, non ha avuto un ruolo importante: nel Barca, infatti, nessuno ha pensato di costruire il gioco per fare segnare lui e lo stesso suo tasso tecnico, pur rilevantissimo, non era certo il maggiore: Messi, Xavi e Iniesta sono decisamente di un'altro pianeta. Ma in Italia è diverso:Ibrahimovic è decisivo e averlo o no fa la differenza tra vincere il campionato o no.
Dunque il Milan - almeno in questo periodo - non pare possa essere superato. Si tratterà solo di vedere quanto durerà il periodo. E, a proposito di periodi, anche quello della Roma sembra volgere in positivo, persino oltre i meriti dei giallorossi. Perché Ranieri avrà anche la pazienza in riserva quando chiede ai media maggior rispetto per la Roma, ma sarebbe importante ricordare che i media ingigantiscono spesso, colorano sempre, ma inventano raramente.
Se lo spogliatoio della Roma appare nervoso, inutile dare la colpa a chi lo racconta; meglio sarebbe punire chi non controlla i nervi. Sul campo, dove invece andrebbe canalizzata l’energia accumulata, alla Roma manca sempre la capacità di affondare il colpo definitivo e supera il Bari, ultimo in classifica e ampiamente rimaneggiato, solo grazie ad un gol in fuorigioco di Juan. Certo, la decisione di annullare il gol di Borriello per un presunto fallo di mano appare discutibile, ma anche quella di lasciare in campo Brighi (che andava espulso) risulta penalizzante per il Bari.
Annotazione di fine serata. Dopo il Bologna, anche il Catanzaro (in C2) si trova sull’orlo dell’abisso finanziario. I giocatori non percepiscono lo stipendio da mesi (e non è certo lo stipendio dei loro colleghi di serie A). Diritti televisivi, sponsor, finanziamenti vari, non riescono nemmeno – o soprattutto - a smentire la più provata delle verità: dirsi imprenditori e saper intraprendere sono ormai aspetti dicotomici. Se non c’è Pantalone, pagano quelli con i pantaloncini.
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di Fabrizio Casari
C’era una volta il pallone d’oro. Organizzato dalla rivista francese France Football e assegnato da una giuria di giornalisti sportivi, era destinato a premiare i calciatori migliori europei ovunque giocassero. Tra questi, il premio andava a chi, nell’anno in corso, si era distinto per importanti vittorie o prestazioni decisive ai fini delle stesse. Un trofeo prestigioso per chi lo vinceva, certo, ma anche per chi veniva a trovarsi sul podio dei primi tre. Persino chi, pur non riuscendo ad arrivare alla vetta, era comunque tra i 23 nominati nella platea dei concorrenti, trovava motivo non banale di soddisfazione.
Intendiamoci, non sempre tutto filava liscio, dal momento che notori bidoni si erano trasformati in stelle di prima grandezza grazie a qualche voto di qualche compiacente giornalista-giurato che, preferiamo pensare disinteressatamente, capiva poco di calcio ma molto di nazionalità. D’altra parte, a ben vedere, anche i meno dotati sul campo dispongono di qualcuno capace in area manageriale e comunicativa; di quelli insomma che sanno fare il loro mestiere, che capiscono perfettamente come si costruiscono carriere, ingaggi e percentuali sui cartellini dei giocatori.
Ora la giuria del premio, che verrà consegnato a Zurigo il prossimo 10 Dicembre, è stata allargata alla FIFA, la bizzarra organizzazione del calcio internazionale gestita da malaffare e incompetenza e, per questo, diretta dall’uomo giusto al posto giusto: Blatter. Ma ad ogni modo, pur inquinato dalla cricca di Blatter, il premio avrebbe dovuto mantenere il presupposto iniziale, cioè le vittorie - per numero e importanza - e il ruolo giocato dai premiati nel favorirle.
Ma leggendo la lista dei premiati dell’edizione di quest’anno, così come anticipata dalla Gazzetta dello sport, si scopre che qualcosa non quadra. Se l'indiscrezione del giornale sportivo venisse confermata (e la Gazza difficilmente sbaglia su questo) sarebbe davvero un assurdo. Come tutte le cose che tocca Blatter, un classico esempio di re Mida alla rovescia, perdono di ogni credibilità. Il Pallone d’oro del 2010 sembra essere infatti, in barba a quanto successo, una competizione spagnola destinata al calcio spagnolo.
Chi sale sul podio, infatti? Iniesta, Xavi e Messi, i tre gioielli del Barcellona di Guardiola. Che però è stata eliminata dall’Inter in Champions. Ma dev’essere un dato secondario. Succede, infatti che l’Inter, la squadra cioè che ha vinto il proprio campionato, la propria Coppa e Supercoppa di Lega e la Champions League (cioè la Coppa più importante della galassia calcistica internazionale) e che si appresta a disputare le finali del Mondiale per club, non vede nessuno dei suoi protagonisti premiato. Né giocatori, né allenatore. Il Triplete, che l’anno prima, realizzato dal Barcellona, aveva entusiasmato il mondo, l’anno successivo, vinto dall’Inter, non ha più valore.
Lo scandalo contro la squadra nerazzurra è cominciato con l'esclusione di Diego Milito, cioè colui che ha segnato nelle finali di tre competizioni su quattro, nemmeno previsto però nella lista ampia dei 23 competitori al premio. E’ poi proseguito con Snejider, l’olandese che ha ispirato il gioco dell’Inter del Triplete e che ha contribuito enormemente a portare l’Olanda alla finale del mondiale, vincendone addirittura la classifica marcatori: anche lui escluso dal podio.
Infine, a completare l’assurdo, Josè Mourinho, che ha guidato l’Inter del Triplete e che è fuor di dubbio allenatore tra i più vincenti al mondo, che si vede superato da Vicente Del Bosque, allenatore della Spagna campione del mondo per nazioni.
France Football e FIFA hanno deliberatamente snobbato l’Inter e, con essa, il calcio italiano. Sembra quasi che Mourinho debba pagare i demeriti di Lippi e che invece Del Bosque debba recuperare i demeriti di Guardiola. Ovviamente, nessuno nega i meriti di Del Bosque, che pure ha vinto grazie ad un sistema di gioco non suo però, ma proprio di Guardiola, avendo schierato al mondiale tre quarti di Barcellona con un quarto di Real Madrid.
Bisogna però che siano chiariti i criteri con cui i riconoscimenti si elargiscono: o ciò che conta è il Mondiale per nazioni, oppure sono le competizioni nazionali, europee e sudamericane a risultare determinanti per l’assegnazione del premio. Se ciò che conta è il Mondiale, allora tanto vale istituire il premio ogni 4 anni. E, sempre se ciò che conta è il Mondiale, allora non si capisce cosa faccia Messi sul podio di quest’anno. La stella argentina ha giocato un pessimo Mondiale, che infatti non ha vinto. Snejider e Furlan hanno in cambio disputato un super Mondiale, da protagonisti assoluti, portando oltre ogni pronostico le loro nazionali a suon di gol. Ma sul podio non ci sono.
Se invece contano Coppe europee e campionati nazionali - e quindi, a maggior ragione, chi realizza il Triplete - allora allenatore e giocatori migliori dell’Inter avrebbero dovuto essere i premiati, non quelli del Barcellona. Sul podio, poi, avrebbe dovuto trovare posto per l’appunto Diego Furlan, che ha fatto vincere all’Atletico Madrid sia l’Europa League che la Supercoppa europea, oltre a giocare un Mondiale straordinario con l’Uruguay. Ma nemmeno Furlan è sul podio.
Se poi, diversamente da quanto previsto, si premia la bravura in assoluto, conviene assegnare il Pallone d’oro al fantasista argentino (che l’ha già vinto) per meriti a prescindere, come direbbe Totò. Ma anche qui, se il premio si riferisce alle prestazioni dell’anno in corso, Messi non doveva salire sul podio di questa edizione.
L’impressione è che il combinato disposto di Blatter e dei giornalisti francesi abbia scelto su basi diverse da quelle dei risultati sul campo, utilizzando criteri e norme private a sostegno della più assoluta arbitrarietà. Che toglie però, definitivamente, ogni residua patina di decenza sia al premio che all’istituzione. Quasi quasi a non esserci, parafrasando Moretti, si viene notati più che ad esserci.
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di Fabrizio Casari
Ormai si gioca senza interruzioni: dal venerdì al lunedì il campionato, il martedì e mercoledì la Champions e il giovedì l’Europa League. Non se ne può più, si rischia l’overdose. Cominciamo comunque da venerdì scorso. La caduta rovinosa dell’Inter contro la Lazio ha aperto una giornata di campionato che, chiusasi, si è rivelata avara di sorprese e ricca invece di risultati che apparivano scontati alla vigilia. Che il Milan strapazzasse il Brescia e che la Roma non riuscisse a passare contro il Chievo, o che la Fiorentina con il ritrovato Mutu riuscisse a battere il Cagliari e che il Genoa potesse aver ragione del disastrato Bari, erano risultati più che probabili. E la vittoria della Juve sul campo del Catania semplicemente sottolinea il quadro, anche se al Massimino tutti avevano pagato prezzo fino ad oggi.
Desta stupore e polemiche il pareggio della Roma a Verona, ma a ben vedere non si capisce il perché. Il Chievo è una squadra affatto disprezzabile, che ha battuto Inter e Napoli: sul suo campo nessuno si è mai divertito. Le polemiche nell’ambiente romanista hanno riguardato il campo e le scelte di Ranieri. Per quanto riguarda il campo, tutti e 22 ci giocavano e, fino a tutto il primo tempo, la Roma vinceva per due a zero, quindi sarebbe bene non polemizzare. Riguardo alle scelte di Ranieri, non sono poi così incomprensibili: fra tre giorni la Roma dovrà disputare una sfida di Champions League che dovrà vincere a tutti i costi, pena l’esclusione dalla competizione. Affrontare il Cluj con Totti e Borriello riposati è dunque una necessità.
Il rischio che in un campo così mal messo potessero infortunarsi era troppo alto. Una scelta dunque, quella dell’allenatore giallorosso, comprensibilmente prudente: una mancata vittoria con il Chievo ha la possibilità di essere risolta nelle rimanenti partite di campionato, mentre una mancata vittoria con il Cluj significherebbe uscire dal torneo europeo; un’onta e una mancanza di denaro nelle casse del club, che rappresenterebbero una buona parte di fallimento della stagione, dopo la sconfitta in Supercoppa italiana.
Il Milan continua come nelle giornate precedenti: la capolista é Ibrahimovic più dettagli trascurabili. Hai voglia a mettere o no Pirlo, far giocare o no Ronaldinho. Fino a quando lo svedese giocherà bene, i rossoneri saranno in cima alla classifica. Non a caso ha vinto 7 campionati su otto giocati ed é diventato inutile solo dove si gioca al calcio per insegnare e mostrare calcio, cioé al Bracellona. Quando Ibra dovesse avere un calo di forma o un infortunio, il Milan si fermerà.
Nemmeno un inguaribile ottimista avrebbe scommesso sulla vittoria interista all’Olimpico. Il divario d’idee e uomini in campo e soprattutto psicologico tra Inter e Lazio, poteva solo avere l’entità del risultato come variabile, non l’esito della partita. Benitez ha certamente molte scusanti, prima tra tutte gli infortuni. All’Inter mancano sei titolari e il settimo è costretto a lasciare il terreno di gioco dopo mezz’ora. E sono titolari che, nei loro rispettivi ruoli, sono al top dei valori mondiali. Julio Cesar, Maicon, Samuel, Milito ed Eto’o sono i migliori (o tra i migliori) del mondo nei loro rispettivi ruoli. E se poi anche nei sostituti ce ne sono altri quattro in infermeria, cosa fare?
Eppure, le scusanti di Benitez finiscono qui, poi entrano in gioco le colpe. Perché comunque in campo c’erano giocatori complessivamente migliori di quelli della squadra di Reja, solo che assolutamente incapaci di produrre gioco e intensità agonistica sufficiente. E’ perfettamente inutile che l’allenatore spagnolo continui a evocare il passato quando si discute d’infortuni e appagamento psicologico e dimenticarlo invece quando si parla di risultati. Benitez ha in mano l’Inter da cinque mesi e il risultato è penoso.
Errori nella preparazione a parte, quella nerazzurra è una squadra senza idee, senza schemi, senza velocità e senza agonismo (proprio come il suo allenatore) e subisce il ritmo e l’aggressività, il gioco e i gol di qualunque squadra avversaria che sia appena di livello accettabile. Un’indiscrezione racconta della possibile esclusione di Snejider dal pallone d’oro, anzi addirittura dai primi 3 posti. Sarebbe abbastanza vergognoso visto che nemmeno Milito è stato inserito nella speciale classifica. Se vincere tutto non basta, chissà cosa si deve fare o quanto si deve contare per riuscirci..
Non era certo questa la missione dell’allenatore spagnolo, che ora può persino complicare ulteriormente la situazione, giacché anche in caso di vittoria in Champions con il Werder Brema (cosa non facile, vista l’attuale Inter) se il Thottenam batte il Twente l’Inter arriva seconda nel girone, con la certezza di trovare le squadre più blasonate d’Europa. E il Mondiale per club, per i tifosi dell’Inter, che fino a qualche mese fa sembrava dover essere l’ulteriore trionfo della squadra più forte della sua storia, sta pian piano assumendo i contorni di un evento da temere.
La Fiorentina comincia ad accumulare punti e vittorie e tra le mura di casa ormai non perde da diversi turni. Il lavoro di Sinisa Mihajlovic comincia a dare i suoi frutti. Vincono le genovesi: la Sampdoria, alla vigilia del collegio arbitrale su Cassano, trova in Pazzini chi la guida a sbaragliare il Bari e il Genoa ha in Toni e Ranocchia i killer del Lecce. Dopo aver messo paura all’Inter Crespo manda a casa l’Udinese. Il bomber argentino a 35 anni raggiunge quota 150 gol in Italia: non a caso il suo soprannome è “arma letale”. Sembra non volersi far condizionare dalle vicende societarie il Bologna, che vince due a zero il derby regionale con il Cesena. Se la presidenza del Bologna avesse anche solo la metà della serietà professionale di Di vaio, sotto le Torri riterebbe un’aria migliore.
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di Fabrizio Casari
Non sono certo mancate le emozioni in questo turno del campionato. La Roma è stata letteralmente affondata dal Palermo e stessa sorte l’ha subìta il Napoli, che è andato a sbattere contro l’Udinese di un Di Natale pazzesco. Risultato straordinario anche per l’Inter di Benitez, che senza Eto’o squalificato e Milito infortunato riscopre la vena di Stankovic e segna cinque gol ad un Parma comunque di buon livello e con un Crespo mai domo. Dall’inizio del torneo è la prima goleada di un’Inter sempre sparagnina in avanti. Il Milan conferma quanto già si è capito: se Ibrahimovic non segna, il Milan non vince.
Molti l’avevano data già per spacciata, fuori dalla corsa per il titolo, ma l’Inter ieri, è stata l’unica tra le grandi a guadagnare punti e ha dimostrato che il campionato è tutt’altro che segnato. Grazie quindi ad uno strepitoso Stankovic, la squadra di Benitez ha ridotto di due punti il distacco dal Milan e ha smosso in maniera decisa la classifica. Dunque, dopo il successo sul Twente, che gli ha permesso il passaggio automatico agli ottavi di Champions, l’Inter sembra aver ripreso la strada del successo anche in campionato, tornando a vincere al Meazza, dove da tempo collezionava risultati negativi.
Non che non abbia ballato, la beneamata, causa incertezze difensive di Materazzi; ma certo che la sua vecchia guardia - Stankovic e Cambiasso - cui si è aggiunta una rete del rientrante Thiago Motta (ottimo scorcio di gara), ha mandato un messaggio chiaro: il rientro di Thiago Motta, Cambiasso e Stankovic propone un centrocampo di ben altra pasta da quello visto nell’ultimo mese e mezzo. Per quanti errori tattici potrà commettere Benitez, il rientro graduale dei titolari infortunati (Julio Cesar, Milito e Maicon) consegnerà ben altra Inter al campionato, certamente in grado di dire la sua fino alla fine per il titolo.
Stupisce invece per le dimensioni la debacle della Roma alla Favorita. Il Palermo ha giocato un’ottima partita, superiore in ogni aspetto a quella della squadra di Ranieri, che ha perso un’ottima occasione per dare uno scossone alla classifica e sparigliare la cordata delle favorite al successo finale. Il Palermo ha atteso la Roma nella prima parte della gara, mentre il secondo tempo è stato un monologo rosanero con la Roma palesemente in bambola. Quello che si è visto sono state due diverse velocità nel gioco e due diversi approcci nell’interpretazione della partita. Ranieri era convinto che la gara contro il Palermo avrebbe declinato con nettezza la nuova fase positiva dei giallorossi, ribadita da uno splendido secondo tempo in Champions. Forse i giallorossi non hanno ancora le gambe e la tenuta atletica per sostenere due impegni importanti ravvicinati.
Non deve stupire invece il pari della Lazio a Roma, contro un Catania che sa come chiudere le fonti offensive del gioco dell’avversario. Ventisette punti in quattordici partite sono comunque un biglietto da visita di assoluto rispetto ma la partita che tra cinque giorni dovrà sostenere contro un Inter con la testa già al Mondiale per club, potrebbe rilanciarla o confermare un rallentamento. D’altra parte, diversamente da quanto fatto dal Catania, scesa in campo per portare via un punto, i nerazzurri verranno a Roma per vincere e la Lazio potrà quindi disputare una partita aperta che dirà qual’è il suo stato di forma.
Il Milan ringrazia, appunto, le cadute di Roma e Napoli e consolida il primato temporaneo in classifica. Ma la squadra di Allegri, che pure ha cercato in ogni modo di aver ragione di una Sampdoria dotata di carattere robusto, non ha dato la sensazione di avere un passo in più rispetto alle altre. Ancora una volta si conferma Ibrahimovic-dipendente, con tutto il bene e il male che ciò comporta. Se Ibrahimovic non segna il Milan è una compagine di buona qualità, ma largamente al di sotto delle ambizioni che un mercato faraonico ed elettorale avevano fatto intendere e, forse, inferiore per qualità complessiva di gioco a squadre che, per ora, lo inseguono.
Marrazzi ha rimproverato i suoi di scarsa tenuta psicologica, accusandoli di “perdere subito la testa”, ma un allenatore dovrebbe servire anche a questo (o soprattutto a questo). Dunque, solito copione: se il Napoli vince è merito di Mazzarri, se perde è colpa della squadra. La Juventus, invece, la testa non la perde e la fortuna nemmeno, visto che pareggia in zona Cesarini con una punizione di Pepe per fallo (dubbio) ai danni di Felipe Melo. Dov’è la novità?
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di Fabrizio Casari
Il campionato ha ripreso la sua fisionomia classica, com’era inevitabile. Le grandi vincono, mentre le squadre rivelazione, che nelle prime giornate avevano illuso circa una possibile annata anomala e, per questo, entusiasmante, sono tornate nella parte bassa della classifica, rientrando nei ranghi e riproponendo nei numeri consueti il torneo. Dunque un campionato che si annuncia assolutamente normale, con i risultati prevedibili, i favori arbitrali consueti, le classifiche scontate.
Il Milan prova la fuga, ma senza Ibrahimovic e i favori arbitrali sarebbe nella parte bassa della classifica. La Juventus sta procedendo spedita e la vena di Aquilani (che ha liberato Felipe Melo dalla regia, che non gli appartiene, riportandolo a fare il mediano) e Krazic, alzano la qualità di una squadra comunque solida e da battaglia come tutte le squadre di Del Neri. Che ha la fortuna dalla sua: due pali diventati gol contro il Genoa, che ha anch’essa preso due pali divenuti nulla. Si vince anche così.
La Roma è tornata e, con un organico finalmente sazio di possibili ricambi in tutte le zone del campo, rimane una delle favorite per il titolo. Alla Lazio manca solo un goleador da doppia cifra; lo avesse, sarebbe in alto, solitaria. Il Palermo, che gioca forse il calcio più bello, avrebbe invece bisogno di un difensore di razza, giacché Pastore e il ritrovato Miccoli segnano, ma non impediscono di subire gol. Anche il Napoli sembra procedere speditamente, mentre la Fiorentina patisce eccessivamente l’assenza di Jovetic e Gilardino non fa miracoli.
In questo campionato così normale, l’unica eccezione dalla norma, roboante quanto inaspettata, è rappresentata dall’Inter di Benitez, ormai ufficialmente in crisi. La caduta di Verona ha confermato come ogni squadra che giochi contro i nerazzurri di questi tempi riesca a sfoderare un’ottima prestazione. La ricetta è semplice: aggressività fisica e velocità. L’Inter infatti è lenta e molle, arriva in ritardo su ogni pallone conteso e fatica a chiudere gli spazi. Protegge poco e male la difesa che, eccezion fatta per Lucio, di suo non brilla comunque. Infatti i nerazzurri prendono gol evitabilissimi a difesa schierata o a difesa superata in velocità.
Benitez ha molte colpe e alcune attenuanti. L’attenuante maggiore è quella degli infortunati. Su una rosa di 23 giocatori, l’Inter ha undici infortunati, dei quali sei (Julio Cesar, Maicon, Samuel, Chivu, Thiago Motta e Milito) titolari inamovibili. Tra le seconde linee sono infortunati Mariga, Obi, Coutinho e Suazo. Tutti insieme formerebbero una squadra di tutto rispetto e sono, comunque, la rappresentazione evidente di come alla squadra manchino titolari e rincalzi possibili. Nessuna squadra potrebbe risultare competitiva senza sei o sette titolari in campo e a Milan, Juve, Lazio e Roma basterebbe non averne due o tre per entrare in crisi.
La società, che conferma la fiducia nell’allenatore spagnolo (almeno per il momento) ha gravi responsabilità nella gestione della campagna acquisti: tenere ad ogni costo giocatori che avevano voglia di andarsene (Maicon e Milito su tutti) e lasciar partire Balotelli, non vendere pezzi inutili (Pandev) e acquistare altri giocatori non da Inter (Biabiany e Coutinho) non ha certo aiutato Benitez, che aveva chiesto due rinforzi e non li ha ottenuti.
Ma Benitez, da parte sua, ha dimostrato di non capire cosa fare, programmando una preparazione sbagliata e faticosa, per una squadra che oltre al Triplete - da cui era uscita stanchissima - aveva sul groppone i mondiali e rientrava in campo in anticipo per disputare la Supercoppa italiana ed europea. Oggi definisce i giocatori “spremuti”: e non poteva accorgersene prima? E non poteva evitare di sottoporli ad una preparazione pesante ed inutile, visti i risultati?
Il lavoro in palestra sulla muscolatura è stato un errore gravissimo: prova ne sia che 9 giocatori degli attuali ospiti dell’infermeria, più Cambiasso e Stankovic appena rientrati, si sono infortunati nello stesso punto, il bicipite femorale. Coincidenze? L’allenatore spagnolo farebbe bene ad assumersi le sue responsabilità e ad ammettere l’errore nella preparazione, invece che tentare di scaricare la colpa sulla passata stagione, anche perché se avesse lo stesso ruolino di marcia nessuno lo accuserebbe di nulla. E anche perché Obi e Coutinho l’anno scorso non giocavano con Mou.
Dulcis in fundo, Benitez non ha molte idee su come schierare la squadra, ma le poche che ha sono sbagliate. Chiedere ad una difesa di trentenni ed oltre, fortissimi ma poco portati alla velocità (se si eccettua Cordoba, non titolare però) di giocare alta, significa assumere un rischio notevole di subire ripartenze avversarie. E se s’insiste nel proporre un gioco fatto di passaggi brevi e laterali, oltre a togliere profondità all’attacco si aumentano i rischi proprio delle interdizioni e delle ripartenze avversarie con la squadra sbilanciata in avanti.
L’idea di giocare nella metà campo avversaria con una squadra alta, senza ali e con una velocità ridotta, è davvero ingenua. Ma soprattutto l’Inter, quando entra in possesso della palla, non sa cosa farci. Nessun movimento degli attaccanti a dettare il passaggio e, quindi, nessun gioco di prima, nessuna incisività offensiva. Non era per questo che Benitez è arrivato all’Inter, non sarà con questi risultati che continuerà ad occuparne la panchina. La sfida di Champions con il Twente rischia così di divenire la prova d’appello.