di Fabrizio Casari

Tra l’ennesimo scandalo scommesse e l’ennesimo mercato di riparazione, torna nelle sale il film del campionato. Ma per il mese di gennaio, più che le partite sui campi saranno decisive quelle sui tavoli, dove procuratori e direttori generali disputeranno match duri e senza esclusione di colpi. Per ora i trasferimenti più importanti li hanno messo a segno il Napoli, con l’acquisto dell’attaccante cileno Vargas e la Juventus, che ha preso a prezzo di un giovane primavera l’attaccante Borriello dalla Roma, cui potrebbe aggiungersi Pizarro, che sarebbe un’utile alternativa a Pirlo.

Chiarissimo l’obiettivo della Juventus, davvero incomprensibile quello della Roma, che sta concretamente rischiando di veder andar via anche De Rossi, se non ora a Giugno. Ad ogni modo, ci sono ancora 25 giorni di mercato invernale che, per volume di movimentazione di denaro e numero di calciatori trattati, da qualche anno sembra essere diventato più importante di quello estivo. Gli obiettivi sono diversi: in generale c’è il tentativo di riportare il monte spese delle società di calcio alla sostenibilità, riducendo costi con cessioni e prestiti di organici e spalmature di debiti.

Non solo e non tanto per la ormai prossima entrata in vigore del fair-play finanziario, quanto perché le società di calcio italiane continuano ad essere tenute in mano da presidenti che, sempre più, si chiedono se il ritorno d’immagine per loro e per le loro aziende vale il costo che assumono nella gestione delle squadre. Il gap con l'Europa é fortissimo. Si deve tener conto che Gran Bretagna, Spagna, Francia e Russia, dove sceicchi e oligarchi del petrolio investono somme enormi per costruire squadre d’eccellenza assoluta, a tenerli a bada ci sono società come Real Madrid e Barcellona, che sono costituite da capitali collettivi e non da singoli portafogli. In Italia, invece, non ci sono sceicchi e nemmeno società collettive di capitali e i Moratti, i Berlusconi, i Della Valle, i De Laurentis, i Pozzo e Zamparini (pur nelle loro differenze, ovvio) non dispongono di capitali privati di valore tale da mettere in discussione il predominio finanziario di sceicchi e affini. Dunque, almeno sul piano europeo, la partita è impari.

E ad aggravare il quadro, l’Italia si trova con le sue principali squadre nel mezzo di una transizione che è tutta da costruire, almeno in qualche caso. Le più titolate, come Inter e Milan, hanno infatti un problema comune: svecchiare le rispettive rose, fatte da campioni costosi e consumati e cominciare a costruire il futuro. Già, ma quale futuro? Programmare una squadra che deve vincere nel giro di uno o due anni significa puntare su giocatori tra i ventisei e i ventotto anni: giovani ma già esperti, campioni rodati nella capacità di tenuta dello stress tecnico, fisico e psicologico e che puntano ai traguardi alti della carriera. Costano tanto, spesso tantissimo, sono pochi e non è facile portarli in Italia.

Se invece si tratta di un futuro disegnato sui prossimi tre o quattro anni, allora qualcosa è già stato fatto, particolarmente dall’Inter, che ha ingaggiato una buona linea verde tra i quali spiccano Alvarez, Castanois, Ranocchia, Viviano, Poli, Faraoni, Caldirola, Coutinho, Obi. Il Milan, invece, al momento dispone solo di El Shaharawi, Antonini e Abate. Certo, se poi ci si chiede quanto questi giocatori siano in grado di forgiare squadre in grado di prevalere in Italia e in Europa, i punti interrogativi diventano enormi, per usare un eufemismo.

Dunque, due strade diverse: o integrare i Thiago Silva, Pato, Robinho, Mexes e Boateng con campioni come loro e migliori di loro (e quindi spalancare il portafoglio) per vincere nei prossimi uno o due anni, oppure spendere meno ma rimandare i trionfi di un triennio. Idem per l’Inter: o insieme a Snejider, Pazzini, Maicon e Motta arrivano tre o quattro campionissimi, e si tenta di proporre una nuova corazzata per vincere entro uno o due anni, oppure alla lista di giovani talenti si fanno aggiunte di valore benché giovani e si lavora a medio termine.

Per la Roma l’operazione di rinnovamento non pare volare con il vento in poppa. Sebbene gli acquisti di Lamela, Bojan e Pianjc siano stati certamente azzeccati, la cessione di Borriello (e forse, come si diceva, quelle di Pizarro e De Rossi) sembrano più il preludio di una dismissione generale che non la volontà di ricostruire dalle fondamenta. Evidentemente la Roma non ha la necessità di vincere subito, ma dismettere i migliori, avendo Totti che potrà giocare al suo livello al massimo un altro paio d’anni, rende la situazione davvero delicata. Il sospetto che i costi e il loro contenimento incidano più di quanto si ammetta a Trigoria, é forte.

E se la questione della competitività europea per motivi diversi non riguarda Udinese, Palermo, Fiorentina e Lazio, il Napoli ha invece intrapreso una strada interessante. L’acquisto di Vargas e - sembra - il prossimo ingaggio di un difensore ad alto livello (si parla di Chivu, cui l’Inter non rinnoverà il contratto) costituiscono mattoni solidi per la costruzione di una squadra che comincia a denunciare ambizioni europee prima ancora che italiane. Un bel calcio, un ambiente straordinario e una buona rosa non saranno però sufficienti: altre robuste aperture di portafogli saranno necessarie per De Laurentis per consentirgli il passaggio dal ruolo di provinciale di lusso a protagonista assoluta. E ben altro clima cittadino sotto il profilo della sicurezza devono garantire: difficile che miliardari mondani accettino di restare a casa per paura di essere assaliti per la strada.

Certo, le italiane si sono tutte qualificate in Europa, con l'Inter addirittura prima nel girone, mentre le inglesi hanno visto cadere teste cotonate e roboanti. Ma trattasi di elemento episodico: il confronto dell'Italia nel suo complesso con l’Europa, la capacità di competere per organici e gioco resterà ancora una chimera. Basti pensare che i nomi dei grandi giocatori per questo scorcio di mercato: per un Tevez che potrebbe arrivare non è il caso di entusiasmarsi; non vale nemmeno la metà di quello che costa e i problemi che porta sono superiori al numero di gol che realizza. Per quelli in uscita tutt'altro dioscorso: i fuoriclasse veri - Pato, Snejider, De Rossi - sembrano in partenza, trattati da club inglesi, francesi e spagnoli. Seguono il destino già scelto da Pastore, Sanchez e Balotelli. Idem per gli allenatori: dopo Capello, Mancini e Spalletti, anche Ancelotti è tornato all’estero. C’è poco da stare allegri: i migliori vanno dove si vince tanto e si guadagna di più. I valori di appartenenza e i sacrifici nel calcio sono solo per i gonzi.

 

di Fabrizio Casari

C’è chi dice che le cose migliori si vedono alla fine e, almeno oggi, è difficile dargli torto. E’ stato infatti il posticipo serale la parte più godibile della sedicesima giornata. Due gli incontri ed entrambi di livello: quello del San Paolo, che opponeva il Napoli alla Roma, e quello dell’Olimpico, che metteva contro Udinese e Lazio. La Roma è andata a vincere per 3 a 1 su un Napoli che, quando esce Lavezzi, perde la sua quota migliore. La squadra di Mazzarri ha sì avuto una buona partita da Cavani, ma ha mostrato idee annebbiate e gambe pesanti.

La Roma, che ha disputato la migliore partita di questa prima parte di campionato, sembra aver rinunciato alla mania del possesso palla sterile per tornare ad una maggiore solidità, soprattutto a centrocampo, e Totti, De Rossi e Osvaldo hanno dettato la musica giallorossa. La cosiddetta “vecchia guardia” ha mostrato quindi di saper ancora mordere e il mix con i giovani ha funzionato bene. I giallorossi rientrano così nella prima parte della classifica e se non riparte la solita esaltazione fuori luogo, il risultato di Napoli può essere un momento di svolta per la squadra di Luis Enrique.

All’Olimpico si è vista una bella partita, con un’ottima Lazio che non è però riuscita ad andare oltre il pareggio, grazie anche ad un’Udinese che non ha mai mollato e che, quando ha trovato Di Natale, ha subito ricordato a tutti quanto sia pericolosa. Con questo pareggio i bianconeri hanno agganciato il Milan al secondo posto, a due punti dalla Juve e con altrettanti di vantaggio su una Lazio che avrebbe meritato qualcosa in più. Gli uomini di Reja hanno fatto la partita, ma è Pinzi, l’ex di turno, a decidere il 2-2 finale La squadra di Reja resta comunque quarta in classifica, posizione più che dignitosa.

Il vertice della classifica è comunque ancora questione tra Juventus e Milan. I bianconeri si sono disfatti del Novara senza grande difficoltà. La squadra di Tesser non è mai stata in grado di opporre particolare resistenza, meno che mai di provare ad invertire il pronostico. Conte si è detto poco soddisfatto, ma il campo ha espresso un verdetto addirittura limitato, vista la sproporzione della gara. E il fatto che il Novara abbia rischiato di far male in qualche circostanza non deve far dimenticare con quale e quanta facilità la Juventus poteva segnare.

Il Milan, che ha battuto il Siena, prima della vittoria juventina era tornato per 24 ore in testa alla classifica. Come ormai consuetudine, arrivano i gol di Nocerino e il rigore regalato. La partita, va detto, non ha mai avuto storia, visto anche un possesso palla del Milan vicino al 70%; ben altra compagine  dei toscani sarebbe servita per sfruttare i rimanenti minuti di possesso in termini di occasioni da gol. Ma quello dei penalty inventati a favore dei rossoneri sembra ormai un appuntamento fisso del campionato, medicina politica per sostenere una squadra che, a ben vedere, di regali non dovrebbe avere bisogno.

Illuminante l’imbarazzo di Allegri davanti alle immagini della simulazione di Boateng: il tecnico milanista si affanna a convincere più se stesso che chi vede, senza però che il teatrino di Sky tenti di fare il mestiere d’informare. Ma di regalo in regalo è così che si sommano punti e non si vede andar via gli avversari ed è così che Ibrahimovic conquista la vetta della classifica dei cannonieri. La vittima designata di ieri è stato il Siena, d’altra parte mai accreditato come possibile protagonista di risultato diverso contro la corazzata di Galliani.

L’Inter, per la prima volta in questo campionato, entra in zona Champions. Il successo contro il Cesena porta a tre le vittorie consecutive dei nerazzurri, con la difesa imbattuta da tre giornate e un gol solo subìto nelle ultime cinque. L’Inter deve fare punti e li fa, dovrebbe aumentare la velocità ma non può, dovrebbe giocare bene ma non ci riesce. Il sintetico di Cesena, poi, non ha certo favorito le trame di passaggi a centrocampo, con errori continuati. Ma avere due mancini al centro ha sbocchi obbligati per il gioco e Zanetti, che é straordinario quando gioca dietro ma viene risucchiato quando è schierato a centrocampo, non aiuta certo a far fluire il gioco.

Zanetti, Cambiasso e Thiago Motta sono la carta d’identità di una squadra che gioca a ritmi bassissimi e che vince solo con la classe e l’esperienza, i nervi e il cuore, ma non straccia più gli avversari come sapeva. Magari Poli (che usa i due piedi) potrebbe proporre freschezza e variazioni nella circolazione e nella difesa della palla e forse un po’ di riposo a Pazzini e Milito non sarebbe una cattiva idea, visto che non c’è verso che la buttino dentro.

Tra Fiorentina e Atalanta, invece la noia iniziale e diventata suspance finale, con la viola che ha agguantato un pareggio a tre minuti dalla fine. Una partita che sembrava essersi messa bene per la squadra di Delio Rossi, dopo che era andata in vantaggio con Gilardino dall’ottavo minuto. Ma circa mezz’ora dopo veniva raggiunta da Masiello e verso la fine del secondo tempo subiva anche il vantaggio dei bergamaschi con il solito Denis. Solo un acuto del suo fuoriclasse Jovetic ha impedito una sconfitta tra le mura amiche.

Resta la sensazione che il cambio di panchina non abbia poi giovato molto alla squadra: cinque partite in cinque punti dicono che Delio Rossi non sembra aver scoperto la formula giusta per ottenere prestazioni e risultati all’altezza delle ambizioni della famiglia Della Valle. Che dovrà però prima o poi riflettere bene sulla differenza che passa tra gli investimenti che si fanno e le ambizioni che si hanno.

Vince il Catania il derby contro il Palermo. I ragazzi di Montella battono 2-0 quelli di Mangia e agganciano momentaneamente in classifica il Genoa a 21 punti. Al Massimino decidono una punizione straordinaria di Lodi e il gol su rigore di Maxi Lopez, che poi si commuove salutando i suoi tifosi. Per l'attaccante argentino si fanno sempre più insistenti le voci di un suo addio a gennaio. Destinazione? Milan.

Un rocambolesco pareggio con sei gol ha segnato la partita più divertente della giornata tra Parma e Lecce, che proprio dell’Inter saranno le prossime avversarie. Una doppietta di Di Michele, uno dei quali spettacolari (in rovesciata volante). Due gol arrivano negli ultimi sette minuti di gioco, l’ultimo di questi addirittura al quinto minuto di recupero. Boskov avrebbe giustamente ricordato il suo mantra: “Partita finisce quando arbitro fischia”.

di Fabrizio Casari

Ranieri sostiene che non è il caso di parlare di partita della svolta e forse ha ragione. Ma il fatto è che l’Inter ritrova la vittoria tra le mura amiche del Meazza, infliggendo un 2 a 0 alla Fiorentina: un risultato che solo gli errori clamorosi di Muntari e di Pazzini non hanno reso più rotondo. Il rientro di Maicon e del concretissimo Lucio al centro della difesa hanno certamente infuso sicurezza alla squadra di Ranieri e l’ottima prova del giovane Faraoni, insieme alle buone cose fatte vedere da Nagatomo e Coutinho, hanno fornito una buona amalgama tra vecchi e giovani.

Soprattutto, Ranieri ha avuto la saggezza di schierare un modulo che offre molte più garanzie di tenuta con minor corsa, con Motta a dare ordine alle trame offensive e Cambiasso a interdire. Ancora presto per parlare di svolta, ma essere passati dal lato sinistro della classifica, per la prima volta quest’anno, non può che far bene ai nerazzurri, che comunque aspettano il rientro di Snejder e Forlan, con i quali il tasso tecnico della squadra e la sua imprevedibilità cresceranno decisamente.

La Fiorentina è stata invece poco più che uno sparring-partner: apparsa da subito come una squadra priva di senso logico e a cortissimo di idee su come arrivare alla porta avversaria, ha dimostrato tutte le sue lacune sia in fase di costruzione del gioco che nell’assetto difensivo, la cui sbadataggine ha permesso i due gol interisti e altre diverse azioni da rete non concretizzate. Va bene, mancavano Jovetic e Montolivo, ma dall’altra parte non c’erano Snejder, Forlan, Zanetti, Chivu e Stankovic. La mano di Rossi, insomma, ancora non si è vista, sperano a Firenze, ma il rischio è che i miracoli li facciano solo i santi e non gli allenatori. Vuoi vedere che non era proprio tutta colpa di Mijhailovic?

L’Udinese vince (ma ormai non fa più notizia) e convince. La squadra di Guidolin, che in attesa di Roma-Juventus di stasera si gode la solitaria testa della classifica, si sbarazza anche del Chievo, che pure gioca una buona gara. Sanchez, Inler, Zapata: chi erano costoro? Ceduti i tre assi, l’Udinese gioca come e meglio di prima. Quando arriverà il momento di riconoscere che Guidolin è il migliore tecnico italiano?

Non è andata bene la prima di Serse Sosmi sulla panchina del Lecce. I salentini, puniti nel rush finale, non hanno certo demeritato, sia tatticamente che tecnicamente e avrebbero decisamente meritato almeno un pareggio; ma nel calcio non vince sempre chi gioca meglio e avere o no Klose in squadra fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Il bomber tedesco, infatti, ha realizzato una doppietta e un assist che sono valse la vittoria della squadra di Reja. Parla poco e non scrive libri il Miro di Germania, ma in classifica cannonieri si trova allo stesso posto del chiacchierone Ibra, con otto gol segnati.

Ad ogni modo la Lazio ha dimostrato di avere il piglio della grande squadra, quelle che riescono a vincere anche quando non lo meritano del tutto e che, anche quando il gioco non gira bene, riescono a ribaltare il passivo grazie alle giocate individuali dei loro campioni. Con queste vittorie non arrivano solo i tre punti, pur importantissimi, ma anche iniezioni di autostima e consapevolezza dei propri mezzi, arnesi indispensabili nella bottega dei vincenti.

Contro il miglior Bologna di quest'anno, il Milan ottiene solo un pareggio e l’arbitro Rocchi torna protagonista con le sue sviste clamorose, negando un rigore al Bologna per una evidentissima deviazione di mano di Seedorf nella sua area mentre ne assegna uno assai dubbio al Milan per fallo su Ibrahimovic. Che, non contento, ne chiede un altro senza storia. Lo stesso Allegri, nel dopo partita, dirà che Ibra “si è buttato”.

Del resto, dopo non aver concesso il rigore contro Seedorf fischiarne un altro ancor meno evidente contro il Bologna avrebbe comportato seri problemi di gestione della gara. Ma la sfacciataggine con la quale Seedorf continua a sostenere che il suo fallo di mano non c’era meriterebbe due rigori e non uno solo. Quando si riceve un regalo o si ringrazia o si tace. Il Milan farebbe bene a chiedersi il perché di tanti errori; l'assenza di Robinho pesa così tanto?

Il Napoli, evidentemente scarico per le fatiche di coppa, pareggia sul sintetico di Novara solo grazie ad un tiro di Dzemaili che interviene a seguito di un clamoroso liscio di Hamsik. Non è stato il miglior Napoli ed è invece sceso in campo un ottimo Novara che, fra le squadre in zona salvezza, appare quella meglio organizzata. Il Genoa torna a vincere e lo fa in trasferta, con una prova tutta cuore e corsa che salva la panchina di Malesani, che traballava non poco. Pareggio ricco di emozioni tra Atalanta e Catania come tra Cagliari e Parma, con quest’ultima che rischia di perdere Giovinco per diverse settimane. Ma le due partite hanno anche fornito un piccolo festival delle occasioni mancate, che forse verranno rimpiante ancor più nei prossimi mesi.

di Fabrizio Casari

E’ durato lo spazio di poche ore il primato del Milan. La vittoria schiacciante della Juventus a Cesena e dell’Udinese sull’Inter hanno riportato l’ordine delle prime alla settimana precedente. A Genova, dove il Milan ha vinto per due a zero contro il Genoa, il fumo dei lacrimogeni è stata l’unica cosa poco chiara del match, dal momento che sarebbe servita ben altra squadra per rendere incerto un risultato scontato. I rossoneri hanno fatto il minimo sindacale e la difficoltà più grande è stata quella di trovare il modo di scardinare la retroguardia rossoblù. Una volta risolto il problema, non c’è stata storia. Il Milan, del resto, costruisce gioco e finalizza come pochi e i 13 gol in 15 partite giocate segnati da Ibrahimovic, non spiegano perché tante manovre intorno a Tevez. Perché se pure Ibra fa vincere solo in Italia, Tevez non potrà giocare in Champions, quindi l’affare sarebbe tale solo per il City che si toglierebbe una rogna non da poco.

La Juventus ha schiacciato il Cesena, come previsto. Il risultato poteva essere più largo, vista la partita, ma avrebbe dovuto essere più stretto, visto l’arbitro, che ha pensato di porre la sua personalissima firma sul rigore inventato a favore della Juve. Non ce n’era bisogno ma, come tutti i regali, arrivano inaspettati. Resta comunque il fatto che la squadra di Conte continua a offrire prestazioni ad alta velocità e a scrollarsi dalle spalle tutti gli avversari.

Un altro regalo, pur se meno evidente, è stato gentilmente offerto alla Fiorentina. Un pacco doppio, che ha comportato un rigore con relativo vantaggio dei viola e l’espulsione di Juan, unico vero difensore di razza della Roma. Ha perso seccamente la squadra di Luis Enrique, che è rimasta in otto a giocarsi gli ultimi minuti. Ma la partita della Roma è stata comunque al di sotto della sufficienza, mentre la Fiorentina comincia a vedere sul campo quanto pesi la mano di Delio Rossi. I giallorossi sembrano essersi persi, vittime di confusione tattica e scarso equilibrio in campo. Quando i terzini si chiamano Cicinho e Taddei, significa che i centrali e il portiere dovrebbero chiamarsi tutti Superman per non farsi superare dagli attaccanti. Qualcuno dirà che si é sentita la mancanza di Osvaldo, ma la verità é che si sente la mancanza di logica.

Il calcio, alla fine, non é così esposto a creatività prive di raziocinio. Ci sono due fasi, tre zone e due fasce, non c'é molto da inventare che non sia già stato messo in mostra. Contano gli attori e il regista per fare un buon film, ma se non c'é un copione, se il regista non sa come inquadrare e non sa cosa chiedere alla recitazione, é difficile che gli attori diventino protagonisti. La panchina di Luis Enrique sembra non sia in discussione, ma è difficile pensare che ulteriori rovesci lascino le cose come stanno. Tra tensioni interne e prestazioni sul campo, la Roma sta affrontando la sua vera prima crisi della nuova gestione. Totti, sia in campo sia nello spogliatoio, manca molto più di quello che società e allenatore pensavano.

La sconfitta dell’Inter a Milano, contro l’Udinese, racconta invece cose già risapute ma sulle quali ci si deve soffermare. Non ci sarebbe niente di strano a perdere contro l’Udinese, che è una squadra di assoluto valore: velocissima, con tecnica individuale e di gruppo, con contropiedisti micidiali e polmoni senza fine. Non è un caso che si trova seconda in classifica. Ma la sconfitta dell’Inter è grave per quello che ha evidenziato. Una squadra senza gioco, a ritmi da dopolavoro estivo, con una confusione tattica che Ranieri ha ulteriormente incrementato con le sostituzioni sbagliate, rendendo la squadra più esposta al vigore fisico dei friuliani e priva di equilibrio.

Né Coutinho, né Castagnois, né Obi cambiano una squadra, ma con loro almeno corre, con le vecchie glorie cammina. L’Inter è esaurita: tra giocatori troppo sopravvalutati nel presente (Alvarez) e grandi campioni ormai solo del passato, le sue punte sono visibilmente fuori forma (Zarate e Pazzini) o ormai letteralmente bollite (Milito). A questo si aggiungono le assenze di Maicon, Snejder e Lucio (oltre a Forlan) che sono proprio i motori della costruzione del gioco e della sua finalizzazione. Il rientro degli infortunati, va detto, non è poi detto sia sufficiente, vista la capacità dell’Inter di riproporre infortuni a catena.

Ranieri doveva normalizzare, ma non riesce a trovare la forza di fare a meno delle vecchie glorie e tantomeno a dare un gioco, che del resto non è mai stato il suo forte. Troppo preoccupato di sistemare la squadra in funzione degli avversari, non vede che la sua squadra sa giocare solo con il modulo proposto da Mourinho e alterna moduli che generano confusione e incertezza. Il primo errore è quello di non capire che Thiago Motta tra il centrocampo e le punte è straordinariamente efficace, mentre davanti alla difesa è controproducente, rallentando ogni manovra e non filtrando come dovrebbe. Ma in generale, dovrebbe avere la forza di puntare sui giovani con tre o quattro “storici” in affiancamento, se non altro perché comincerebbe a delinearsi il primo embrione di futuro e consentirebbe alla società di capire su quali giovani puntare e su quali no.

Visto che ora i nerazzurri si trovano a pari punti con il Bologna, appena sopra la zona retrocessione, sarà bene che Ranieri cominci a tacere sui possibili obiettivi. Difficile pensare anche alle prime cinque posizioni senza che corra immediatamente ai ripari sul mercato di Gennaio, ammesso che troverà le risorse economiche per farlo. Servirebbero sei o sette acquisti dei quali almeno tre top player per rifondare una squadra gloriosa ma finita. Viste le difficoltà economiche e visto che il prossimo anno l’Inter difficilmente disputerà la Champions, piove sul bagnato.

Il Caglari sbanca Catania e tra Chievo e Atalanta si assiste ad una gara tutta fisica che finisce in parità. Il Napoli ha ripreso a correre e ha sistemato la pratica Lecce con una quaterna e Mazzarri festeggia la sua centesima vittoria in serie A. Cavani, più di chiunque altro, determina i risultati dei partenopei, che comunque non sembrano in spolvero. Mercoledì dovranno vedersela con il Villareal per superare la qualificazione in Champions e arrivare alla sosta natalizia sperando di rosicchiare almeno tre punti alle prime tre. Due obiettivi tutt'altro che semplici. 

di Fabrizio Casari

Il primo posto della Juventus in classifica, a un punto sopra il Milan, è il risultato finale di una giornata di campionato piuttosto movimentata. Iniziata con la sconfitta della Roma a Udine e con il pareggio stentato del Napoli sul campo dell’Atalanta, proseguita con la vittoria della Juventus contro la Lazio, quella del Palermo sulla Fiorentina e dell’Inter sul campo del Siena, conclusasi poi con il Milan che ha travolto il Chievo al Meazza. Ma non senza un po’ di cardiopalma, visto che Catania, Inter e Napoli hanno segnato i gol decisivi per il risultato all’ultimo minuto di gioco.

Una vittoria, quella della Juve sulla Lazio, costruita come al solito con una partita piena di fervore agonistico e sostanza tattica. La Lazio ha avuto benzina fino al 20 della ripresa e idee per pochi minuti, mentre la Juve non ha mai mollato né campo né iniziativa. La squadra di Conte, infatti, ad eccezione di Pirlo e Buffon non possiede fuoriclasse, né mostra una tecnica calcistica di prima classe, ma occupa benissimo il campo, corre per novanta minuti e aggredisce fisicamente con un pressing a tutto campo gli avversari.

Una squadra, insomma, figlia del calcio di Conte, tutto corsa e determinazione agonistica, senza fronzoli e senza altri schemi che non sia l’intelligenza calcistica di Pirlo e la forza di Marchisio. Certo, la solidità della coppia difensiva Bonucci-Chiellini e la capacità di allungare la squadra da parte di Pepe, Vucinic e Matri incidono complessivamente sul gioco bianconero, che utilizza bene le fasce nelle due fasi senza scoprire mai la verticale di centrocampo; ma è soprattutto la capacità di corsa e pressing insieme ad una mentalità guerriera che caratterizza la qualità dei bianconeri.

Quello dell’Olimpico è stato dunque un esame superato da parte dei bianconeri, che martedì saranno a Napoli per il recupero della partita non giocata con i partenopei causa allagamento; un’altra eventuale vittoria potrebbe rappresentare un ulteriore allungo di punti e prestigio per la compagine bianconera. Se, infatti, dovesse uscire con una vittoria dal San Paolo, la Juventus - che ha già battuto Milan, Inter e Lazio - legittimerebbe non solo il primato, ma anche le ambizioni di vittoria finale. Certo, mancano ancora decine e decine di punti alla fine del torneo e Lazio, Udinese e Napoli restano compagini di prima fascia, ma ad oggi è difficile pronosticare un tema diverso che non sia quello della lotta tra bianconeri e Milan per il campionato.

Come previsto, infatti, i rossoneri nel posticipo hanno fatto il loro e sono a un punto dalla Juve. Del resto il Milan contro il Chievo al Meazza poteva solo vincere. Dopo pochi minuti era già in vantaggio e si apprestava a scrivere il copione previsto, facilitato comunque da un pessimo Chievo e da una serie di rimpalli fortunati e la consueta generosità arbitrale sul rigore. Sono tre punti importanti quelli della squadra di Allegri per non perdere troppo terreno nei confronti  della Juventus, soprattutto se domani a Napoli la squadra di Conte dovesse vincere e si portasse a quattro punti sopra. Ma lo stato di forma straordinario del Milan ribadisce che sarà tra rossoneri e juventini la lotta per la vittoria del titolo. Chissà se sarà proprio l’ex Ibrahimovic a decidere la classifica finale...

Il gol di Castainos rilancia l’Inter che scavalca la Fiorentina: l'Udinese é partita difficile, ma un risultato positivo é necessario se vuole spostarsi nella zona alta della classifica. A Siena non è stata facile per i nerazzurri: la squadra di Sannino, tutta 4-4-2 e polmoni, difende in nove e attacca con cinque uomini e trovare varchi utili per attaccarla è difficile, soprattutto con i ritmi blandi dei nerazzurri. Che però non perdono mai il controllo della partita, tramite possesso palla (67%) e buona sistemazione in campo.

Parte del merito va assegnato a Ranieri, che ha scelto di far giocare gli ultimi dieci minuti a trazione anteriore, facendo uscire un centrocampista (Cambiasso) per una punta (Milito) che si aggiungeva così a Pazzini e Castanois. Il gol del ragazzo olandese, di pura rapidità e istinto, premia dunque i nerazzurri che erano scesi in campo senza Maicon, Lucio, Chivu, Snejider e Forlan. Assenze numerose e pesanti, verso cui nessuna squadra al mondo potrebbe reagire con sufficienza. Per questo i tre punti in trasferta valgono moltissimo per la rincorsa interista.

Desta poca sorpresa il risultato di Bergamo, dove il Napoli ha potuto pareggiare grazie al solito Cavani praticamente a tempo scaduto. Mazzarri ha utilizzato di nuovo il turnover, viste le fatiche accumulate contro il City e quelle che l’aspettano contro la Juve e, come sempre, turnover significa rinunciare alla vittoria. Ciononostante, nella prima mezz’ora di gioco è il Napoli ad impressionare e la superiorità tecnica dei napoletani sui bergamaschi è evidente;  ma nella ripresa la musica è cambiata e l’Atalanta ha giocato da provinciale pura, pressando a tutto campo e correndo veloce. Il Napoli ha sofferto e il suo ex, Denis, ha brillato. Il pareggio è arrivato e Mazzarri può dire di essersela cavata, mentre Colantuono ha confermato che la sua squadra è in grado di mettere alle corde chiunque quando gioca in casa.

A Udine é andato invece in onda un film già visto: l’Udinese non prende gol e batte tutti coloro che transitano per il suo campo. Stavolta è toccato alla Roma, che ha schierato la quattordicesima formazione in quindici partite. Appena c’è un passo avanti, arrivano due indietro. Luis Enrique, francamente, non convince: la squadra è priva d’identità, la difesa alla mercè di ogni attacco la storia del tutti all’attacco per novanta minuti è, appunto, storia buona per i giornalisti compiacenti. Non convincono nemmeno alcune scelte, come quella di rinunciare a Heinze nonostante l’infortunio di Burdisso e lo schierare, di nuovo, giocatori in ruoli che non gli appartengono.

Insomma, l’integralismo di Luis Enrique desta perplessità e le vittorie che vengono osannate sono in realtà conquistate contro le piccole, ma non appena sale il livello degli avversari, la Roma va sotto. A questo si aggiunge poi la rissa interna, dove Osvaldo sferra un pugno a Lamela e si guadagna dieci giorni di sospensione. Pare che il diverbio sia stato il prodotto di un mancato passaggio del giovane argentino a Osvaldo a Udine, ma l’episodio dimostra come il clima festoso che si legge e si sente sia molto diverso da quello che reale. Le incertezze tattiche, i ruoli invertiti e la precarietà generale stanno scoperchiando i nervi, sarà bene che Baldini intervenga prima che sia troppo tardi.

Montella, invece, che di Luis Enrique fu predecessore, all’ultimo momento beffa il Lecce e raccoglie i tre punti. Pareggio tra Cagliari e Bologna (con Ballardini che stavolta non protesta, visto il gentile regalo dell’arbitro) mentre il Novara torna a vincere battendo il Parma e il Cesena sconfigge il Genoa. Amaro, invece, il ritorno di Delio Rossi a Palermo, dove la Fiorentina perde due a zero e non da mai l’impressione di poter cambiare il risultato. Il Palermo di Mangia conferma ancora una volta come la sua squadra sia molle in trasferta quanto micidiale in casa. Il fattore campo è poco importante solo per i commentatori.


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