di Fabrizio Casari

Assegnato ormai lo scudetto, e stabilito ormai quali saranno le squadre che retrocederanno in serie B, (Bari, Brescia e Sampdoria) i verdetti che restano da emettere da questo campionato sono solo quelli relativi all’ingresso in Europa, sia esso dalla porta principale (Champion League), sia dal retro (Europa League). Per il primo blocco sono state determinanti la vittoria di Lazio e Udinese che, con le rispettive vittorie su Genoa e Chievo, hanno lasciato all’ultima gara l’onere o l’onore di scrivere chi tra loro giocherà la Champions, pur partendo dai preliminari.

Con l’Inter seconda classificata, nonostante i cinque mesi di Benitez, la sorpresa più importante, intanto, è quella di vedere il Napoli entrare in Champions League, grazie al pareggio in casa proprio con l’Inter. Con un anno di anticipo rispetto a quanto programmato dal Presidente De Laurentis, i partenopei raccolgono quanto hanno meritato, con un campionato straordinario. Nonostante la cessione di Quagliarella, gli azzurri, ben guidati da Mazzarri, hanno avuto in Lavezzi, Hamsik, Cannavaro e De Santis uomini fondamentali, così come utili alla causa sono stati Zuniga, Campagnaro, Maggio, Dossena e Aronica, ma semplicemente straordinario è stato Cavani. Il bomber uruguayano, ventisei gol all’attivo, è infatti stato l’ariete degli azzurri. Ora, i venti milioni di euro provenienti dalla Champions potranno essere utilizzati per rafforzare la squadra. E’ giusto per quello che si è visto ed è bello per una città come Napoli, che davvero meriterebbe una piazza d’onore nel calcio italiano. E sarebbe bene, per quanto improbabile, ormai, che lo facesse con Mazzarri in panchina. L’allenatore chiede certezze sugli investimenti futuri: conoscendo De Laurentis, non sarà facile.

A segnare però la giornata calcistica, sono state le sconfitte di Roma e Juventus, rispettivamente patite contro il Catania e il Parma. Roma e Juventus disputeranno quindi all’ultima giornata solo la possibilità di accedere all’Europa League. Il che, semplicemente, sembrava impossibile ad inizio stagione, che vedeva la compagine bianconera e quella giallorossa accreditate di ben altro destino. Così come la retrocessione in B della Sampdoria è un fatto che nessuno poteva aspettarsi da una compagine che aveva iniziato bene la stagione, pur essendo eliminata dall’Europa in una partita assurda.

La retrocessione della Sampdoria può ben essere imputata alle responsabilità del presidente Garrone, che ha deciso prima di mettere fuori squadra e quindi vendere Cassano, poi di cedere anche Pazzini, cioè i due giocatori di livello assoluto di cui i blucerchiati disponevano. Non potevano essere Palombo, Poli o Ziegler, pur buoni giocatori, a garantire la salvezza della squadra genovese. Si tratta ora di capire se Garrone, abbastanza disgustato da giocatori e ambiente, deciderà di vendere; d’altra parte, non solo andare in B è un trauma sportivo non semplice per una squadra come la Samp, ma anche tentare di renderla più forte non sarà affatto facile, dal momento che sarà probabile la richiesta di andar via proprio di Palombo, Poli, Ziegler e altri giocatori che possono avere mercato in serie A. Al momento, pare che l’anziano petroliere sia disposto a battersi per rafforzare la squadra e permetterle di tornare rapidamente nella massima serie, ma l’estate è lunga..

Discorso ancor peggiore per la Juventus, che ha fallito ogni obiettivo che si era proposto. La scommessa di Del Neri è stata fallimentare, così come lo era stata quella su Ranieri prima e Ferrara poi. E se per l’ex numero due della nazionale si poteva pensare ad una scarsa esperienza, lo stesso non è possibile affermarlo per quanto riguarda Del Neri e, men che mai, Ranieri prima di lui. Allora forse si deve pensare ad un gruppo dirigente assolutamente al di sotto delle necessità. Denaro speso in modo scellerato, per acquisti che non hanno portato nulla; confusione assoluta sul piano di rilancio societario e managerialità indecisa ed incompetente nella gestione della squadra hanno costituito la triade del disastro.

Difficile pensare che Del Neri possa essere confermato: un allenatore che sa giocare con un solo ed unico modulo può andar bene per il Chievo o per la Sampdoria, non per la Juve. L’esperienza di Roma e quella all’estero lo confermano. Ma difficile anche pensare che possa arrivare un mago della panchina, giacché non solo i migliori sono già occupati, ma anche perché difficilmente un grande nome andrebbe a Torino a rischiare fama e immagine per guidare una squadra che appare priva di progetto societario. Gli resta Mazzarri, ammesso che ci arrivi, ma siamo già un piano sotto i Mancini, Villas Boas o Spalletti, per citare solo alcuni tra i grandi (non grandissimi) accostati in questi ultimi tempi a Villar Perosa.

La Roma, dal canto suo, ha perso per l’ennesima volta l’appuntamento decisivo con la salvezza di una stagione che è stata negativa sotto tutti i punti di vista. Cominciata (male) con la scommessa su Adriano, proseguita peggio, con la rottura della società e dei calciatori con Ranieri, quindi con l’eliminazione dalla Champions e dalla lotta per i primi posti del campionato, finita ancor più malamente con le sconfitte patite in queste ultime giornate e l’eliminazione dalla Coppa Italia, che poteva rappresentare almeno un obiettivo per salvare la stagione. Ora i giallorossi dovranno per forza battere la Sampdoria se vorranno accedere all’Europa League.

L’idea di non entrare in Europa, infatti, sarebbe letale per i nuovi assetti proprietari che, dal canto loro, ci mettono tutto quello che serve per accrescere tutti i dubbi possibili ed immaginabili sulla loro effettiva solvibilità, prima ancora che sul loro autentico interesse. L’opacità dei comportamenti, il disordine che regna nella trattativa, non hano certo aiutato la squadra a trovare un ambiente favorevole. Insomma: se vogliono acquistare la Roma escano allo scoperto una volta per tutte; mettano il denaro o le relative fidejussioni sul tavolo e la finiscano di cercare escamotages di ogni tipo per rinviare l’appuntamento definitivo.

Il Lecce, così come il Cesena, riesce a rimanere in A. Lo stesso dicasi per il Parma, capace di un finale di stagione straordinario che l’ha vista battere quasi chiunque. Il Cagliari, lasciato partire Allegri, senza Marchetti e con la cessione di Matri a Gennaio, ha comunque tenuto botta e si prepara ad un altro anno di serie A. Non sarà semplice, ma l’impressione è che ormai i sardi hanno capito come si fa: umiltà e corsa, ordine tattico e disciplina, in assenza dei campioni e delle loro giocate, possono comunque fare miracoli.

 

di Fabrizio Casari

Il campionato ha già pronunciato il suo verdetto finale, almeno per quanto riguarda lo scudetto. Il Milan è campione d’Italia. Con due giornate d’anticipo sulla fine del torneo, il pareggio conseguito contro una Roma ben al di sotto di quanto sarebbe stato necessario per fermarne la corsa, ha sancito la conquista dello scudetto numero 18. In attesa di vedere come le prossime due partite decideranno definitivamente chi andrà in Champions, chi in Europa league e chi, invece, in serie B (oltre a Bari e Brescia) è bene soffermarsi su chi ha vinto e su chi non c’è riuscito, nonostante gli alti e bassi delle quotazioni alternatesi lungo il corso della stagione.

La squadra di Allegri ha raggiunto un traguardo che inseguiva da sette anni, cioè da prima di Calciopoli. Un risultato che, seppure prestigioso e certamente meritato, è sembrato il minimo indispensabile per una squadra che aveva inserito nel suo organico giocatori come Ibrahimovic, Robinho e Boateng, ai quali poi aveva aggiunto a Gennaio Cassano, Van Bommel ed Emanuelson. Sei uomini  nuovi, cioè una squadra nuova rispetto a quella degli anni precedenti. Il suo allenatore, Allegri, segue quindi la tradizione degli esordienti vittoriosi - da Rocco a Capello, da Sacchi ad Ancelotti, a Zaccheroni - che vede nella società di Milanello un ottimo score.

Che il Milan avrebbe vinto era apparso facile pronostico già nell’estate scorsa, anche solo un’ora dopo l’acquisto di Ibrahimovic, cui seguì quello di Robinho. La tradizione del fuoriclasse svedese è stata dunque confermata: in Europa non si va da nessuna parte, ma in Italia, con Zlatan, si vince sicuro. Non tutto è stato semplice e anche gli infortuni hanno pesato non poco sulla stagione milanista, che non ha mai visto, del resto, un distacco di punti enorme con chi lo seguiva. Ha quindi acquisito ulteriore importanza l’aver arricchito la rosa con giocatori che, per qualità e quantità, avrebbero cambiato il destino di diverse squadre.

Allegri, che per la prima volta si troverà con un trofeo da esibire, ha avuto il merito di costruire una compagine che è molto diversa da quella che avrebbe voluto il padrone, tutta spettacolo, frizzi e lazzi. Nessuno spettacolo s’è intravisto nel gioco. Allegri ha invece privilegiato una squadra ben messa in campo, con due  o addirittura tre medianacci davanti alla difesa e un costruttore di gioco per innescare le due punte. Risultato è che il Milan è la squadra meno battuta e, indi, la più vincente. Insomma, Allegri ha confermato che in Italia si vince giocando all’italiana, con molta grinta e piedi buoni, più che con la fantasia di singoli.

Dunque la vittoria del Milan è riuscita ad interrompere il ciclo quinquennale delle vittorie interiste. Del resto, se il Milan, come detto in precedenza, ha praticamente smontato e ricostruito il suo organico, l’Inter ha fatto esattamente il contrario. Vendere Balotelli e non sostituirlo è stata una mancanza grave, alla quale si è aggiunta la sciagura di dover rinunciare per tutto il campionato a Walter Samuel e, per altre ragioni, a Diego Milito. Solo un miracolo avrebbe potuto rendere la squadra campione di tutto capace di ripetersi senza rinfrescare il suo organico e, anzi, rinunciando ai tre giocatori sopra citati. E quanto soprattutto l’assenza di Samuel abbia pesato, lo raccontano i numeri: il Milan ha vinto non perché abbia segnato di più, anzi; l’Inter ha segnato quattro gol in più, fino ad ora. Il Milan ha vinto per aver incassato 17 gol in meno. Insomma ha vinto con la solidità del reparto arretrato, non con l’attacco delle stelle.

L’Inter ha pagato innanzitutto la disastrosa gestione Benitez, che alla fine del girone d’andata aveva portato i nerazzurri a -13 dai rossoneri, in settima posizione in classifica. Ora si discuterà se sarà o meno Leonardo a guidare la squadra nel prossimo anno e se dispone della competenza ed autorevolezza necessarie per un rilancio della squadra. Ma oltre ad aver dato vita ad una rimonta spettacolare, l’Inter con Leonardo ha vinto 11 partite su undici a San Siro. Un aspetto di cui sarà bene tener conto.

Il gruppo Inter va ritoccato e ringiovanito. Non rifondato. Altrimenti non si spiegano i 25 punti guadagnati nei secondi tempi rispetto al risultato dei primi e le 33 reti su 62 segnate nell’ultima mezzora di gioco. Il bilancio in campionato con Leo del resto parla chiaro: 21 gare, 16 vittorie, 1 pareggio e 4 sconfitte. Ma sarebbe davvero buffo parlare di un Inter in tono minore. I nerazzurri, infatti, sono ancora tra le squadre da invidiare. Infatti, anche quest’anno, hanno già vinto due coppe, la Supercoppa italiana e il Mondiale per Club, e con l’eventuale vittoria della Coppa Italia sarebbe di nuovo un triplete; che seppur in tono leggermente minore, rimarcherebbe comunque come sia l’unica squadra italiana ad aver messo in bacheca tre titoli nella stessa stagione.

Se poi si vuole fare un ragionamento a più ampio respiro, allora si può vedere come dal 2004-2005, la squadra di Moratti ha collezionato ben 14 trofei (15 se arrivasse la Coppa Italia). Il Barcellona, la squadra stellare che tutti ammiriamo, ne ha collezionati 14, che saliranno a 15 in caso di conquista della Champions e a 16 con la vittoria della Liga. Il Manchester United di trofei ne ha cumulati 13, che diverranno 14 se vincerà la Premier League e 15 in caso di vittoria anche della Champions. Dunque, sarebbe bene, quando si parla di crisi del calcio italiano, tenere anche in debito conto che l’Inter è stata comunque nelle prime tre posizioni del calcio europeo per titoli conquistati. Solo un’inguaribile, patologico odio di commentatori e tifosi orfani del sistema Moggi può disconoscere regolarmente questo dato. I numeri, però, hanno la testa più dura di quella delle vedovelle di Calciopoli.

Per la Roma, invece, la mancata vittoria con il Milan rende la corsa alla Champions più complicata. Una squadra che, all’inizio del torneo, era accreditata di ben altre possibilità, dato non solo il valore del suo organico, ma anche perché, per la prima volta negli ultimi anni, si evidenziava una panchina di tutto rispetto. Quello della panchina corta, cioè della mancanza di alternative ai titolari in caso dì infortuni, stanchezza o squalifiche, era stato infatti il leit-motiv delle analisi sulla Roma negli anni passati. Si riteneva, non senza fondamento, che la differenza sostanziale con l’Inter che la relegava regolarmente al secondo posto, veniva soprattutto dall’ampiezza dell’organico a disposizione, più che dal valore dello stesso. Forse era un’analisi eccessivamente benevola verso i giallorossi e riduttiva verso i nerazzurri, ma il dato da cui partiva era inoppugnabile.

Ebbene, quest’anno la Roma, con l’arrivo di Borriello, Simplicio, la riconferma di Brighi e il rientro di Rosi, si trovava ad avere un’organico di panchinari di qualità. Sono state invece la crisi societaria, la rottura dello spogliatoio con Ranieri e l’ennesima riproposizione della contrapposizione tra Totti ed ogni altro centravanti - che ha di fatto confinato Borriello in panchina - le note decisive per il mancato appuntamento con una vittoria possibile. D’altra parte, il vistoso calo di De Rossi, l’ennesimo flop di Menez, il calo di rendimento di Vucinic e Pizarro non hanno certo aiutato. Ma, soprattutto, una difesa disastrosa (la seconda peggiore del campionato) hanno impedito alla Roma di alimentare le ambizioni e le speranze della sua tifoseria, sempre pronta a passare dall’entusiasmo alla depressione nello spazio di una partita.

E’ un elemento, quello della sua tifoseria, che risulta determinante nella mancanza di equilibrio generale dell’ambiente Roma e la nuova proprietà, quale che sarà, dovrà certamente mettere in agenda anche il recupero di una serenità ambientale che passa in primo luogo per la definizione trasparente di obiettivi realistici e tempi necessari alla loro realizzazione, così da non offrire per l’ennesima volta le interviste roboanti ad inizio campionato in tandem con le delusioni di fine torneo.

Per quanto riguarda il Napoli, che sembrava dovesse a un certo punto correre addirittura per il titolo, si è trattato comunque di un ottimo campionato. I partenopei hanno dato il massimo di quello che potevano, anzi, sono andati decisamente aldilà delle loro possibilità. Si tratta, infatti, di una compagine che dispone di un fuoriclasse (Cavani), due campioni (Lavezzi, Hamsick) e alcuni discreti giocatori (De Santis e Paolo Cannavaro su tutti). Non ha, quindi, un organico complessivo stellare, nemmeno sulla carta e il futuro non sarà semplice da tracciare. Perché, proprio in vrtù della qualità e della classifica, il prossimo anno per migliorarsi dovrà necessariamente cambiare le sue politiche societarie.

Non solo dovrà fare a meno dell’allenatore, dal momento che l’accordo tra Mazzarri e la Juventus sembra ormai cosa fatta, ma dovrà anche rivedere le politiche economiche generali. Per riuscire a tenere i migliori (Cavani e Hamsick su tutti) e ampliare in qualità e quantità l’organico, De Laurentis dovrà infatti mettere mano in maniera decisa al portafogli, attività che gli risulta, com’è noto, particolarmente antipatica. Ma é il denaro, non il Vesuvio, ad attirare i campioni. Ed è il volume degli investimenti a dire quali saranno gli obiettivi. Pensare di avere giocatori capaci di vincere pagandoli come quelli capaci solo di perdere, è una contraddizione irrisolvibile. La disponibilità a investire del Presidente, dunque, sarà la cartina tornasole delle ambizioni future degli azzurri.

Stessa situazione riguarderà la Lazio, dove il suo presidente chiacchierone, autonominatosi “moralizzatore”, dovrà decidere se continuare a tentare di pescare il jolly low-cost o a mettere mano ai contratti e agli investimenti per dare il valore che manca per trasformare la Lazio da una buona squadra ad una squadra vincente. Anche qui, a parte Zarate ed Hernanes, campioni non se ne vedono, mentre ci sono diversi buoni calciatori, da Ledesma a Muslera, a Biava, Radu, Dias. Il presidente della Lazio dovrebbe trovare, più che le citazioni latine (spesso storpiate) il modo di tacere. Se è a caccia di scandali guardi in casa propria.

Ha acquistato la Lazio con una sorta di mutuo ventennale a tasso zero, grazie all’amicizia politiche con l’allora governatore Storace, dando luogo alla più imbarazzante rateizzazione mai vista da parte dell’Agenzia delle Entrate. La Lazio, com’è evidente, serviva da trampolino per l’investimento vero, quello dello stadio di Valmontone, fulcro di un’investimento edilizio miliardario da cogliere a prezzo irrisorio. Il nuovo stadio è ancora da immaginarsi, mentre le litanie di Lotito (che ha anche perso tutte le cause intentate contro giocatori per inadempienze contrattuali e società di calcio accusate di non avergli pagato cifre che voleva ma che non gli spettavano) non sembrano aver fine.

Se Lotito, invece di minacciare un’improbabile task-force per sorvegliare la regolarità del comportamento arbitrale, ingaggiasse un manager dotato di poteri (e di denaro), la qualità esistente sarebbe un ottima base per il salto di qualità necessario. Invece, c’è da scommetterci, l’estate che verrà vedrà l’ennesima corsa a scoprire eventuali pregi di giocatori sconosciuti che Lotito compra al discount del calcio, senza peraltro disporre del team di osservatori dell’Udinese, del Milan e dell’Inter. E l’aver riconfermato Reja alla guida della squadra, appare invece il preludio a l’ennesima tenuta bassa delle ambizioni biancocelesti.

 

di Fabrizio Casari

Alle 19,50 di sabato sera, il catering di Milanello ha dovuto smontare in fretta e furia la tavola imbandita per festeggiare la conquista dello scudetto. All’89simo minuto della ripresa, infatti, l’Inter ha dato il via al suo show e, con due gol in tre minuti di Pazzini, ha piegato il Cesena, rimandando così di almeno sette giorni la vittoria del Milan. I tifosi rossoneri accorsi hanno ripiegato le bandiere e sono tornati a casa, dove comunque, poche ore dopo, in un Meazza tutto esaurito, si sono gustati la vittoria (faticosa) sul Bologna; cosa che, almeno, ha mantenuto le distanze necessarie per mettere il titolo in cassaforte.

L’andata e ritorno dell’entusiasmo di Milanello è stato uno dei momenti di questo turno di campionato che, mesto e depresso, si avvia a scrivere i verdetti finali di quest’annata pallonara. L’Inter ha prima sofferto e poi superato nel finale il Cesena. Il merito è stato di Pazzini, che di testa e di piede, da destra e da sinistra, nel giro di tre minuti ha colpito due volte la porta cesenate. Il fatto che Pazzini sia subentrato ad un’inutile Pandev racconta abbastanza anche della fortuna, oltre che della determinazione di campioni che non ci stanno ad abdicare facilmente. La squadra di Leonardo gioca lentamente, sotto ritmo e con poca fantasia. E’ prevedibile ed aggredibile, superabile in velocità e aggressività. Ma non nel carattere, che sembra ormai il propellente unico in assenza della famosa benzina ormai in riserva. L’Inter, va ricordato, ha fino ad ora giocato sette partite in più di coppe rispetto ai cugini milanisti e addirittura 12 più del Napoli, per parlare di chi gli sta sopra e di chi gli sta sotto. Ma è evidente che se Leonardo continua a riproporre sempre e solo lo stesso “undici” di partenza, non ci saranno miglioramenti.

Con ancora da disputarsi la partita tra Lazio e Juventus, decisiva per entrambi ai fini del piazzamento in Europa, la giornata ha visto l’unico risultato roboante nella vittoria per 5 a 2 della Fiorentina con l’Udinese. Una partita bellissima e piena di giocate di assoluto valore; su tutte, il gol fantastico di Vargas, cui hanno fatto seguito la doppietta di D’Agostino e di Cerci, gioiellino romanista prematuramente sloggiato da Trigoria.

L’Udinese di Guidolin sembra essersi persa. Le assenze sono importantissime, giacché Inler e Sanchez sono due perni insostituibili della formazione bianconera, ma l’impressione è che, come spesso succede, le squadre di Guidolin hanno una durata splendida ma breve, nel senso che non riescono a coprire l’arco di un’intera stagione. Resta comunque un campionato straordinario quello dei friulani, che troveranno prossimamente un Milan probabilmente già campione. Ad ogni modo le prossime tre partite potranno proiettare l’Udinese in Champions e questo, com’è noto, non è dettaglio cui a Udine siano abituati.

Il Napoli di Mazzarri batte di misura il Genoa, riuscendo così a non perdere terreno nei confronti dell’Inter in vista della battaglia per il secondo posto in classifica che vedrà nell’ormai prossimo scontro diretto al San Paolo con i nerazzurri una sorta di spareggio.

La Roma, come l’Inter, quando non gioca al meglio si aggrappa comunque all’orgoglio e alla classe dei suoi campioni, primo fra tutti Francesco Totti. Pur ridotta in nove da un’eccessiva severità arbitrale, ha ribaltato per due volte il risultato negativo, arrivando a vincere al fotofinish una partita che la porta momentaneamente ad un punto dalla Lazio. Non solo la classe immensa di Totti, che supera baggio nella classifica dei marcatori italiani, ma anche la determinazione e il carattere tirato fuori insieme alle unghie, gli hanno permesso di avere ragione di un Bari che ha comunque giocato una buona partita mostrando una qualità complessiva che non spiega i soli 21 punti fin qui conquistati.

In zona retrocessione ci sono ancora quattro squadre in sei punti. La Sampdoria riesce ad agguantare il pareggio contro un Brescia che ha sfoderato una prestazione maiuscola, diversamente da quanto fatto una settimana prima contro il Milan, perdendo così un’importante occasione per aumentare le distanze dal fossato della serie B. Dal canto suo il Catania di Simeone sembra aver trovato le misure e batte 2 a 0 il Cagliari, mentre il Chievo supera di misura il Lecce. Il Parma batte anche il Palermo, confermandosi così in un periodo eccellente, segnato da vittorie e gol a ripetizione che, in qualche modo, danno fiducia per lo sprint finale.

di Fabrizio Casari

Con la vittoria sul Brescia, il Milan torna ad avere otto punti di vantaggio sull’Inter e solo la matematica gli impedisce di essere già da stasera campione d’Italia. Una vittoria che è giunta in tempo per togliere suspance al campionato e cominciare così a tirare le somme di quest’annata pallonara. Il racconto di queste ultime settimane vedeva il sogno napoletano, la speranza laziale, la fantastica Udinese, la fine ciclo dell’Inter e la crisi della Roma, tutti davanti alla levata di cappello nei confronti del Milan.

Sarà bene però aggiustare il mirino posto sopra le tastiere, perché il Napoli ha perso due partite di seguito e si è bruscamente svegliato dal sogno; la Lazio ha denunciato limiti di personalità al cospetto dei campioni, l’Udinese ha perso proprio quando avrebbe potuto approfittare della sconfitta della Lazio e l’Inter e la Roma, che pure venivano dalla partita di Coppa Italia di metà settimana, hanno sfoderato due ottime prestazioni e portato a casa i tre punti. La questione, ormai, riguarda solo la lotta per il quarto posto, con preliminari di Champions annessi. Quella per il primo e il secondo posto pare ormai al riparo da sorprese. Resta invece tutta aperta la lotta per non retrocedere, fatta eccezione per il Bari che è già in serie B.

L’Inter ha ribaltato una situazione seriamente compromessa, dal momento che a metà del primo tempo si è trovata in svantaggio e con un uomo in meno per l’espulsione di Julio Cesar. Espulsione discutibile, giacché il portiere non era l’ultimo uomo, dunque un cartellino giallo doveva essere sufficiente. Ma la squadra di Leonardo, pure stanca, non ha dimenticato cosa sia l’orgoglio di un grande gruppo: ha preso la partita in mano ed è andata prima a pareggiare e poi, nella ripresa, a vincere, nonostante abbia dovuto sostituire per infortunio sia Stankovic che Snejider.

Partita bella, intensa, combattuta. Decisamente messa bene in campo, con un modulo molto più coperto ed equilibrato di quello utilizzato fino alla sconfitta a Parma, l’Inter ha vinto con il carattere. La Lazio, il cui ambiente aveva pronosticato la vittoria a Milano per tutta la settimana, ha invece dimostrato carenze in fatto di personalità ed esperienza e, probabilmente, si è illusa di avere doti di palleggio superiori a quelle di cui effettivamente dispone. Ma, forse, l’inizio blando dei nerazzurri l’aveva illusa circa la vulgata generale per la quale ormai i campioni sono archiviati. Non è così, almeno non ancora, visto che in tre giorni hanno vinto in trasferta contro la Roma e in casa contro la Lazio. Aspetto di contorno, ma non meno importante, è stato vedere i tifosi dell’Inter e quelli della Lazio mischiati in tribuna. Si deve ad un ormai storico gemellaggio tra le tifoserie. Non è spettacolo consueto, purtroppo.

Il risultato sorprendente di questa giornata é quello dell’Udinese, sconfitta in casa dal Parma. Certo, il fatto che entrambi i gol di Amauri siano viziati dalla posizione di fuorigioco non depone benissimo per l’arbitro romano Valeri e i suoi assistenti, ma i friulani sono comunque apparsi sottotono rispetto alla settimana scorsa, dove avevano sdraiato il Napoli in trasferta. Soprattutto nervosa (in particolare Inler che aggredisce l’arbitro e che rischia di aver finito il suo campionato), chiede falli a ripetizioni in gran parte inesistenti e non riescono mai a sviluppare il gioco che li ha resi importanti. I tifosi, spinti da quanto vedono in campo, fischiano e rendono il clima ulteriormente incandescente, ma la squadra di Guidolin si è dimostrata incapace di cogliere l’opportunità di piantare bene i piedi in zona Champions per vizio di maturità. E’ la terza sconfitta in quattro partite e solo il prossimo turno dirà se la grande corsa dell’Udinese è già finita.

Il Napoli prende la seconda sconfitta nelle ultime due partite. Stavolta il Ciuccio sbatte contro il Palermo che, con il ritorno di Delio Rossi pare aver ritrovato grinta, se non un gioco. Dopo un’inizio incoraggiante, nel quale trova un rigore grazie ad una ingenuità di Cassani, dalla seconda metà del primo tempo la squadra di Mazzarri ha decisamente subito l’intensità di gioco dei rosanero, che prima pareggiano e poi si portano in vantaggio. Poteva anche andare peggio al Napoli, giacché Damato nega un rigore netto al Palermo. E anche nella ripresa va sottolineato come i siciliani abbiano giocato meglio e sprecato molto: con un po’ di cinismo sotto porta poteva finire in goleada. Par di capire che l’onda lunga dei partenopei si sia infranta sugli scogli.

Niente da fare, invece, per la Juventus, con l'Europa. Nè la zona Champions, né quella dell'Europa League, sembrano ormai allaportata della squadra della famiglia Agnelli. Nemmeno una doppietta di Del Piero é stata sufficiente per piegare il Catania, che nel finale ha agguantato il pareggio. La panchina di del Neri diventa ora decisamente bollente. La Roma ha reagito con una buona prestazione alla sconfitta patita contro l’Inter in Coppa Italia e il risultato finale è decisamente avaro viste le occasioni da gol prodotte dai giallorossi, contro un Chievo però decisamente arrendevole che, evidentemente, si ritiene ormai salvo e lascia l’anima a Verona.

La Sampdoria domina sul Bari e trova finalmente una vittoria, ossigeno vero in questa fase del torneo. Cavasin centra la prima vittoria sulla panchina blucerchiata e aggancia il Lecce al terz'ultimo posto - ma, in virtù degli scontri diretti con i pugliesi, la Samp sarebbe salva. Il condizionale è d’obbligo però. Sono invece vitali i tre punti raccolti dal Cesena contro il Bologna. A dire il vero, il derby regionale è stato uno degli spettacoli più noiosi di questo campionato, ma il Cesena, almeno, quando ha deciso di vincere c’è riuscita. La sua posizione di classifica, ora, è più confortevole, un punto in meno del Parma di Colomba (al secondo risultato utile e contro due grandi squadre) e sopra a Catania, Sampdoria, Lecce e Brescia.

E seil Brescia ha fatto harakiri perdendo con il Milan, candidandosi cosìprepotentemente alla discesa in B, anche i salentini, che sembravano aver messo un piede in salvo, perdendo in casa del Genoa si trovano di nuovo in zona pericolo. Il fatto è che da ora nessuna delle ultime può più permettersi di non vincere tutte le gare rimanenti da qui alla fine. In otto punti ci sono sette squadre, molte speranze e scarni bilanci.

 

di Fabrizio Casari

A cinque giornate dalla fine del torneo, i risultati e la conseguente classifica sembrano già aver impugnato la penna per scrivere la sentenza finale. Hai voglia a dire che ci sono ancora cinque gare e che tutto può succedere: sarà anche vero che solo la matematica offre sentenze inappellabili, ma i campi qualche indizio robusto lo offrono comunque. Il primo, forse il più significativo, riguarda ovviamente la corsa verso il titolo, che pare ormai definitivamente assegnato al Milan.

Complice il capitombolo del Napoli in casa contro l’Udinese e l’implosione dell’Inter, che perdendo a Parma ha raccolto la quarta sconfitta nelle ultime cinque partite tra campionato e Champions. Il Milan, dal canto suo, ha letteralmente schiacciato la Sampdoria con un 3 a 0 che non offre discussioni e ha ormai sei punti di vantaggio sul Napoli e otto sull’Inter.

Se quindi l’assegnazione dello scudetto non pare ormai aver storia, le questioni più interessanti riguardano il piazzamento in zona Champions e la lotta per la retrocessione. Conta molto meno, invece, il piazzamento in zona Europa League, dal momento che le squadre italiane hanno già dimostrato (stupidamente) di non prestare particolare interesse a questa competizione; che sarà anche meno prestigiosa della Champions, ovvio, ma che porta comunque trofei, esperienza, vittorie possibili ed incassi che non andrebbero sottovalutati.

Ovvio che i giocatori la pensano in modo diverso; per loro si tratta di un impegno faticoso eccessivo in rapporto al prestigio della competizione. E’ uno degli elementi strambi del calcio italiano che, avendo visto precipitare il suo rating, dal 2012 porterà solo tre squadre (e non più 4) in Champions.

In pochi pensavano che la gara di Napoli sarebbe stata una passeggiata per i ragazzi di Mazzarri, ma in pochissimi ritenevano che addirittura l’Udinese potesse fare il colpaccio, a maggior ragione vista l’assenza di Sanchez e Di Natale, le due perle bianconere. E invece la squadra di Guidolin, ottimamente schierata in campo, imponendosi per due a uno ha strappato i tre punti e, con essi, un pezzo di cuore alla Napoli calcistica che cominciava davvero ad accarezzare il sogno. Cavani, il bomber che ha messo le ali agli azzurri, sbaglia un rigore e il fatto che i gol dei friuliani siano venuti dal suo ex centravanti Denis e dalla sua futura matricola Inler, aggiunge solo un pizzico di scaramanzia al risultato.

La sconfitta dell’Inter a Parma era in qualche modo annunciata. I nerazzurri sono davvero in debito d’ossigeno quanto di motivazioni e il calcio, invece, si gioca con testa, piedi e polmoni. Il Parma aveva disperato bisogno di punti e trovare una squadra in disarmo come l’Inter era un’occasione da non perdere per tentare di migliorare la classifica. Leonardo nelle ultime due settimane ha letteralmente bruciato quanto di positivo aveva cumulato tra gennaio e marzo, con un’Inter che aveva dato luogo a una rincorsa straordinaria da quasi metà classifica al secondo posto.

L’idea di calcio di Leonardo avrebbe bisogno di un altissimo tasso tecnico e atletico cui affidare la supplenza dell’equilibrio nello schieramento. Ma il primo vive solo se c’é il secondo e una rincorsa come quella durata 15 partite azzera le energie e, con esse, rende sterile la tecnica. Turn over mancato e infortuni a catena spiegano solo in parte il quadro attuale: la verità è che l’Inter è stata vittima di errori di Milito in zona gol costati diversi punti, altrettanto dicasi per una difesa mai adeguatamente protetta dal suo centrocampo. Se non vincerà la Coppa Italia - ma forse anche vincendola - Leonardo vedrà quindi la sua carriera di allenatore finire precocemente.

Sempre per quanto riguarda la zona Champions, a meno di miracoli pare compromessa la presenza della Roma nella prossima stagione. Nonostante i rosanero nel primo tempo non avessero certo messo i giallorossi alle corde (per usare un eufemismo) e nonostante il vantaggio, la Roma ha presto esaurito il fiato e la concentrazione necessaria, alla quale si è aggiunta la faciloneria - al limite dell’indisponenza - mostrata da Vucinic in zona gol. Montella non ha spiegato il perché dell’esclusione di Borriello: o meglio, l’ha spiegato in un modo tale che forse era meglio tacere. Secondo l’allenatore della Roma, infatti, farlo giocare avrebbe messo in discussione la presenza e il ruolo di Totti; dunque, la panchina era la soluzione necessaria.

Ora, dire che la Roma non è in grado di giocare con due attaccanti è davvero teoria bislacca che, oltre a non avere senso, sconfessa la scelta di acquistare Borriello (avendo già Vucinic e Totti) nell'estate del 2010. Intanto, però, l’esclusione dell’attaccante calabrese si è accompagnata con un ciclo negativo. Ad ogni modo la sconfitta casalinga contro il Palermo non è certo stata la maniera migliore per celebrare l’accordo per il passaggio di mano della società; un’acquisizione che, nonostante alcuni passaggi ancora da interpretare, segna comunque la fine della gestione Sensi e, per la prima volta in Italia, vede la proprietà di una squadra nelle mani di stranieri.

La Lazio, invece, non fa sconti e asfalta il Catania. Una partita senza storia con la squadra di Reja che va di goleada. Si trova ora al quarto posto e a soli 3 punti di distanza dall’Inter che occupa il terzo, quattro punti sopra l’Udinese e ben sette sopra i “cugini” romanisti. A questo punto la partita tra Inter e Lazio definirà con molta probabilità il nome della terza e della quarta in classifica. Anche perché la Juventus, fermata a Firenze dalla squadra di Mihajilovic, interrompe la serie positiva delle ultime gare e resta lontana dalle prime quattro posizioni.

In zona retrocessione c’è invece da registrare l’ormai probabile discesa in B della Sampdoria. Non lo meritano i suoi giocatori, mentre lo meritano alcuni dei suoi tifosi; quelli cioè che dopo la sconfitta con il Milan hanno assalito con pietre e bastoni il pulman della squadra minacciando di morte i giocatori. Sarebbe bello che i giocatori si rifiutassero di giocare la prossima gara per protestare, ma resterà un sogno.

Crolla il Brescia, che pure doveva fare risultato. Il Genoa s’impone con un rotondo 3 a 0 e la situazione di classifica delle Rondinelle resta decisamente problematica. Il Lecce, invece, riprende una partita che sembrava persa e si porta sul 3 a 3. Più che per la sua situazione di classifica, dove un punto serve poco, il pareggio è però segno di una volontà di non mollare che inietta autostima, cioè la componente fondamentale per il rush finale dove si deciderà chi potrà restare nella massima serie. Sempre in zona retrocessione, il Cesena coglie una vittoria importante sul Bari, ormai condannato, imponendosi per 1 a 0. Si trova con due punti sopra il pacchetto delle tre ultime e anche due punti, nelle prossime cinque partite, potrebbero fare la differenza. Appena sopra, il Chievo rifila due gol al Bologna e prende i tre punti. Non sufficienti per stare tranquilli, ma anche non così vicino al baratro dall'aver paura di caderci dentro.

 

 


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