di Fabrizio Casari

Una serata in stile Hallowen, con diversi scherzetti e scarsi dolcetti. Gli scherzetti hanno riguardato Napoli e Roma e i dolcetti sono andati invece nelle fauci di Juventus e Lazio, con la prima che ha avuto ragione del Bologna un minuto prima della fine e la seconda che ha ottenuto un pareggio dopo essere stata per diverso tempo sotto di un gol. Ma è l’Inter che si prende doppia razione di dolcetti, battendo la Sampdoria e, causa sconfitta dei partenopei,  conquistando la seconda posizione in classifica a quattro punti dalla Juventus.

Nuovamente sconfitta la Roma e ancora una volta dopo essere passata in vantaggio. Qui è chiaro che la capacità della squadra di gestire il flusso della partita, scandirne i tempi e controllarne gli sviluppi è decisamente scarso. Sono ormai un numero esagerato le partite nelle quali i giallorossi vanno all’attacco, segnano e poi si fanno riprendere e, spesso, addirittura superare. Zeman non può non porsi domande nette sulla sua capacità di trovare soluzioni in campo e feeling nello spogliatoio, anche solo per non doversi caricare sulle spalle le responsabilità sue e anche quelle che gli appartengono solo in parte, essendo a carico della dirigenza che ha voluto impostare una campagna acquisti senza raziocinio. Ma certamente non può andare avanti sostenendo di non dover cambiare niente. La coerenza è una virtù, la cocciutaggine è un difetto.

Sull’altra sponda del Tevere, la Lazio appare stanca e non attraversa un momento felice. In due turni di campionato ha perso cinque punti nei confronti dell’Inter che ora la precede. Le assenze di Ledesma e Hernanes sono pesanti oggettivamente, ma diventano pesantissime proprio per la mancanza di alternative in panchina. Peraltro, l’unico giocatore che potrebbe svolgere con decenza i compiti di Hernanes si chiama Matuzalem, ma tanto per restare nella tradizione, Lotito lo ha messo fuori rosa causa contrasti circa il mercato. Il presidente a costo zero della Lazio non solo infatti non compra quanto sarebbe necessario, ma non cerca nemmeno di garantire una formazione di qualità sui 15-16 elementi. Inevitabilmente, dunque, Petkovic dovrà fare buon viso a cattiva sorte, tentando di ridurre al minimo le difficoltà.

Il Napoli pare trovarsi decisamente in una fase problematica. Le difficoltà della Champions si ripercuotono sul campionato e viceversa e, anche qui, una panchina ridotta all’osso in termini di qualità non può che far pagar pegno. A questo si aggiunge l’ormai evidente disagio di Mazzarri e la situazione di gelo con De Laurentiis che non può che riflettersi nello spogliatoio. Puntare sulla coppia d’oro Cavani-Hamsick non può bastare. Ogni partita dove i due non sono al massimo dei giri, rischia di diventare un’occasione butatta e punti mancanti per il Napoli.

Non perde colpi invece l'Inter, che batte la Sampdoria esibendo il suo trio d'attacco con l'aggiunta di un Guarin in netta ripresa. Ottava vittoria consecutiva per gli Strama-boys e la sensazione che la crescita della squadra continui senza sosta. Aver raggiunto il secondo posto solitario in classifica racconta bene una squadra che sa vincere giocando bene e meno bene, che sa essere camaleontica nell'assetto e che riesce a non perdere mai il controllo sostanziale delle partite. Un avversario degno per la sfida alla Juve.

Già, perché dopo tante settimane a domandarsi chi possa essere “l’anti-Juventus”, ecco che proprio sabato sera, a Torino, Juve e Inter s’incontreranno in una gara che, oltre ad essere il “classico” del campionato italiano, stavolta è anche la sfida tra prima e seconda in classifica. Troppo presto per definirla una sfida decisiva per il campionato, troppo riduttivo definirla solo uno scontro tra le due antagoniste per eccellenza del calcio nostrano.

La Juventus acciuffa all’ultimo minuto la vittoria contro il Bologna e riesce così a mantenere il distacco in classifica di quattro punti. Il risultato potrebbe far pensare ad una prestazione sotto tono, ma così non è stato. Solo che alla Juventus manca l’attaccante che risolve la gara e per questo a volte il gol diventa un’operazione più difficile. Per risparmiare alcuni giocatori in vista della partita contro l’Inter, Conte e i suoi vari sostituti hanno risparmiato mezza squadra.

Atteggiamento diverso da parte di Stramaccioni, che ha invece mandato in campo persino due giocatori diffidati nella partita vinta contro la Sampdoria. L’allenatore dell’Inter ha spiegato che voleva inviare un messaggio chiaro ai giocatori e, forse, anche alla Juventus. Alla partita si arriva anche con un ambiente - quello interista - che tiene i toni bassi, mentre quello juventino protesta, urla e punta il dito contro non meglio precisati nemici, quasi a doverne intravvedere per poter riuscire a tenere alta la concentrazione.

Ma comunque vada a finire la sfida di Sabato, due cose sono certe: la Juventus resta la squadra più forte e il venir meno della migliore forma da parte di alcuni dei suoi big non le impedisce di vincere e mantenersi al comando. L’Inter, su cui pochi avrebbero scommesso, di partita in partita costruisce gioco e vittorie e le statistiche dicono che i numeri sono straordinari.

Peraltro, la vittoria di ieri porta Stramaccioni ad eguagliare Trapattoni nel numero di vittorie consecutive dalla panchina dell’Inter. Sabato prossimo, quindi, Juventus e Inter saranno chiamate a confermare quanto visto fino ad ora e sarà una partita che, per la sua importanza “classica” e quest’anno persino di classifica, riporta alla storia di sempre della lotta tra le due squadre per il vertice del calcio italiano.

di Fabrizio Casari

L’Inter batte nettamente il Bologna e, solo per qualche ora, si porta al secondo posto in classifica, superando la Lazio e il Napoli. Poi in serata la vittoria del Napoli riporta i nerazzurri al terzo posto ma senza il condominio con la Lazio. La Juventus espugna Catania e resta solitaria al comando della classifica. I quattro punti di distanza, ove rimanessero tali anche dopo il prossimo turno infrasettimanali, saranno la benzina sul fuoco di sabato prossimo, quando i nerazzurri faranno visita ai bianconeri. Classifica cambiata, dunque, ma non solo per merito delle squadre. Gli arbitri, infatti, ad eccezione di Bologna e di Torino, hanno decisamente orientato in negativo la nona giornata di campionato.

A Catania come a Firenze, ma anche a Napoli e in qualche misura a Roma, le scarsissime prestazioni dei direttori di gara e dei loro assistenti hanno infatti prodotto ingiustizie, polemiche conseguenti e, soprattutto punti a favore e contro che per qualche squadra, in un campionato come questo, per pochi che siano potrebbero a Maggio rivelarsi decisivi.

Che da quattro siano diventati sei, oltre il cosiddetto “quarto uomo”, non ha cambiato la percentuale di errori con cui gli arbitri italiani sono soliti disegnare a modo loro gli esiti del torneo. Che senso ha avere arbitri di porta se poi non sono in grado di supportare assistenti e direttore di gara? La domanda è: possibile che una posizione di fuorigioco non venga vista o venga rilevata ingiustamente da almeno otto occhi?

Sarà anche un po’ esagerato Pulvirenti, presidente del Catania, quando dice che è stata la panchina della Juve a far annullare il gol regolare di Bergessio, inizialmente convalidato dal guardialinee, e quando afferma che le 48 partite di fila senza sconfitta della Juventus possono continuare per sempre se le sconfitte si evitano così; ma certo è che quanto avvenuto a Catania ricorda brutte epoche nel quale sul campo si rubava, altro che si vinceva. Perché un errore ci può stare, ma due o tre nell’arco della stessa partita e tutti nella medesima direzione più che a tre errori è legittimo pensare a tre indizi.

Che lo stesso assistente giudichi in maniera opposta due situazioni simili, non induce ai migliori pensieri, essendo il metro di valutazione obbligatoriamente univoco per definizione. Ed appare almeno singolare che i favori arbitrali alla Juventus vedano sempre Rizzoli come protagonista, una coincidenza davvero diabolica.

Che poi si decida dopo lunghe consultazioni (circondati da giocatori juventini che non vengono allontanati) davvero offre ulteriori elementi disperanti nella valutazione complessiva della nostra classe arbitrale. Ma peggio, molto peggio di Pulvirenti, è stato Marotta, che, dopo aver ammesso che l’arbitro ha sbagliato (non poteva dire altrimenti) ha aggiunto che comunque la Juventus avrebbe “vinto ai punti”.

Ma di che punti parla Marotta? Sa cos’è il calcio e la differenza che c’è con il pugilato? O questa della vittoria ai punti è l’ennesima versione dei “vinti sul campo”? Non conta il fatto che la Juventus abbia disputato un’ottima partita, perché un gol lo aveva subito regolarmente e il suo era invece irregolare. Quante sono le sconfitte immeritate? Centinaia e nessuna può essere mettere in discussione valutandola  “ai punti”.

E dal momento che anche la scorsa settimana una svista contro l’Inter aveva penalizzato il Catania, la squadra siciliana può legittimamente invocare un avvocato difensore del quale pare non essere dotata ai piani alti del Palazzo. Il risultato con il quale la partita doveva terminare - sul campo - era la vittoria per uno a zero del Catania. Così non è stato e, come unica, parzialissima, consolazione, si può dire che il Catania è di tale livello rispetto alle altre medie e piccole, che i tre punti che le sono stati rubati non saranno decisivi per la posizione nella classifica finale.

A Firenze, del resto, le cose non sono andate meglio. La Lazio, battuta per due a zero da un’ottima Fiorentina, si è però vista annullare un gol regolare firmato da Mauri e ha finito la partita in nove per due espulsioni. Fatta salva la legittimità - ma condita di notevole fiscalità - delle decisioni disciplinari su Hernanes e Ledesma, l’aver annullato un gol regolare ha inciso non poco sulla partita. Comunque, la Lazio aveva meritato sul campo un altro risultato, ma prima o poi una sconfitta doveva arrivare. Il prossimo turno sarà complesso, perché rinunciare alla qualità e quantità a centrocampo rappresentate dal brasiliano e dall’argentino non sarà semplice, vista anche l’esiguità qualitativa della panchina biancoceleste.

La settima vittoria consecutiva dell’Inter di Stramaccioni indica che il cantiere nerazzurro comincia a dimostrare di essere fatto da buonissimi operai e buoni architetti. Il gioco dei nerazzurri, infatti, pur migliore di partita in partita, non è spumeggiante, ma la fisicità e il carattere della squadra si sentono moltissimo.

Stramaccioni ha ormai impostato non solo un attacco con tre interpreti di notevolissimo spessore - Milito, Palacio, Cassano - e una buona difesa a tre (con i laterali in arretramento nella fase difensiva) ma anche un centrocampo a tre composto da due mediani di corsa e forza come Gargano e Mudingay che permettono di liberare dai compiti di marcatura Cambiasso che svolge in modo straordinario il ruolo di playmaker.

Significativa la seconda rete proprio del centrocampista argentino, giacché l’azione parte proprio da lui che libera davanti l’area dell’Inter e si conclude con il suo gol nell’area del Bologna. Era dai tempi di Mancini e Mourinho che Cambiasso non sfoderava prestazioni così, sostenendo sia la fase difensiva che la finalizzazione.

Il Milan ha preso un brodino caldo battendo un Genoa che messo così male non lo si era mai visto negli ultimi anni. Un gol di El Shaarawy riporta un po’ d’ossigeno alla squadra e ad Allegri, ma la respirazione appare ancora corta. In assenza di Pato (che viene pure fischiato appena rientra, mentre i fischi andrebbero indirizzati a Milan Lab) il giovane di origine paterne egiziane porta la croce e anche la bombola. La vittoria sul Genoa, comunque, pesa eccome, vista la situazione di classifica, dove sette dei dieci punti sono arrivati proprio grazie ad El Shaarawy.

Il Napoli ritrova la vittoria battendo in casa il Chievo che, giustamente, lamenta un rigore non concessogli dall’arbitro. Con questa vittoria i partenopei riescono comunque a mantenere il secondo posto in classifica con un punto di vantaggio sull’Inter e la cosa ha una sua oggettiva importanza, visto lo scontro diretto tra Juve e Inter tra due turni.

La Roma ripiomba nel baratro, facendosi battere in casa dall’Udinese per 3 a 2 dopo che era andata in vantaggio per 2 a 0. I giallorossi non riescono a gestire la gara proprio sotto il profilo del carattere: gli basta prendere un gol, cosa non difficile vista una difesa tutt’altro che ermetica, e la squadra si sfalda. Otto partite e quindici gol subiti raccontano bene gli errori di mercato, di posizionamento in campo e di gestione delle partite.

Non è una novità che le squadre di Zeman siano perforabili difensivamente, ma le loro note capacità di ribaltamento del risultato sembra che a Roma non abbiano licenza. Quanto questo sia da addebitare alla crisi dei rapporti nello spogliatoio o, invece, alla difficoltà di metabolizzare gli schemi del boemo è difficile dirlo, forse entrambe le cose. L’Udinese, che aveva sei titolari fuori squadra, si è anche permessa di realizzare il rigore (generoso) con Di Natale che sfodera il “cucchiaio” nello stadio del suo fan, Francesco Totti. Zeman parla di sette punti che mancherebbero alla Roma causa sviste arbitrali, ma il conteggio é come minimo esagerato.

Il tecnico boemo dovrebbe invece spiegare come sia possibile che mezza squadra non lo ascolti e l'altra mezza sia assolutamente inadeguata a giocare in prima squadra. La Roma, diversamente dal Pescara, ha ambizioni commisurate alla sua importanza e dunque aver ignorato le sue carenze difensive per andare a prendere il fino ad ora inutile Destro, non é da addebitarsi agli arbitri. Il mercato di Gennaio dovrà portare almeno due difensori di valore a Roma, senza i quali i giallorossi rischiano davvero un annata persino peggiore di quella con Luis Enrique.

Torino e Sampdoria battute in casa. L’aria per Ferrara si fa decisamente pesante e la bella corsa delle prime partite sembra essere solo un pallido ricordo.

 

 

 

di Fabrizio Casari

Non fosse che il campionato è ancora alla metà del girone d’andata, le partite del turno appena giocato, con Juve, Lazio e Inter vittoriose, sembrano in qualche modo rappresentare dei verdetti più che dei risultati. Il primo, inappellabile al momento, è che la Juventus è campione in carica e tale resterà. Troppo forte la compagine allenata da Conte per le altre o troppo incomplete le altre per starle dietro è materia di discussione, ma la certezza la offrono i risultati.

La squadra gira e quando alcuni trovano una giornata storta, una panchina di primordine diventa la soluzione. Il risultato di Torino è giusto, non tanto perché il Napoli non abbia profuso l’impegno necessario, ma proprio per la differenza tra le due panchine. La scarsa vena di Hamsick, factotum dei biancocelesti, è stata la chiave della sconfitta del Napoli. Doveva limitare Pirlo e inserirsi negli spazi delle ripartenze napoletane, ma non è riuscito a fare né l’una né l’altra cosa.

Si è vista in campo una sostanziale differenza tra le due squadre: la Juventus è squadra corale, capace di ridurre al minimo l’eventuale  mancanza di forma di alcuni dei suoi, mentre il Napoli è squadra più legata alle performances di due o tre giocatori - Hamsick e Cavani soprattutto - ed è quindi destinata a soffrire se alcuni di loro giocano sotto tono. La differenza tra le panchine, volendo, può essere riassunta così: la Juve entra in campo in undici ma gioca in quattordici grazie alla sua panchina. Il Napoli entra in campo in undici e senza i due straordinari solisti gioca in nove, non avendo in panca giocatori capaci dì inserirsi e di supplire ai compiti non svolti da loro. Il fatto che poi, come sabato scorso, la fortuna gli venga in soccorso, è un altro elemento da considerare, ma a patto di ricordarsi che la fortuna arriva solo a chi la merita.

Detto della vittoria juventina, l’altro risultato importante è la vittoria della Lazio sul Milan, che sancisce un risultato per la Lazio e un verdetto per il Milan. La partita, mai in discussione, ha visto il predominio netto dei laziali, capaci di fisicità e tecnica combinate, risultato di un lavoro di ristrutturazione che Petkovic ha cesellato come un architetto di grido, inserendo al tessuto della squadra allenata da Reja una disponibilità ad affrontare gli avversari in campo aperto grazie ad una mentalità decisamente più offensiva. Ha un’organizzazione collettiva che copre sufficientemente la scarsa cifra tecnica di alcuni suoi giocatori.

A questa, però, contribuisce anche la straordinaria forma di Klose, capace di mettere in porta ogni pallone ma, al contempo, di partecipare attivamente alla manovra offensiva al punto di divenirne parte integrante della sua costruzione e finalizzazione. E va evidenziata anche l’incidenza di un Candreva ormai decisamente maturo. Ma quello che è davvero da sottolineare è l’apporto del duo Hernanes-Ledesma alla costruzione del gioco, con il primo a fungere da straordinario ispiratore della manovra e il secondo efficacissimo organizzatore del posizionamento della squadra nelle due fasi. Una difesa ormai registrata, difficile da superare, completa la fisionomia dei biancoazzurri, decisamente candidati a migliorare ulteriormente la già ottima classifica dello scorso anno.

Per il Milan un’altra sconfitta che non fa che confermare lo stato catatonico di una squadra che sbaglia tutto ciò che è possibile sbagliare. Alla vigilia della gara, Massimiliano Allegri aveva garantito che l’attuale posizione in classifica dei rossoneri già a Natale sarebbe stata diversa, molto diversa.

Dopo la sconfitta con la Lazio, però, ai giornalisti che chiedevano cosa si aspettasse per una panchina che di domenica in domenica sembra passare dallo scricchiolio allo sgretolamento, ha risposto: “Non dovete chiedere a me, ma alla mia società. Dobbiamo uscire da questo periodo e risalire in fretta la classifica, perché altrimenti rischiamo di essere inghiottiti nel fondo della classifica”.

L’inutile Pazzini, lo spento Boateng e Nocerino sfiduciato non possono essere solo frutto di involuzioni personali; c’è una mancanza evidente di fiducia nei confronti dell’allenatore e si avverte il clima di fine impero dai vertici fino ai magazzinieri, anche perché non é consueto vedere il Milan immediatamente prima della zona retrocessione.

Allegri non pare certo un allenatore attrezzato per affrontare simili emergenze e il turno infrasettimanale di Champions dirà se il Milan è in grado di proseguire in qualche modo, se cioè ritrova in Europa quello che pare aver smarrito in Italia e se Allegri sarà l’uomo con cui proseguire il cammino. Appare però assai difficile invertire le sorti di questo difficile anno, che doveva essere di transizione ma si sta rivelando di agonia.

La base sulla quale si sarebbe dovuto ricostruire non ha nessuna caratura vincente e per il Milan si tratta di ricostruire completamente squadra e settore tecnico. La squadra é in ritiro, un provvedimento che nemmeno l'epoca di Tabarez vide. Ma forse dovrebbe ritirarsi chi ha dato Cassano e sette milini e mezzo di euro per Pazzini, chi ha tenuto Pato e ha venduto Ibra e Thiago Silva. Un pentimento pubblico non sarebbe sgradito.

Al Meazza è andata in onda una partita divertente, con 13 argentini su ventidue giocatori in campo. Sembrava il derby di Buenos Aires. La vittoria dell’Inter è il terzo verdetto della giornata, perché indica sostanza e prospettiva al tempo stesso. Sostanza perché i nerazzurri hanno un attacco che realizza, un centrocampo che gioca discretamente e perché sa blindare la sua difesa.

Un Cambiasso degno dei tempi migliori, uno straordinario Ranocchia, un ottimo Juan Jesus e un Cassano mai così goleador sono il simboli più evidenti di questa squadra che è ancora in costruzione ma, al momento, dimostra di possedere una duttilità tattica e un carattere che ne garantiscono un rendimento già importante.

Di prospettiva perché si porta a un punto dal Napoli e non perde terreno nei confronti della Lazio. La vittoria della squadra allenata da Stramaccioni  non è da sottovalutare, perché nessuna grande ha avuto vita facile con il Catania, che ha tre elementi - Lodi, Bergessio e Gomez - che ben figurerebbero in piazze ben più ambiziose, un gioco palla a terra di notevole qualità e una rapidità difficile da affrontare.

Diversamente da Juventus, Napoli e Lazio, che hanno cambiato poco o niente negli organici rispetto allo scorso anno, l’Inter ha cambiato molto nei suoi titolari. Contro il Catania sei giocatori non vestivano la maglia interista la scorsa stagione. Come la Juventus - dalla quale però la distanza è ancora molta sotto diversi profili - ha il vantaggio di avere una panchina ampia e di qualità e il rientro di Chivu, Stankovic e Snejider aggiungerà tecnica ed esperienza. Prospettiva, dunque, perché tra le quattro della zona alta sembra quella con maggiori margini di crescita.

La Roma torna alla vittoria dopo le polemiche che avevano intasato società, spogliatoio e media negli ultimi quindici giorni, amplificate dalla sosta e ampliate dai gol di De Rossi e Osvaldo in nazionale. Se Zeman chiedeva una reazione l'ha trovata, se voleva delle risposte, le ha avute. Espugnare Marassi non é una passeggiata e i giallorossi hanno mostrato di saper reagire alle difficoltà. Oltre a Osvaldo, De Rossi, Totti e Lamela, una sottolineatura é d'obbligo per Castan, il miglior acquisto della Roma di quest'estate e uno dei migliori in assoluto del passato calciomercato.

Tecnicamente buono, fisicamente forte, é capace di leggere la fase difensiva come se fosse molto più adulto: il brasiliano rappresenta davvero una certezza per il pacchetto difensivo della Roma. Adesso tutte le squadre che precedono la Roma dovranno giocare le copper, mentre i giallorossi riposeranno. Un tempo utile per meditare e ritrovare l'unità interna, dando la possibilità al suo allenatore di ragionare e capire come migliorare l'approccio alla gara. Anche a Genova, infatti, pur se vittoriosa, la Roma dopo un quarto d'ora era già sotto di due gol. E non sempre le rimonte riescono.

 

 

di Fabrizio Casari

Il derby di Milano, emotivamente bellissimo ma brutto assai dal punto di vista spettacolare, dice fondamentalmente una cosa: il percorso di ricostruzione delle due milanesi procede con ritmi e contenuti diversi. La stracittadina vede sì la vittoria di un Inter capace di soffrire, ma soprattutto l’insipienza di un Milan incapace di sfruttare la superiorità numerica e la maggior freschezza dell’avversario rientrato a Milano all’alba di venerdì dalla trasferta europea in Azerbajian. Le due squadre milanesi vivono in modo decisamente diverso la nuova fase post- grandi fasti di mercato e sperperi vari. Cominciamo dai nerazzurri.

L’Inter è squadra. A volte brillante e a volte meno ma sa giocare le due fasi - offensiva e difensiva - più che discretamente, dimostrando una capacità di adattamento agli avversari prima e allo svolgimento delle gare poi, tipica di un gruppo solido. Certo, l’esperienza e la sapienza tattica di alcuni dei suoi senatori e la freschezza atletica di giocatori ritrovati (Ranocchia) e felici sorprese (Juan Jesus) contribuiscono in modo determinante alle vittorie che solo la scarsa vena di Milito impediscono di essere rotonde e nette.

Il merito principale della trasformazione dei nerazzurri è certamente di Stramaccioni, che ha trovato una comunicazione interna fluida, una disponibilità al sacrificio anche da parte dei senatori dello spogliatoio e una intelligenza tattica che gli ha fatto capire quanto la sua prima Inter iperoffensiva e spettacolare pagasse pegno esagerato nelle ripartenze degli avversari. Ha quindi blindato la difesa portandola a tre in fase di possesso palla e a cinque in fase non possesso (come la Juve e il Napoli). La mancanza di un regista impedisce, del resto, una squadra vocata al dominio del centrocampo, ma la fase difensiva è molto efficace e non priva di una sua estetica. Adesso segnare all’Inter è un problema, mentre comunque il suo attacco garantisce che un gol o due in qualche modo li segna. Una panchina di tutto rispetto, ampia e di qualità, permette un buon turnover e consente di poter giocare anche sette partite in quattordici giorni. Concretezza da vendere.

Il Milan vive decisamente un’altra fase. In primo luogo la sua ricostruzione è vittima di una destrutturazione molto più pesante: se infatti dall’Inter sono andati via giocatori comunque incamminati verso il viale del tramonto, da Milanello sono partiti giocatori come Ibra e Thiago Silva che sono ancora lontanissimi dal mollare. Inoltre, dalle individualità dello svedese e del brasiliano dipendevano oltremodo le sorti delle partite: uno pensava a non prenderle, l’altro a darle. Complessivamente, dunque, vendere Thiago Silva, Ibrahimovic e Cassano ha significato stroncare il tasso di classe della squadra. Montolivo e Pazzini sono due buoni giocatori, ma non certo capaci di cambiare le fisionomie e i risultati di squadre condannate a lottare per vincere. Possono svolgere un ruolo straordinario a Genova, Firenze, Palermo, Udine, ma non a Milano o a Torino, o anche a Roma, dove il calcio è altra storia.

C’è poi il “fattore Allegri”. L’allenatore toscano ha due grandi responsabilità nel recente passato e una nel presente: quelle del passato  sono di aver voluto la cessione di Pirlo e di aver reso il Milan troppo dipendente da Ibra; quella del presente è di non aver saputo dare alla squadra una fisionomia, una identità, uno schema di gioco. Proprio perché Allegri si è fatto le ossa in piccole squadre prima di trovarsi catapultato nel Milan, avrebbe avuto le conoscenze adeguate per ripartire da zero e costruire una squadra che avesse le caratteristiche adatte agli uomini di cui dispone. Nello specifico del derby di ieri, non è poi semplice spiegare come si può privilegiare Bojan su Pazzini e lasciare Nocerino fuori.

Il Milan di ieri sera non aveva un’idea o uno schema: un giocatore inutile come De Jong che appoggia solo il pallone a dieci metri di distanza, è un lusso quando l’avversario gioca di rimessa. Proprio perché l’Inter sa chiudersi, un giocatore come Nocerino - che sa inserirsi pericolosamente - può risultare l’arma vincente e Pazzini è l’unico a poter gareggiare con i difensori dell’Inter sui cross, mentre Bojan è fuffa allo stato puro.  Ma invece di tentare il tiro da fuori area - comunque reso complicato da Cambiasso e Gargano - il Milan poteva tentare il gol con le verticalizzazioni in area palla a terra e gli inserimenti di Montolivo e Bojan, piuttosto che intestardirsi allargando il gioco sulle fasce quando non dispone di saltatori in attacco. E’ vero che se si gioca in superiorità numerica allargare il gioco capitalizza il vantaggio, ma se poi di cross non ne prendi uno a che serve?

Insomma Allegri potrà anche protestare per l’arbitraggio (anche se un buon arbitro l’avrebbe spedito negli spogliatoi dopo tre minuti) ma sostenere che il Milan ha fatto una buona gara, che c’era un rigore e un gol (segnato però con tutta l’Inter ferma dopo il fischio arbitrale) è indice di scarsa lucidità e serenità. Quella che impedisce di vedere i problemi e quindi non trova le risorse tecniche per farvi fronte proprio nel suo allenatore. Che ormai, forse, ha i giorni contati: sennò che faceva Delio Rossi in tribuna?

La Roma vince una partita casalinga con l’Atalanta pagando però un prezzo altissimo sul piano della situazione interna. Zeman ha infatti estromesso De Rossi e Osvaldo dalla formazione che è scesa in campo, ma lo ha fatto indicando responsabilità precise dei due giocatori nell’andamento fortemente negativo dei giallorossi. Poteva tacere Zeman, indicando una scelta tecnica o qualunque altra motivazione alla base dell’esclusione dei due pezzi pregiati della Roma, ma l’abituale franchezza al limite della brutalità che contraddistingue la comunicazione del tecnico boemo lo ha spinto a descrivere Osvaldo e De Rossi come due giocatori che giocano per se stessi e non per la squadra.

Si può facilmente prevedere che le cose non rimarranno così: l’ambiente della Roma è una polveriera e forse ora lo sarà anche lo spogliatoio. Si tratta di vedere se la proprietà e la dirigenza della squadra vorranno prendere le parti dell’allenatore o iniziare un lento ma inesorabile percorso di ripensamento sulla scelta di riportarlo a Roma. Ma sembrerebbe questo un cammino difficile da intraprendere, visto che la tifoseria è spaccata a metà e il boemo rappresenta comunque una scelta di primissimo livello. Certo Zeman non è persona che si lascia ordinare cosa dire e come dirlo e se non intervengono chiarimenti e ripensamenti, ma soprattutto un bagno di umiltà da parte di alcuni giocatori, i tre punti di ieri rischiano dunque di rivelarsi la classica vittoria di Pirro.

La Juventus, dal canto suo, continua a vincere. Magari con fatica, ma vince e questo è quello che conta. Soprattutto la Juventus sembra riuscire a cambiare schemi offensivi quasi come cambia gli allenatori: sono molti i giocatori bianconeri andati a segno e la squadra ha una media di circa due gol e mezzo a partita segnati. Non perdere è comunque fondamentale non solo per gli ovvi motivi di classifica, ma perché serve a capitalizzare autostima nella squadra e punti in cascina che torneranno utilissimi quando gli impegni di Champions e campionato subiranno anche la fatica della Coppa Italia, formando così un inverno difficile da affrontare senza riserve.

Il Napoli - fortissimo - resta incollato e la prossima gara di campionato li vedrà sfidare direttamente la squadra di Conte con la quale dividono la testa della classifica. La Lazio, vittoriosa ieri a Pescara - che dietro alla coppia di testa di Juve e Napoli divide il secondo posto con l’Inter - se la vedrà invece con il Milan post derby. Ma in mezzo c’è la sosta per le nazionali e chissà che i biancocelesti non trovino i rossoneri con l’ex Delio Rossi in panchina.

di Fabrizio Casari

Due i risultati roboanti di questa domenica pallonara: la Juventus che impiega 17 minuti per umiliare la Roma e l’Inter che, dismessi i panni della vittima sacrificale, batte una Fiorentina da molti indicata come squadra più in forma del campionato. La vittoria del Napoli, che ha in Cavani e Hamsik la coppia di gioielli da sfoggiare, rimette i partenopei al primo posto insieme ai bianconeri e quella della ritrovata Lazio, terza insieme all’Inter, disegnano una classifica in qualche modo abbastanza coerente con quanto si è visto in queste prime sei giornate. La giornata di ieri è però è caratterizzata, appunto, dalla disfatta della Roma e dal ritorno dell’Inter.

Cominciamo da Torino, dove la squadra di Conte allenata da Carrera impone ritmo e, conscia delle lacune difensive di Zeman, infila verticalmente una Roma che sembra insistere a voler giocare come se sulla panchina sedesse ancora Luis Enrique. Perché è proprio questo il problema di fondo dei giallorossi: atteso che un certo squilibrio difensivo è comprensibile nelle squadre allenate da Zeman, è la modalità del gioco con il possesso palla che non somiglia affatto al modulo dell’allenatore boemo.

Verticalizzazioni improvvise e sovrapposizioni sulla fascia in questa Roma lasciano il posto ad una serie infinita di passaggi laterali che si rivelano inutili e pericolosi quando gli avversari pressano insistentemente in ogni zona del campo.

Puntare con regolarità il giocatore in possesso della palla e stringere sui suoi laterali così da rendere difficile anche solo lo scarico della palla, per non dire il passaggio, significa giocare ogni pallone sull’uno contro uno e, ove la palla venga riconquistata, proporre un contropiede velocissimo e spesso letale.

La Juventus è maestra nel pressing asfissiante, nella velocità e nell’aggressività di gioco; gioca a uno o due tocchi e sceglie la via verticale o l’allargamento sulle fasce con l’obiettivo di arrivare in area con tre o quattro passaggi. Pensare di opporre un gioco fatto da ragnatele di passaggi significa perdere prima di cominciare.

Detto questo, la Roma ha evidenziato non solo i suoi limiti difensivi (qui sempre segnalati), ma anche una condizione fisica non brillante e un gioco macchinoso e lento. Zeman ha detto che non ha la squadra in mano e questa è un’affermazione che mai dovrebbe fare un allenatore; ma certo è che si dimostra come il boemo dia il meglio di sé quando ha a disposizione una decina di giovanissimi di talento e un paio di giocatori più esperti. Ha bisogno di giocatori che seguano in tutto e per tutto le sue idee e corrano incessantemente per tutto il campo.

Quando non ci sono queste due pre-condizioni, parlare di schemi diventa secondario. E’ ora necessario che la Roma ritrovi in primo luogo la sua unità interna e risolva alcuni equivoci (Taxidis e Lamela in primo luogo) perché, al netto delle vittorie a tavolino, la classifica parla chiaro: in cinque partite giocate, sono cinque i punti realizzati. Una media retrocessione.

L’Inter ha sfatato il tabù negativo di San Siro e lo ha fatto giocando discretamente e sprecando molto. Il fatto che Viviano sia stato il migliore in campo della Fiorentina, la dice lunga sullo svolgimento della partita; Milito si è letteralmente divorato tre possibili gol (il primo dopo aver regalato alle pupille di chi vedeva una magnificenza fatta di stop, sombrero e tiro al volo potentissimo che si stampava sulla traversa). Se il primo tempo fosse finito 4 a 0 per i nerazzurri nessuno avrebbe potuto obiettare.

Troppo inerte l’attacco viola e troppo poco il suo centrocampo, forse in debito di idee e ossigeno dopo la partita eccellente contro la Juve nel turno precedente. La difesa a tre e il centrocampo a cinque sembrano decisamente un assetto migliore per i ragazzi di Stramaccioni, ma soprattutto in una migliore brillantezza fisica va ricercato il motivo della rigenerazione. In prospettiva la squadra può solo crescere, dato l’ormai prossimo rientro di Palacio  e l’assenza di Snejider.

Molti commentatori hanno provato a chiedere a Stramaccioni se sia proprio l’assenza del nazionale olandese a favorire una squadra più solida e con meno doppioni.

Un fatto è certo: Cassano e Snejider giocano nella stessa zona di campo, ma l’olandese - che non è un trequartista, né un centrocampista classico, bensì una seconda punta anomala - non ha la stessa capacità di servire le punte del barese. Con l’assistenza del quale Pazzini alla Samp e Ibra nel Milan sono sempre risultati letali.

Per di più Cassano segna, non si limita a far segnare e, addirittura, nella sua versione interista copre bene la sua zona di campo. Contro la Fiorentina, Roncaglia ha dovuto esimersi dalle sue avanzate proprio perché la presenza e il movimento di Cassano glielo sconsigliava.

Dunque, terminato anzitempo quanto nettamente il dibattito su chi, tra inter e Milan, avrebbe guadagnato dallo scambio Pazzini-Cassano, è semmai il ruolo di Sneijder da ripensare il prossimo lavoro di Stramaccioni. Proprio l’assenza dell’olandese, in effetti, sembra sia la chiave per la riduzione della confusione in campo e l’alternativa allo sbocco unico della costruzione del gioco.

D’altra parte, andrebbe ricordato come anche lo scorso anno, Ranieri infilò un filotto di vittorie che s’interruppe proprio in coincidenza del rientro dell’olandese, giocatore di classe assoluta e quindi difficile da mettere ai margini, ma difficile da incasellare in uno schieramento disciplinato e, dunque, oggettivo limite all’ordine della manovra.

Aver conquistato il terzo posto ridà comunque alla squadra una ritrovata autostima e, se pure non sono autorizzati sogni da scudetto, l’Inter con la sua crescita sembra voler affermare un ruolo da protagonista di questo campionato.


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