di Fabrizio Casari

Lazio e Udinese guidano la corsa, il Milan che ormai in campionato è un rullo compressore, segue a un punto. I rossoneri hanno letteralmente asfaltato gli etnei di Montella, domostrando di aver superato i problemi d’inizio stagione. La forma smagliante di alcuni suoi giocatori ed una panchina di alta qualità, consente ai rossoneri di riproporsi come la squadra più forte del torneo e nemmeno l’uscita anzitempo dal campionato di Cassano minaccia seriamente questo dato, dal momento che il rientro in forma di Pato e l’immissione con continuità di El Sharawi potrebbero avere ragione del buco lasciato dal fuoriclasse barese. La nuova testa della classifica, complice il mancato svolgimento di Napoli-Juventus per impraticabilità del campo, racconta quindi di squadre che stentano in Europa ma viaggiano a mille in campionato.

Perché l’Udinese, reduce da una sonora sberla presa dall’Atletico Madrid, si è rapidamente ripresa battendo 2 a 1 il Siena e la Lazio e il Milan, che pure in Europa non hanno certo incantato, tornano subito a dare dimostrazioni di forza ai danni di Parma e Catania. La giornata ha raccontato però anche della Roma, che si ritrova battendo il Novara di Tesser, e del Palermo che ha steso il Bologna nell’anticipo. Ai giallorossi, interpreti di un pessimo primo tempo, sono servite le correzioni di Luis Enrique, che quando decide d’inserire attaccanti che danno la profondità e di smetterla con gli esperimenti poco sensati, restituisce alla Roma la sua forza e la sua pericolosità. Se il tecnico spagnolo capirà che il campionato nel quale gioca è quello italiano, la Roma potrà tornare a giocare un ruolo di primissimo piano.

Le brutte notizie, invece, arrivano dalla Fiorentina e dal Cagliari, entrambe sconfitte da Chievo e Atalanta; sono due sconfitte che rischiano di avere uno strascico importante sulle panchine di Mijailovic e Ficcadenti, che sembrano essere davvero in bilico. Non è poi detto che il nuovo allenatore porti necessariamente venti di vittoria alle squadre, come si è visto proprio ieri: l’esordiente Arrigoni, infatti, non ha salvato il Cesena, battuto in casa dal Lecce.

L’Udinese, ad ogni modo, sembra inarrestabile e le critiche a Guidolin, che aveva scelto di schierare le riserve a Madrid, hanno avuto così una risposta diretta e inequivocabile: Udine non è in grado di tenere il passo nelle due competizioni e ha scelto di puntare sul campionato italiano. Una scelta coraggiosa quanto ponderata, nella consapevolezza che la velocità e la fluidità del gioco bianconero non dispone di risorse umane sufficienti per affrontare al meglio i due tornei.

Anzi, mentre in Italia, complice il livello non eccelso del torneo, l’Udinese può permettersi di recitare un ruolo di primo piano, in Europa, per un complesso di fattori che hanno a che vedere anche con l’abitudine alle competizioni internazionali, al peso politico della società ed alla struttura complessiva della squadra, difficilmente il cammino potrà protrarsi a lungo. Da qui la scelta evidente, pur se mai confessata, di privilegiare il campionato italiano e, fin qui, la scelta pare essere confortata dai risultati.

Quella di scegliere su quale competizione puntare maggiormente è comunque una questione che riguarderà tutte le italiane impegnate in Europa: Milan, Napoli, Lazio e Inter. Per i nerazzurri, unici ad avere un ruolino di marcia migliore in Europa che in Italia, il ragionamento è esattamente l’opposto di quello dell’Udinese: la squadra di Ranieri sembrerebbe più in grado di dire la sua in Champions che non in campionato: esperienza, capacità di giocarsi il massimo delle energie in un numero ristretto di partite, fascino della competizione e immagine di cui godono (sono ancora i campioni del mondo in carica fino a Dicembre) spingono, forse inconsciamente, a offrire prestazioni migliori in Europa. Ma, ove così fosse, si tratterebbe comunque di una scelta a breve termine, perché ci sono almeno sei squadre in Europa talmente superiori all’Inter che - presto o tardi - il cammino dei nerazzurri è destinato ad interrompersi. A quel punto, la posizione in classifica in Italia determinerà le possibilità di disputare la Champions il prossimo anno.

E anche il Milan, che sembra davvero avere un volto italiano decisamente migliore di quello europeo, pur godendo di tutte le qualità sopra descritte dell’Inter, dovrà decidere in che modo proseguire la sua stagione, ma certo la quantità di campioni di cui dispone lo pone in posizione più avvantaggiata rispetto ai cugini. Ovvio che il mercato di Gennaio potrebbe alterare significativamente quanto detto finora, ma non appare semplice: non sembrano stagliarsi all’orizzonte offerte e disponibilità finanziarie delle due milanesi tali da sovvertire il quadro. Si tratta di vedere, per le due milanesi, come riusciranno a svecchiare un organico decisamente avanti con gli anni. Ma é bene sapere che le differenze tra un organico giovane (di cui sono composte soprattutto le squadre minori) ed uno più maturo (solitamente presente nei grandi club) si vede soprattutto ad inizio torneo e dura fino alla sosta natalizia. E' da Gennaio in poi che il ritmo di chi ha molto corso per mettere punti preziosi in cascina scende e riprende invece quota l'aspetto tecnico e tattico che si fonda anche sulla classe e sull'esperienza di cui le grandi dispongono.

Discorso diverso per quanto riguarda il Napoli, che più che privilegiare dovrà adeguarsi. Difficilissmo, infatti, il passaggio del turno e il conseguente proseguimento dell’avventura europea; nel caso ciò avvenisse, però, il Napoli per assetto complessivo diverrebbe la più seria candidata al titolo. La Lazio, invece, pur disponendo anch'essa di un organico decisamente poco giovanile, ha trovato in Klose un cecchino implacabile ed il leader in campo di cui aveva bisogno. Il limite resta quello di essere una squadra ottima nei primi 12-12 giocatori, ma con un pesante dislivello qualitativo con la sua panchina. Squalifiche, infortuni e cali di forma rischiano quindi di limitare fortemente le ambizioni biancoazzurre, ma il dato è che gli aquilotti giocano bene e vincono spesso. Non è da tutti.

di Fabrizio Casari

E’ una domenica che sembrerebbe inconsueta, a guardare nel recente passato calcistico, quella nella quale cadono Inter, Napoli e Roma, cioè tre delle cinque squadre accreditate per la vittoria all’inizio della stagione. Ma é forse il segnale di come questo torneo sia davvero diverso da quello degli ultimi anni, che viveva della grande rivalità tra Roma e Inter. La domenica odierna segnala la crisi (definitiva?) dell’Inter e l’incompiutezza del progetto della Roma (entrambe nella seconda parte della classifica, con i nerazzurri addirittura in zona retrocessione) e indica anche le difficoltà di chi, come il Napoli, dopo lo scorso campionato si ritrova nelle vesti di una “grande” e, con ciò, subisce le attenzioni spasmodiche ad ogni passo falso. Una Lazio stratosferica asfalta il Cagliari al Sant’Elia e conferma come i biancazzurri siano entrati nel vortice virtuoso della maturità. Klose, come al solito, ma anche Rocchi, che festeggia il suo centesimo gol in serie A. E la classifica torna, per la prima volta dopo Calciopoli, a riproporre una testa composta da Milan e Juventus con Lazio e Udinese nel ruolo d’incognite più o meno affidabili.

Quella del Meazza e tra Inter e Juventus è stata una bella partita. Le premesse erano chiare: la squadra più in forma del torneo contro quella più in difficoltà; ma le motivazioni di una classica come il “derby d’Italia” hanno avuto ragione di questa differenza e hanno offerto una partita equilibrata che ha fatto vedere la migliore (o meglio, la meno peggiore) Inter della stagione contro la più saggia ed equilibrata Juventus dell’anno. La differenza in campo è stata quella che intercorre da una somma d’individualità e una squadra compatta. L’Inter paga certamente il discreto numero d’infortunati (Julio Cesar, Ranocchia, Samuel, Thiago Motta, Poli, Forlan e ora Maicon) e se a ciò si aggiungono anche prove come quelle di Chivu e Snejider (quest’ultimo, va detto, gioca con una gamba dolorante), cui si somma l’errore (onestamente riconosciuto) di Ranieri di sostituire Zarate con il più che acerbo Castagnois, allora davvero tutto diventa una salita impossibile.

La Juventus, dal canto suo, ha giocato una partita intelligente, senza votarsi all’attacco ma giocando un contropiede favorito da due linee a protezione della propria porta, reparto meno affidabile della squadra. L’abilità di Conte è stata quella di tenere la squadra molto corta e con un buon pressing, per poi ripartire con velocità. L’errore di Ranieri, invece, è stato non capire che tre centrocampisti contro quattro comunque soffrono, se poi sono ultratrentenni la sofferenza è eccessiva. Inoltre, la difficoltà dell’Inter è quella di concretizzare azioni d’attacco, proprio perché schemi d’attacco se ne vedono pochi e il fraseggio nello stretto al limite lo poteva fare con Eto’o e Milito, non con Pazzini, che ha bisogno di cross dal fondo.

Due strade diverse, dunque, per le eterne rivali: la Juventus ottiene un’iniezione di fiducia e autostima che rafforza ulteriormente le possibilità di una compagine che, giocando una partita a settimana, ha il tempo di costruirsi, provarsi, riposare e ripartire. Non ha ancora il profilo di una grande ma gli anni neri sembrano alle spalle. L’Inter, invece, che definitivamente alle spalle ha il dominio degli scorsi anni, pur mostrando miglioramenti sul piano fisico, è eccessivamente incerrottata e resta comunque un’incompiuta, con troppi giocatori non all’altezza della storia nerazzurra, buoni al massimo per la panchina, non per l’undici titolare. Moratti dovrà mettere mano al portafogli in maniera evidente, magari smettendola di cercare la scommessa del futuro per concentrarsi su quanto già sperimentato ancorché giovane. La squadra che vinse tutto è finita, oggi quella che c’è deve lottare per uscire dalla zona retrocessione.

Il Milan ha affondato una Roma troppo leggera e poco incisiva, che nell’assenza di Totti e nella partita sottotono di De Rossi, ha avuto a disposizione solo le piroette inutili di Pizarro, inabilità ad alti livelli di Bojan e Josè Angel e le distrazioni di Juan. La difesa della Roma è sconcertante nella sua fragilità sui calci piazzati e tenere il pallone nella metà campo non basta se poi in difesa e in attacco non bruci mai sul tempo gli avversari. Del resto quando Ibrahimovic per tutta la partita e Cassano per la frazione che ha giocato alzano in quel modo il livello della classe in campo, c’è poco da discutere di moduli e di assetti.

Il Milan sembra quindi definitivamente tornato, con quattro vittorie consecutive sembra voler ricordare a tutti che è ancora la più forte perché, quali che siano meriti e limiti, possiede in numero maggiore delle altre i giocatori che fanno la differenza. La Roma resta un progetto che appare però fatto di scarsa concretezza e costruito su una terra eccessivamente friabile. Luis Enrique non convince e il suo modo di tenere in campo la squadra non spaventa nessun avversario; il possesso palla estenuante si svolge peraltro solo nel centro del campo e non mette mai i giallorossi in condizione di schiacciare gli avversari. Che poi a Roma ci sia una grande fiducia presso questo nuovo corso è cosa che attiene alle stranezze del mondo pallonaro.

Il Catania di Montella (al quale non venne accordata fiducia proprio a Roma) ha steso il Napoli recuperando dopo essere stata sotto di un gol. Quello di prendere un gol nei primi minuti sta diventando un’abitudine per i siciliani, ma certo che vedere la classifica e scoprire che il Catania si trova nei primi 6 posti c’è da strabuzzare gli occhi. Mazzarri si è detto contento della prestazione, che ha definito la migliore della stagione in trasferta.

Un altro dei misteri di Napoli dopo quello del sangue di San Gennaro. Perché il Napoli ha solo un punto in meno della scorsa stagione, ma la sensazione che offre è quella di una squadra già emotivamente stanca. I numerosi infortuni (Gargano, Donadel, Britos e Pandev) e una panchina poco interessante mettono a dura prova la tenuta fisica dei partenopei, che dovranno ora uscire imbattuti da Monaco per poter proseguire in Europa ed approfittare della sosta per riprendere energie decisive per il proseguimento della stagione.

L’Udinese non stecca e torna seconda alle spalle della Juventus grazie alla vittoria di misura contro il Palermo, che evidentemente soffre lontano dalle mura amiche. Umiliato dal Siena cade rumorosamente invece il Chievo, che fino a poche settimane fa aveva ben altra marcia. Il Bologna stende l’Atalanta per 3 a 1 e la Fiorentina si risolleva con fatica grazie ad un gol di Lazzari che consente la vittoria su un Genoa che viaggia a corrente alternata. Mihajilovic ha salvato così, aòmeno per ora, la sua panchina. Cosa che invece non è riuscito a fare Giampaolo dopo la sesta sconfitta del Cesena in nove gare. Campedelli lo ha esonerato e la sensazione è che Giampaolo sia solo il quinto in nove giornate, altri ben presto ne seguiranno il destino. Il primo vero record di quest’anno.

di Fabrizio Casari

La Juventus in testa al campionato, dice che, pur senza incantare, la squadra allenata da Conte è diversa da quella dell’anno scorso. Per dire che è diversa anche da quelle degli ultimi quattro anni bisognerà attendere la chiusura del campionato. La partita con la Fiorentina, che semplicemente aveva dimenticato di scendere in campo per tutto il primo tempo e per gli ultimi venti minuti della partita, è apparsa infatti equilibrata nella prima fase della ripresa, con gli urli di Mihajilovic forse ancora nelle orecchie dei giocatori.

Il tecnico viola vede la sua panchina sempre più lontana e non potrebbe che essere così: da un anno e mezzo a Firenze, progressi sul piano del gioco e del carattere non se ne sono visti e per una tifoseria che ha negli occhi ancora la squadra di Prandelli, diventa tutto più difficile.

Il primato della Juventus, tuttavia, non sembra scolpito nel marmo. E’ sì il risultato di una squadra che lotta e corre rabbiosa, ma anche di un calendario molto agevole, con cinque partite su otto in casa e sette su otto con avversari non certo di prima fascia. Bisognerà quindi attendere gli impegni più difficili per poter dare un giudizio più completo. Per ora si vedono luci ed ombre. Il gioco dei bianconeri si basa su una grande aggressività in ogni zona del campo, molta corsa e anche una buona capacità di costruire occasioni per le sue punta. Ma dal punto di vista tecnico e tattico la squadra non incanta e la sua difesa, se messa alla prova seriamente, denuncia difetti che Conte dovrà ad ogni costo correggere.

La sfida di sabato prossimo contro l’Inter arriva però nel momento migliore per la Juventus: una squadra in grande forma contro una in convalescenza, una compagine da corsa contro una da rallenty, una squadra che gode di favori contro un’altra che vede solo torti. Se Conte espugnerà il Meazza, però, allora i bianconeri potranno tentare di consolidare un primato in classifica che, ad oggi, è reso precario dalla presenza di sei squadre in tre punti.

La Roma torna sconfitta da Genova. La partita dei giallorossi ha segnato una retromarcia rispetto alle ultime esibizioni: la squadra ha smesso di velocizzare le sue azioni come aveva fatto nelle ultime gare e ha ricominciato a giocare come all’inizio del torneo, cioè con un possesso palla esasperato quanto sterile. Dopo la sconfitta nel derby, la trasferta di Genova rappresenta un altro schiaffo alle ambizioni della compagine guidata da Luis Enrique, che ha invece affermato di aver visto la Roma più bella. D’altra parte da un punto di vista mediatico la Roma vive una magia inspiegabile, con la stampa romana che la esalta e i dirigenti che spiegano come giochi benissimo e quale roseo futuro l’attenda. L’ottimismo è certo indispensabile, ma un bagno di realtà che tentasse di tenere in parallelo le parole e i risultati ottenuti sarebbe a questo punto necessario.

Il Napoli torna a vincere al San paolo grazie a due splendidi gol, quello di Lavezzi in particolare. Era un risultato atteso, considerando che l’Udinese era priva dei suoi attaccanti e che il Napoli doveva per forza sfoderare una buona prestazione tra le mura di casa, onde evitare rumors fastidiosi. E, sempre a propositi di risultati prevedibili, il Milan ne fa altri quattro, stavolta al Parma, che pare aver definitivamente perso lo smalto d’inizio stagione. La tripletta milanista questa volta è di Nocerino, non proprio il più raffinato calcisticamente della compagnia, ma che sta sostituendo Gattuso con la stessa qualità e che, considerato il costo del cartellino, si sta rivelando come uno dei migliori acquisti delle scorse sessioni di calciomercato milanista.

La Lazio viene fermata dal Catania di Montella, che è una delle quattro provinciali che stanno mostrando calcio a buon livello. Venirsi a prendere un punto all’Olimpico non è cosa di tutti i giorni e i siciliani dimostrano che l’assenza di angoscia per la classifica permette di giocare in scioltezza, di costruire collettivo e identità calcistica senza troppa fretta. La squadra di Reja, invece, si è bloccata sul più bello, quando avrebbe potuto scalare la vetta della classifica. Ad un Klose in grande forma si aggiunge però un Cissè che non ne azzecca una e, con Hernanes acciaccato, la tecnica e la fantasia dei biancocelesti resta negli spogliatoi.

L’Inter interrompe la sua marcia verso la guarigione pareggiando a Bergamo. Un buon risultato, certo, considerando la qualità dell’Atalanta (che senza la penalizzazione sarebbe seconda in classifica) e soprattutto considerando che la velocità con la quale gioca la squadra bergamasca è l’arma più pericolosa per un’Inter che la velocità non sa nemmeno cosa sia. L’Inter ha pareggiato grazie a Castellazzi, ha rischiato di vincere grazie a Snejider e Zarate, ma ha rischiato di perdere grazie a Chivu, che ha scelto di festeggiare il suo 31 compleanno con una prestazione da incubo: in occasione del pareggio atalantino si è fatto superare da Denis sbagliando tempo e posizione, poi ha pensato d’ingaggiare una battaglia fisica contro Marilungo in area. Il giocatore atalantino è il primo a commettere fallo e il più lesto a cercare il contatto per avere la scusa per cadere: sa benissimo che ormai buttarsi a terra nell’area dell’Inter e ottenere un rigore sono due momenti della stessa azione.

E’ il quinto rigore fischiato contro l’Inter in otto gare. La tendenza è evidentemente frutto di una indicazione più o meno verbalizzata da parte del Palazzo, visto che in altre partite falli più evidenti non vengono mai trasformati in penalty. L’Inter ha davanti a sé due strade: o continuare a tacere, bofonchiare al limite, e vedersi relegata dagli arbitri nella seconda parte della classifica, oppure scegliere di aprire uno scontro duro e senza ripiegamenti con il Palazzo. Non mancano le sedi, italiane e internazionali, dove Morati può portare documentazione ormai evidente a sostegno di un andazzo, se non lo si vuole definire complotto.

Ma, indipendentemente da quello che l’Inter farà (alla fine sono affari suoi), è da incorniciare lo spettacolo penoso che coinvolge stampa e arbitri. Negli anni precedenti abbiamo assistito a guerre sui giornali per molto, molto meno di quanto accade contro l’Inter, ma quest’anno la stampa tratta con indifferenza compiaciuta i torti ai nerazzurri, che tanto non hanno azioni nelle case editrici che possiedono i giornali, men che mai qualsivoglia ruolo nel sistema mediatico generale, che è semmai proprietà dei nemici dell’Inter. Quanto agli arbitri, sono rimasti in campo solo i peggiori di queste ultime due generazioni. Incapaci di arbitrare, dimostrano però una grande capacità d’ascolto: una particolare, minuziosa attenzione, a dove soffia il vento e a quali direzioni prende.

di Fabrizio Casari

E’ vero che siamo ancora all’ottava giornata, è vero che la preparazione in funzione dei preliminari di Champions ha obbligato la squadra friulana ad una preparazione destinata a farla entrare in forma più rapidamente delle altre, ma l’Udinese fa stropicciare gli occhi sia per come gioca sia per come vince. La squadra di Guidolin, in vetta alla classifica, detta legge anche in Europa, avendo appena battuto anche l’Atletico Madrid. La doppietta di Di Natale e il gol di Domizi indicano che per il Novara è stata una domenica bestiale. Una squadra che ha ceduto Sanchez, Inler e Zapata e che continua ad asfaltare tutti quelli che incontra, si conferma anche quest’anno come una delle migliori del campionato.

La Lazio di Reja, dal canto suo, dopo aver vinto il derby batte il Bologna in trasferta e piomba al secondo posto della classifica. Un risultato meritato quello di Bologna, che suggella il momento felice dei biancoazzurri in campionato, purtroppo invece indietro in Europa League. Niente di sorprendente, certo: l’organico laziale è di ottimo livello e l’innesto di un fuoriclasse come Klose e di un portiere affidabile come Marchetti non poteva che determinare un ulteriore salto di qualità. Gioca bene e sa vincere e quattro vittorie in trasferta dicono molto del carattere degli aquilotti.

Discorso in parte diverso per chi il campionato dell’anno scorso, invece, l’ha vinto senza incantare. In Salento, in una rocambolesca partita che ha mostrato una straordinaria prova di carattere del Milan, il Lecce ha sfiorato l’impresa ma, nello stesso tempo, denunciato la sua inguaribile ingenuità. In vantaggio di tre reti a zero si è fatto rimontare e battere da tre gol di Boateng e uno di Yepes, finendo così sconfitto in una partita che, per come si era messa, poteva solo vincere.

Alla fine del primo tempo, infatti, i rossoneri sembravano spacciati, ma ancora  una volta il calcio giocato racconta una straordinaria verità: corrono in 22, ma vincono gli undici che dispongono dei campioni. Non avere Thiago Silva al centro della difesa fa ballare molto i rossoneri, ma avere Cassano e Boateng ha fatto la differenza e saper gestire una rimonta è cosa da alta classifica, non da provincia, per generosa che sia. Forse un paradigma in piccolo di quello che indicherà il campionato nei prossimi mesi.

Alla Juventus non riesce la fuga preventivata, dal momento che viene bloccata dal Genoa e rischia anche di perdere una partita che l’aveva vista in vantaggio per due volte grazie ad una doppietta di Matri, che é davvero l’uomo che da un po’ riesce a mascherare i limiti dei bianconeri. L’arbitro Romeo, che molto non vede, grazia Pirlo e Bonucci e regala sei minuti di recupero che definirli eccessivi è un eufemismo. Ma il fatto è che la squadra di Conte si dimostra ancora un’incompiuta; non riesce mai ad avere il controllo della partita e sceglie di chiudersi a difendere il 2 a 1, rinunciando a tentare di vincere una gara che avrebbe dovuto portare a casa per come si era messa. La parte più interessante, però, si è vista quando Del Piero è stato inviato in campo a fine partita: il boato della tifoseria che ha salutato l’ingresso dell’uomo simbolo dei bianconeri ha detto tutto quello che i tifosi bianconeri pensano di del Piero e dello stile cafone con il quale Andrea Agnelli ha ritenuto di pensionarlo pubblicamente.

Il giovin signore, che è cresciuto sulle ginocchia di Giraudo, pare aver acquisito dal suo mentore solo la durezza del tratto, non certo l’abilità manageriale, per quanto ridimensionata da Calciopoli. Mai la triade cui l’agnellino s’ispira avrebbe commesso un così grave errore di comunicazione e d’immagine; avrebbe gestito di comune accordo con il giocatore modalità e tempi di un simile scelta e non avrebbe mai confuso l’importanza di un simbolo come Del Piero con una comparsata fuori luogo. Visto che Andrea Agnelli si dice affezionato alla storia della Juventus della triade, sarà bene che apprenda come Del Piero abbia contribuito a quei successi molto più delle stesse operazioni irregolari dei suoi dirigenti.

In un generale quadro disarmante della storia juventina degli ultimi cinque anni, l’irruzione di Andrea Agnelli sembra fino ad ora aggiungere errori su errori e testimonia che la povertà manageriale e quella tecnica si confermano. Il reingresso della famiglia Agnelli ha avuto solo il risultato di far schierare la stampa di famiglia, ma l’aspetto tecnico e manageriale resta deficitario assai. Quando si crede che Andrea Agnelli possa migliorare Blanc e che Pirlo possa cancellare Del Piero, si sommano due errori, non si trova una soluzione.

Torna al successo casalingo l’Inter, battendo con un gol di Thiago Motta un Chievo che, fino ad ora, non aveva regalato niente a nessuna delle grandi. Ad un punteggio più rotondo l’Inter poteva arrivare se Sorrentino (come capita spesso) non avesse sfoderato una grande prestazione e con una maggior precisione in zona gol; ma una difesa che non ha mai sofferto e Julio Cesar praticamente inoperoso testimoniano di una ritrovata solidità a centrocampo e in difesa dei nerazzurri.

Niente avviene per caso: il rientro di Snejider e Thiago Motta insieme a quello di Maicon hanno ridato geometrie, possesso palla e corsa sulla fascia, mentre lo spostamento al centro della difesa di Chivu si sta rivelando la mossa giusta. Quello di cui c’era maggior bisogno per la squadra di Ranieri che, finalmente, abbandona la zona bassissima della classifica.

Il Napoli pare entrato in un tunnel di opacità. Bloccato sul campo del Cagliari sullo zero a zero, a Mazzarri non resta che aggrapparsi alle letture delle sue partite che solo lui esprime. Ad ogni modo, una perdita di lucidità ed una forma fisica ridotta sono le due caratteristiche dei partenopei, che avrebbero bisogno di una panchina più lunga. La fase finale della partita ha presentato il conto delle fatiche di coppa al Napoli. L’impressione è che la Champions tolga troppe energie alla squadra di De Laurentis e che se a Gennaio non arriveranno rinforzi, gli obiettivi andranno ridimensionati.

La Roma ha trovato il ritmo che le compete e, sul suo campo, ha avuto ragione del Palermo con un gol di Lamela. Il giovane argentino, talento indiscutibile arrivato in estate grazie all’abilità di Sabatini, si è presentato alla sua prima apparizione all’Olimpico con un gol decisamente bello che fa intravvedere numeri che torneranno utilissimi alla squadra di Luis Enrique.

L’Atalanta torna a vincere sul campo del Parma e aspetterà l’Inter con una classifica buona e un umore che volge decisamente al bello, mentre la Fiorentina non riesce ad uscire dal suo periodo difficile. Come sempre, le critiche a Mihajilovic non mancano, non essendo l’allenatore serbo mai stato accettato dalla tifoseria viola, ma certo la crisi d’identità della squadra è palpabile. L’unica buona notizia è la forma di Jovetic ma le prossime tre partite saranno decisive per la sorte di Sinisa.

 

di Fabrizio Casari

Una giornata particolare quella appena giocatasi. La vittoria meritata della Lazio al fotofinish rompe il digiuno di Reja nei derby e fa giustizia dell’ironia fuori luogo di Totti alla vigilia. Solo quattro vittorie - Parma, Catania, Bologna e Lazio - poi un record assoluto di pareggi a reti inviolate con due cadute inaspettate: quella dell’Inter e quella del Napoli. Cenni di resurrezione invece da parte del Milan, che batte sonoramente il Palermo indicato alla vigilia come possibile rischio per i campioni d’Italia. Quella del Napoli è una caduta che indica come la continuità sia il problema principale della squadra di Mazzarri. Certo sarebbe bene non continuare a mettere in alternativa la Champions e il campionato nelle ambizioni, perché così facendo si rischia di pensare all’Europa quando si gioca il campionato e viceversa. La sconfitta di ieri dice invece che i partenopei faranno bene a cercare di concentrarsi su entrambi se non vogliono rischiare di perdere l’unico obiettivo davvero alla portata, quello nazionale. Per vincere in Europa ci vuole ben altro.

Ma la sconfitta del Napoli è un incidente di percorso, quella dell’Inter traccia una riga netta sotto la squadra che, fino a pochi mesi fa, vinceva coppe in ogni dove e che ora sembra decisamente seppellita dalle macerie di un crollo. E’ proprio la questione nerazzurra il tema di questo inizio di campionato. La crisi dell’Inter ha molti padri e qualche figlio degenere. Il figlio degenere è certamente il segno ormai evidente di una linea arbitrale che, iniziata con la Supercoppa e proseguita fino a ieri, indica con chiarezza come l’Inter paghi lo scontro estivo con il Palazzo.

Mai si era visto che una squadra ricevesse 4 rigori contro - tutti illegittimi, alcuni scandalosi - e due rigori netti negati in cinque partite. Fanno diversi punti e diversi gol di differenza che non rovescerebbero completamente la situazione, però certo direbbero cose più giuste. E la linea della protesta a caldo e dell’abbassare i toni 24 ore dopo indica come proprio l’Inter sia conscia che una guerra è in corso ma che, purtroppo, non si è capaci di sostenerla. Ma detto ciò, c’è una crisi di gioco e di risultati che, pur in questa condizione, si evidenzia anche dall’incapacità di tenuta caratteriale della squadra, che appena subisce un gol si prepara a prenderne come minimo un altro.

La crisi in campo riflette quella negli uffici e comincia dal rifiuto di prendere atto dell’usura fisica e quindi anche tecnica di molti dei suoi campioni e finisce con innesti decisamente non solo a livello dell’Inter e dei suoi obiettivi, ma addirittura giunti a prezzi elevati. Nella squadra che giocava a Catania, infatti, non c’era solo il pesante capitolo delle assenze - Julio Cesar, Ranocchia, Chivu, Snejider, Forlan, Coutinho, Obi - ma anche quello delle imbarazzanti presenze - Milito, Muntari e Alvarez - a dare l’idea di una stagione difficilmente recuperabile.

Certo, l'assenza dell'olandese é durissima per la costruzione del gioco interista (e figuriamoci cosa sarebbe successo se fosse stato ceduto), ma non sarà solo il suo rientro a permettere l'inversione di marcia. Ci si chiede se la mancanza di un gioco comporta anche la mancanza di tecnica, ma il fatto è che le due cose, all’Inter si sommano e, su queste, campeggia la mancanza di condizione fisica. La squadra che vinse il triplete ha ormai esaurito il suo ciclo, e il canto del cigno l’ha espresso lo scorso anno con Leonardo in quella rimonta straordinaria.

Oggi non ha più benzina, non ha più anima e non ha più ambizioni. L’idea dei vertici societari di modulare pochi innesti di qualità lasciando partire i giocatori più anziani è stata, appunto, solo un’idea. Alla fine, i più sfiniti sono rimasti e il solo Eto’o è partito. Ma quando si lascia partire l’attaccante più forte al mondo e, pur avendo preso Castanois, non si ha il coraggio di mandare via Milito (la cui ultima partita all’altezza resta quella del Bernabeu); quando si abbandonano tutti gli obiettivi di mercato in Italia e all’estero mentre si acquistano Alvarez e Jonathan, allora c’è poco da recriminare contro le condizioni esterne e molto da dover ammettere. La società Inter non ha più un governo da quando Mourinho ha preso la via di Madrid e Oriali è stato defenestrato per far contento Branca.

Moratti dovrà farsene una ragione: almeno otto giocatori sui tredici-quattordici titolari non sono, ad oggi, all’altezza dell’Inter. Da qui due strade: o una rivoluzione con relativo investimento a caccia di giocatori che segnano il livello e le ambizioni di una grande, oppure una politica impostata davvero sui giovani che però, come insegnano Arsenal e Ajax, non fa vincere niente pur giocando un buon calcio. Ma la terza, quella di temporeggiare, sarebbe quella suicida.

La differenza non è tra spendere o non spendere, ma tra spendere bene e spendere male. E comunque, invocare il fair-play finanziario che imporrebbe austerità, pena il non poter disputare la Champions, non ha molta logica, perché così la Champions non la si disputa lo stesso, al più si lotta per un posto nelle prime sei del campionato. Sta dunque a Moratti, che dicono furioso, decidere se proseguire o mollare, perché di questo, alla fine, si tratta.


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