di redazione

In Italia ci sono due Campionati. Uno lo giocano Roma e Juve, nell'altro militano le altre 18 squadre. A parte le due capolista, ancora a punteggio pieno, la terza giornata ci consegna una sfilza di partite di bassa qualità, molte finite 1-0. Una vera pioggia di delusioni per quasi tutte le formazioni che hanno iniziato la stagione con ambizioni internazionali: oltre alla sconfitta del Milan contro la Signora, Napoli e Lazio perdono, l'Inter pareggia a fatica. Si salva solo la Fiorentina, ma senza produrre un gioco convincente.

Iniziamo però dalle prime della classe. Sabato la Juventus supera i rossoneri fuori casa con un gol del solito Tevez. Gli uomini di Inzaghi recriminano per un rigore su Menez non fischiato, ma sulla superiorità dei bianconeri c'è poco da dire: a livello tattico, tecnico e atletico la squadra di Allegri è superiore e legittima la vittoria costruendo una quantità di palle gol decisamente superiore a quella degli avversari.

Ai Campioni d'Italia risponde domenica la Roma. I giallorossi battono il Cagliari all'Olimpico con due gol nei primi 15 minuti (Destro e Florenzi) e dimostrano di avere forse qualcosa in più rispetto alla prima contendente per il titolo. Se la Juve sembra dipendere dalle prodezze dell'Apache, i capitolini - forti di una panchina di alto profilo - offrono l'ennesima prestazione positiva a livello corale, annichilendo l'avversario in un quarto d'ora pur senza avere in campo gente come Pjanic, Totti e Iturbe.

Subito dopo le due big, a quota 7, fa capolino il Verona, che inizia alla grande anche questo Campionato e si ritrova da solo in terza posizione. I veneti passano a Torino grazie a un gol di Ionita, a una buona dose di fortuna e soprattutto ai poteri ipnotici del portiere Rafael, che para il terzo rigore sugli ultimi sei fronteggiati. I granata hanno un punto, ma devono ancora segnare il primo gol di quest'anno.  

Un gradino sotto in classifica, a 6 punti come il Milan, troviamo la rivelazione Udinese, che supera il Napoli al Friuli con una rete di Danilo. Gli azzurri sono già a -6 dalla vetta e non riescono a scrollarsi di dosso l'abulia di un inizio di stagione maledetto. La vittoria in Europa League contro lo Sparta Praga aveva illuso e ormai scricchiola la panchina di Benitez, che ha evidentemente perso il controllo dello spogliatoio.

A 5 punti viaggiano appaiate Inter e Sampdoria. Dopo averne rifilati 7 al Sassuolo, i nerazzurri iniziano la partita di Palermo con uno svarione di Vidic che manda in porta Vazquez. Il centrale serbo si riprende con un gol e un assist, ma entrambi le reti vengono annullate per fuorigioco, benché nella seconda azione il gol risulti regolare e la svista arbitrale toglie due punti all’Inter.

A pareggiare ci pensa Kovacic, giovane croato in continua crescita. Mazzarri fa bene ad avanzarlo dietro alle punte, peccato che poi rovini la formazione mettendo dentro Hernanez e Palacio e facendoli giocare fuori posizione. Quanto alla Samp, il quinto punto è frutto di uno 0-0 non privo di emozioni contro il Sassuolo, che consente ai ragazzi di Di Francesco di salire a quota 2 in classifica, insieme al Palermo.

Un punto sopra ai neroverdi e ai rosanero viaggiano Parma e Lazio, che però archiviano due domeniche ben diverse. Gli emiliani passano 3-2 in rimonta sul Chievo ritrovando Cassano, autore di una doppietta, e scoprendo il talento di Coda, che chiude con un gol e due assist.

Per i biancazzurri, invece, giornata da dimenticare: palle gol a iosa sprecate nel primo tempo, poi infortuni a raffica (Basta, Biglia e Gentiletti), espulsione di De Vrij e inevitabile tracollo quando ormai la difesa era affidata al solitario e smarrito Cana. Per il Genoa, che sale a 4 punti grazie al gol di Pinilla, è incredibilmente la settima vittoria consecutiva contro la Lazio.

Al pari dei rossoblu viaggiano in classifica Fiorentina, Cesena e Atalanta. I bergamaschi vengono raggiunti proprio in virtù della sconfitta casalinga contro i viola, a segno con Kurtic, mentre il Cesena - nell'altro anticipo - spreca un vantaggio di due gol e si fa raggiungere sul 2-2 dall'Empoli. 

di redazione

Vedere sette gol in una partita è cosa rara. Vederne nove ancora di più. Vederne sette di pomeriggio e nove di sera, per un totale di 16, nelle partite di due squadre della stessa città è surreale. Milan e Inter, però, ci sono riuscite. La sfida più incredibile è certamente quella dei rossoneri, vittoriosi per 5-4 fuori casa sul Parma, al termine di una battaglia finita 10 contro 10.

Nei gol del Tardini si vede di tutto: giravolta di Bonaventura, pareggio di testa di Cassano, zuccata vincente di Honda, rigore di Menez, zampata di Felipe, contropiede solitario in campo aperto di De Jong, stacco imperiale di Lucarelli, colpo di tacco a scavetto no-look ancora di Menez, autogollonzo di De Sciglio dovuto stiramento del portiere Diego Lopez quando Inzaghi aveva ormai finito i cambi. Mancavano solo nani e ballerine a centrocampo. Alla fine però il Milan ce la fa e si porta a 6 punti, in testa con Juve e Roma.

L'Inter, invece, dimentica il deludente 0-0 di Torino rifilandone addirittura sette (e per il secondo anno consecutivo) al povero Sassuolo. Grande protagonista di giornata Mauro Icardi, autore di una tripletta. Due volte in rete anche il neoacquisto Osvaldo, ai suoi primi gol in nerazzurro. Chiudono i conti del pallottoliere Guarin e Kovacic. Per non ricadere nell'abulia dell'anno scorso, Mazzarri si è finalmente convinto che i due giovani talenti del suo spogliatoio (l'argentino e il croato) vanno schierati entrambi dal primo minuto, costruendo su di loro la spina dorsale della nuova squadra.

Non fosse stato per i flipper milanesi, la notizia di giornata sarebbe stata la delusione del Napoli, che stecca alla prima davanti al suo pubblico, facendosi superare 1-0 dal Chievo, ormai da anni bestia nera per gli azzurri al San Paolo. A decidere è il primo gol in gialloblu di Maxi Lopez, propiziato da un errore difensivo di Zuniga, ma il vero eroe tra le fila dei veneti è il portiere Bardi, che sullo 0-0 neutralizza un rigore di Higuaìn, poi continua a parare tutto il parabile. Il Chievo muove così la classifica mettendo in cascina i primi punti, mentre la squadra di Benitez conferma le difficoltà di questo avvio di stagione dopo l'eliminazione nei preliminari di Champions e la vittoria rocambolesca e poco convincente della prima giornata (2-1 sul Genoa).

Destino inverso per la Lazio, che si risolleva dopo l'1-3 di San Siro schierando una linea difensiva completamente rinnovata rispetto alla scorsa stagione. E la differenza si vede. I biancazzurri schiantano 3-0 il Cesena alla prima sul prato dell'Olimpico, davanti a una curva Nord di nuovo piena dopo molti mesi di sciopero. Per valutare il lavoro di Pioli bisognerà attendere avversari più probanti dei romagnoli, ieri debolissimi sia in interdizione sia in palleggio, ma a prima vista la coppia centrale De Vrij-Gentiletti è di una categoria superiore a Ciani-Cana, così come il terzino Basta dà ben altre certezze rispetto a Konko. A segnare sono due ex, Candreva e Parolo (anche lui nuovo arrivato a Formello), più il redivivo Mauri, imbeccato alla grande da Klose.

Fra le partite giocate domenica, l'ultima da citare fra le grandi è la Fiorentina, che contro il Genoa non va oltre lo 0-0 casalingo, complice la giornata da fenomeno di Perin e l'estemporanea inettitudine di Gomez. I viola si dimostrano così incapaci di riscattare la sconfitta d'esordio sul campo della Roma. Giallorossi che, invece, nel primo degli anticipi di sabato, portano a casa altri tre punti con una vittoria meritata ma assai fortunata sull'Empoli.

A decidere è una botta di Nainggolan che colpisce prima il palo, poi la schiena del portiere Sepe, poi s'insacca. I notai del pallone, quelli che probabilmente non hanno mai giocato, parlano di autogol. Per il resto, i capitolini fanno la partita, ma sprecano tanto, soprattutto con Maicon, che cicca due volte a porta spalancata. Grave macchia un rigore per i toscani non visto da Gervasoni, ma evidente alla moviola (Manolas su Mchedlidze).

Più convincente il successo della Juve sull'Udinese, un 2-0 che porta la firma del solito Carlos Tevez (piattone su cross arretrato di Liechsteiner) e di Marchisio, a segno con la solita botta da fuori a fil di palo. Nessuno crede che i bianconeri di Allegri siano in grado di replicare le meraviglie messe in scena nell'era Conte, eppure la squadra appare determinata e può ancora contare sui suoi fuoriclasse più importanti, a partire da Pogba, cui si aggiunge il nuovo arrivo Morata, per il momento ancora un oggetto del mistero. La tenuta psicofisica dei campioni d'Italia sarà forse più evidente martedì, con l'esordio in Champions contro il Malmoe.  Lo stesso vale per la Roma, che 24 ore più tardi dovrà vedersela con il Cska Mosca.

In attesa di Verona-Palermo, chiudono il quadro della seconda giornata le vittorie di Sampdoria e Atalanta rispettivamente su Torino e Cagliari. I blu cerchiati s'impongono 2-0 in casa nella partita-ore-pasti grazie a una botta su punizione di Gabbiadini e a un'azione personale in percussione di Okaka. I bergamaschi passano invece in trasferta con le reti di Estigarribia e Boakye. Inutile il rigore trasformato da Cossu.

di Fabrizio Casari

Seduti davanti al televisore, controlliamo il telecomando per vedere se abbiamo sbagliato partita. E invece no: quella squadra in maglia bianca che corre e gioca bene è l’Italia. Dunque la vittoria della settimana scorsa contro l’Olanda non era stata un caso, per quanto agevolata dagli eventi (rigore ed Olanda in dieci dopo pochi minuti). Insomma l’Italia dei disastrosi mondiali brasiliani non c’è più; di colpo, dopo solo un paio di settimane di cura Conte, la squadra gira.

Non che il calcio che esprime sia da far stropicciare gli occhi, ma è per lo meno una corretta e moderna applicazione del calcio italiano, fatto di copertura e contropiede ad alta velocità. Influiranno anche le carte d’identità che raccontano di un rapido abbassamento anagrafico della compagine, ma certo è un’altra squadra quella che ha battuto prima Olanda e poi Norvegia rifilando quattro gol senza prenderne nemmeno uno, al punto che Buffon lo si è potuto considerare spettatore non pagante.

Il che non significa che i problemi di assetto siano già stati tutti risolti. Dietro un po’ si balla se presi in velocità e tanto Ranocchia come Bonucci non sono il massimo della rapidità. Si tratterà di testarli con squadre più forti nella manovra offensiva, però l‘insieme della prestazione difensiva degli azzurri è più che sufficiente.

La cura Conte è senz’altro visibile in un assetto tattico simile a quello che gli ha consentito di vincere a Bari, a Siena e a Torino: difesa a tre e centrocampo a cinque con due attaccanti per il controllo del gioco, che diventa difesa a cinque in fase difensiva e attacco a quattro più un inserimento da dietro in fase offensiva. Quindi sudore e corsa, sia per i laterali che si trasformano da terzini in ali, sia per i centrali difensivi che devono impostare oltre che bloccare, sia per i centrocampisti che a mo’ di elastico devono accompagnare le due fasi per non lasciare mai troppi metri di distanza tra i reparti.

Si osserverà, giustamente, che sono in molti a giocare così, almeno nelle intenzioni di partenza, ma è Conte quello che con questo assetto vince. Forse, quindi, non di solo assetto tattico è fatta una gara, non di solo possesso palla è fatta una partita che si vuole vincere.

Il valore aggiunto dell’allenatore salentino è questo: infonde una grinta ed una voglia di vincere non certo equiparabile al saporifero Prandelli, che magari si faceva i selfie con Renzi e distribuiva codici etici a sua libera ed alternata applicazione, ma che di calcio ha dimostrato non saperne abbastanza per giustificare l’aurea che lo circondava.

A voler vedere, la squadra di Conte è tecnicamente inferiore a quella di Prandelli, ma dispone di una grinta e di una velocità completamente diversa. Conte dalla sua ha certo l’autorevolezza di chi ha già un palmares di tutto rispetto, ma anche l’autorità di chi non guarda in faccia nessuno e il sostegno popolare intervenuto naturalmente a seguito della debacle brasiliana.

Intanto l’Italia guidata da un De Rossi straordinario scopre e che la velocità non appartiene solo agli altri e che la coppia Immobile-Zaza è micidiale: i due giocano e si trovano come fossero insieme da anni, alternano benissimo i rispettivi movimenti di chi dà profondità e chi va incontro alla palla e sanno entrare palla al piede nelle difese scambiando in velocità e buona tecnica.

Scopre anche che sulle fasce Darmian e De Sciglio sanno andare con efficacia, che Pasqual non è da meno e che Florenzi, inspiegabilmente riserva nella Roma, sa giocare in fascia e da interno. De Rossi come regista e come difensore aggiunto quando serve è il centrocampista più completo in Italia e tra i primi tre in Europa, e Buffon para ancora quello che altri non parano.

L’aspetto su cui riflettere, semmai, è quello solito ma mai risolto. Ci sono giocatori italiani di grande qualità che difficilmente trovano spazio nelle squadre del nostro campionato. La Juventus, che lascia Zaza al Sassuolo e fa partire Immobile per soli 7 milioni è solo la prima della lunga lista di squadre ammalate di esterofilia. D’altra parte se si comprano giocatori esteri a un terzo di quello che si chiede per un talento italiano tutto ciò diventa inevitabile. Gli intrecci di mercato e il ruolo sporco dei procuratori, le combine tra essi e i dirigenti sono ormai evidenti oltre che controproducenti.

Ma intanto l’Italia riparte con un nuovo gioco e un nuovo ambiente interno e questo per merito di Conte e Oriali. Anche se, prima o poi, Lotito dirà che è merito suo.

di redazione

Come volevasi dimostrare, Juventus e Roma aprono le danze inviando alle altre un messaggio chiaro: siamo ancora noi le squadre da battere e dunque la nuova stagione vedrà noi che facciamo le lepri e voi che farete i cacciatori. Liquidato (con discreta fatica) il Chievo, la Juventus è scesa in campo con una determinazione quasi eccessiva, forse con l’intenzione di dimostrare come l’uscita di Conte non comporta quella della squadra.

Allegri ha dunque avuto la dimostrazione che non solo la società (che è riuscita a non vedere Pogba e - pare - Vidal) lo sostiene, ma che anche la squadra è con lui, come del resto aveva fatto intendere Marchisio 48 ore prima del match con il Chievo. Questo, molto più che il possesso palla o la sfortuna sotto porta, sembra l’unico valore aggiunto ai tre punti.

La Roma non si è fatta attendere e ha rifilato un 2 a 0 alla Fiorentina. Veloce e contropiedi sta, la squadra di Garcia ha inteso dimostrare che la novela Benatìa non ha alterato particolarmente l’equilibrio difensivo ed ha impostato sull’agonismo e la corsa una partita che voleva e doveva vincere, conscia di come un passo falso alla prima avrebbe avuto ripercussioni immediate su un ambiente difficilmente soddisfatto del suo mercato estivo. La squadra di Montella, sebbene orfana di giocatori come Cuadrado e Giuseppe Rossi, si può ritenere punita eccessivamente dal punteggio, ma una piccola involuzione nella manovra e il permanere di Pizarro, tra i giocatori più inutili nel suo ruolo, evidenziano difetti che andrebbero corretti se si vuole mantenere il pronostico che, giustamente, vede la Viola tra i primi posti nel campionato appena iniziato.

Delude l’Inter, che rinforzati i muscoli con M’Vila e Medel, la difesa con Vidic e l’attacco con Osvaldo, sconta però l’handicap di Mazzarri, che davvero non riesce ad avere un’idea di come attaccare e, peggio ancora, di come mettere in campo la squadra. Anche qui è solo la prima, ma spaventa l’incompetenza dell’arbitro Doveri, che non solo inventa letteralmente un rigore a favore del Torino dando credibilità alla simulazione di Quagliarella, ma che lungo tutta la partita dimostra di avere due metri e due misure, giungendo ad espellere Vidic che lo ringraziava per aver visto bene un contrasto tra lui e Quagliarella. Ma perché uno come Doveri arbitra in serie A dopo innumerevoli dimostrazioni di poter arbitrare solo match tra scapoli e ammogliati? Il Toro, guidato dal maestro Ventura, è schierato in campo per non prenderle e ci riesce, ma sarà difficile sostituire Immobile e Cerci.

E se l'Inter ha deluso chi si era illuso, il Milan ha forse illuso chi si dimostrava deluso per un mercato non certo memorabile. Invece il Milan ha dimostrato che già solo cacciare Balotelli è di per sé cosa positiva e la rnascita di El Shaaawi, supportata anche dall’arrivo di Torres e dalla conferma di Pazzini, dovrebbe garantire un buon livello offensivo.

I problemi sono semmai in difesa e li servirebbero 30 milioni di Euro per risolverli, oppure il ritorno al governo del suo presidente, entrambe chimere (la seconda per fortuna). Ma intanto un portiere di valore l’ha trovato e si è presentato parando un rigore oltre ad altre cose buone.

La Lazio, che pure secondo alcuni avrebbe condotto un buon mercato, si è dimostrata ben poca cosa. De Vrij ha esordito in modo disastroso, ma si rifarà. Per carità, è solo la prima ed è in trasferta, ma certo che stavolta non serviranno le raffiche di acquisti inutili che Lotito effettua in saldo mentre si abbassano le serrande della salumeria calcistica.

Il Napoli riesce ad espugnare Marassi, sconfiggendo il Genoa e ritrovando un mezzo sorriso dopo la scoppola di Champions. Ma anche qui una squadra già di per se non fortissima sconta l’assenza di una difesa all’altezza delle ambizioni e di un tecnico che non riesce proprio a plasmare una squadra sulle necessità di una partita.
Il Pareggio del Cagliari di Zeman con il Sassuolo, quello della Sampdoria a Palermo e del Verona a Bergamo completano la giornata che vede, come sorpresa assoluta, la vittoria del Cesena sul Parma. Per una settimana (anzi due vista la sosta per la Nazionale), affianco a Roma, Juventus e Milan, c’è il Cesena come primo in classifica.

di Carlo Musilli

Dopo anni passati a scrivere "Respect" e "No to racism" su cartelli, magliette, grafiche televisive e pagine web, non potevano proprio stare zitti. E così l'Uefa ha aperto un'inchiesta per "presunti commenti razzisti" contro Carlo Tavecchio, neoeletto presidente della Federcalcio. La decisione su un eventuale provvedimento potrebbe essere presa l'11 settembre, quando si riunirà la commissione disciplinare della massima istituzione calcistica europea.

Nel mirino c'è la famosa frase su "chi mangia le banane": una sparata così triviale che avrebbe fatto sotterrare dalla vergogna chiunque, nonché affossato la carriera di qualsiasi manager europeo. L'Italia è però la terra delle mille possibilità, dove tutto passa in cavalleria e (quasi) nessuno è chiamato a rendere conto degli sfondoni che distilla. Anzi, in questo caso il buon Tavecchio è stato perfino premiato con la carica più importante della sua carriera. Da noi è normale, ma l'Uefa, stavolta, si è sentita in dovere di produrre almeno uno scatto d'orgoglio, il minimo sindacale a tutela della propria credibilità.

"Sono sereno e rispettoso della decisione della Uefa - ha scritto in una nota il nuovo numero uno del calcio italiano -. Del resto si tratta di un atto dovuto, da noi stessi previsto, e sono certo che potrò spiegare anche in sede Uefa sia il mio errore che le mie vere  intenzioni". 

Il diritto alla difesa non si nega a nessuno, ma risulta davvero complicato immaginare un'interpretazione alternativa delle parole pronunciate da Tavecchio durante il discorso di presentazione della sua candidatura alla Figc. Il passaggio sotto accusa è questo (la trascrizione è letterale): "Le questioni di accoglienza sono un conto, le questioni del gioco sono un altro. L'Inghilterra individua dei soggetti che entrano se hanno professionalità per farli giocare. Noi invece diciamo che Opti Pobà è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare della Lazio. E va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree".

Il concetto, di per sé, è di una semplicità disarmante: nei campionati inglesi gli extracomunitari sono selezionati con maggiore rigore che in quelli italiani. Fine. Peccato che Tavecchio senta il bisogno di esemplificare. Pensa a uno straniero e gli viene in mente un africano; quindi ne scimmiotta il nome, producendo una sorta di Frankenstein fra Obi e Pogba; infine, immagina cosa potesse fare nel suo Paese prima di venire da noi a giocare a palla. E naturalmente il povero Opti Pobà "mangiava le banane".

E' evidente che non ci sia premeditazione, che si tratti di una scemenza dal sen fuggita. Chi mai, mentre cerca di guadagnarsi il favore della platea, si esporrebbe volontariamente ad accuse di razzismo? E' pura e semplice goffaggine comunicativa, un'incapacità che lo stesso Tavecchio sembra aver accettato, tanto che da lì in poi ha ridotto al minimo le frasi a braccio, limitandosi a leggere pedissequamente i testi che qualcun altro scrive per lui.

La domanda però è un'altra: tutto questo può essere sufficiente come giustificazione? Parlare di "presunto razzismo" suona un po' grottesco, perché il razzismo è indiscutibile. Che "le vere intenzioni" di Tavecchio fossero altre è più che verosimile, ma le persone comuni vengono giudicate per quello che dicono e non per quello che avrebbero voluto dire, per quello che fanno e non per quello che avrebbero voluto fare. Se il processo alle intenzioni non vale come accusa, non può tornare buono come difesa.

Chi prende le parti di Tavecchio, di solito, taccia i suoi detrattori di ipocrisia. L'argomento è più o meno il seguente: "Nella vita di tutti i giorni non accade forse di sentire persone che chiamano i neri 'mangia-banane', magari con bonaria ironia? Saremmo pronti a scandalizzarci così tanto anche se le stesse parole pronunciate da Tavecchio ci arrivassero all'orecchio in un bar o in un supermercato?".

Forse no, o quantomeno l'indignazione sarebbe meno accesa, perché nella propria intimità ciascuno è libero di esprimersi in modo pecoreccio e ignorante quanto più gli garba. Il punto è che un personaggio pubblico rappresenta un'istituzione, parla a nome di altre persone e si rivolge alle masse: ha delle responsabilità che superano quelle di chi parla per sé davanti a un bicchiere di vino. Quando apre bocca non può pensare che per lui valga l'attenuante della chiacchiera da bar. Chi ignora questo principio continuerà a meritarsi un Presidente del Consiglio che parla di Barack Obama come di un tipo "abbronzato". 


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