di Carlo Musilli

Al termine di una partita lenta, imballata, piena di paura e di muscoli, priva di slanci e di fantasia, l'Argentina vince ai rigori la semifinale dei Mondiali contro l'Olanda e sabato affronterà la Germania al Maracanà per giocarsi la Coppa. Sarà l'ultimo capitolo di una trilogia di finali iniziata con Messico 86 (3-2 per l'Argentina) e proseguita con Italia 90 (1-0 per la Germania). Tutto può accadere, ma considerando la qualità di gioco offerta ieri dall'Albiceleste, e soprattutto il 7-1 rifilato da Muller & Co. ai padroni di casa del Brasile, Maradona e i suoi epigoni faranno bene ad accendere un cero al dio Pallone.

Per avere un'idea del magro spettacolo andato in scena ieri sera sotto la pioggia di San Paolo, basti pensare che l'eroe del match è stato Sergio Romero. Stiamo parlando di un portiere abbandonato senza rimpianti dalla Sampdoria e oggi panchinaro al Monaco, dove la scorsa stagione ha collezionato la bellezza di nove presenze, di cui tre in Campionato, cinque in Coppa di Francia e una in "Coupe de la Ligue". E' già impegnativo capire come abbia fatto a diventare il portiere titolare dell'Argentina, figurasi immaginarlo parare due rigori su quattro all'Olanda, di cui uno tirato da Wesley Sneijder. Eppure è successo, e oggi Romero si gode la sua metamorfosi da Carneade a eroe nazionale.

Era forse più logico supporre che a decidere la partita sarebbero state le prodezze di Messi, le sgroppate di Robben o i colpi di genio di Van Persie, ma nessuno dei campioni si è fatto trovare pronto nel momento più importante. La Pulce, marcata a uomo da De Jong, non ha fatto che vagare per 120 minuti sul campo come una presenza fantasmatica, a dimostrazione del fatto che senza Di Maria - ieri assente per infortunio - il resto del centrocampo argentino non riesce a mettere il giocatore più forte del mondo in condizione di segnare.

Non si può sempre pretendere che Lionel salti da solo tre avversari e fiondi un sinistro a giro sotto l'incrocio. Purtroppo per Messi, Iniesta e Xavi giocano in un'altra nazionale, e Lucas Biglia - uno che fatica a farsi apprezzare nella Lazio - non è esattamente la stessa cosa. Il migliore in campo dell'Albiceleste è stato il ruvido ma sempre efficace Mascherano. Il che la dice lunga.    

Quanto alle stelle olandesi, il discorso cambia poco. Robben ha ridato ossigeno alle malelingue che da sempre lo accusano d'inconsistenza nelle partite che contano, mentre Van Persie ha dimostrato una volta di più che il suo cinismo da super-bomber è intermittente come una luce di Natale. Nonostante tutto, rimane incomprensibile la mossa del guru Van Gaal, che all'inizio dei supplementari decide di sostituire l'attaccante del Manchester United con Huntelaar, privandosi così di un rigorista affermato.

Nei penalty finali contro la Costa Rica, Van Persie era stato il primo ad andare sul dischetto, e l'aveva messa dentro. Ieri, al suo posto, si è presentato dagli 11 metri tale Ron Vlaar, difensore dell'Aston Villa. Romero ancora ringrazia.

di Carlo Musilli

La disfatta più clamorosa nella storia del calcio che conta. Non si può definire in altro modo l'apocalisse del Brasile, eliminato ieri dal Mondiale casalingo per mano di una Germania a dir poco spietata. Il risultato finale è un inverosimile 7-1. Gli alibi non mancano ai verdeoro, che entrano in campo orfani dei loro due giocatori più importanti, Neymar e Thiago Silva, il primo fuori per infortunio, il secondo per squalifica. Ma nessuna assenza, per quanto destabilizzante, può giustificare la metamorfosi di 11 milionari in un'accolita di pallonari non professionisti (sette gol, di solito, li prende il San Marino durante le qualificazioni).

I giocatori di Scolari non riescono a stare in campo, perdono le posizioni, le marcature e soprattutto la testa. Non reggono la pressione fisica dei tedeschi, né quella psicologica del resto del mondo. Si sbriciolano immediatamente, coprendo di vergogna la maglia più vincente di sempre.

Nei primi 29 minuti la Germania va a segno cinque volte: apre le marcature il solito Muller, raddoppia il leggendario Klose (che diventa il giocatore più prolifico nella storia dei Mondiali con 16 reti su 23 presenze), poi doppietta di Kroos e piattone vincente Kedira. "Ora si fermeranno - viene da pensare - non possono andare avanti". Ma il Brasile non accetta l'imbarcata, prova ad attaccare. E i tedeschi non si fermano.

Il secondo tempo si apre con quattro parate di Neuer, di cui almeno una miracolosa. Al 60esimo è Julio Cesar a esaltarsi su un tiro all'incrocio di Muller. Ma non serve a nulla. Nei successivi 18 minuti Schuerrle chiude il set, poi il tie break. Al 90esimo c'è appena il tempo per il gol della bandiera firmato Oscar.

Lo psciodramma carioca è certamente l'aspetto più memorabile di questa semifinale giocata al ritmo di un marcia funebre, ma non il solo. La Germania aveva dimostrato lungo tutto il torneo di essere superiore alla squadra di casa. Quello del 2014 è il Brasile più brutto che sia sceso in campo negli ultimi decenni, ma non si può non riconoscere la grandezza dei tedeschi.

Il ct Joachim Loew, ad esempio, ci ha messo del suo. Schierare una punta come Klose al posto del solito falso nueve (con Muller libero di girare intorno al centravanti della Lazio) si è rivelata una soluzione in grado di rivitalizzare l'attacco, apparso meno ispirato del solito sia agli ottavi contro l'Algeria sia ai quarti contro la Francia. Positiva anche la scelta di riportare Lahm sulla linea dei difensori e Kedira in posizione di mediano.

I cambi di formazione non bastano però a spiegare il trionfo del Meinschaft. Oltre alle capacità tecniche, alla prestanza fisica e alla quadratura tattica, la qualità più stupefacente dei tedeschi è la forza mentale, un carattere granitico che nessuna altra squadra può vantare.

Il Brasile ieri non esisteva, ma per segnare cinque volte in meno di mezz'ora, per prendere a pallonate gli osannati padroni di casa, servono lucidità e concentrazione superiori alla norma. La capacità di rimanere sul pezzo è garanzia di continuità. E sabato la Germania - dopo quattro semifinali consecutive - giocherà la sua ottava finale, la seconda nelle ultime quattro edizioni del Mondiale. 

di Fabrizio Casari

Le dimissioni annunciate alla fine della partita sono probabilmente la scelta migliore di Cesare Prandelli nel complesso del Mondiale brasiliano. Scelta non consueta in Italia quella delle dimissioni, ma difficilmente avrebbe potuto sorvolare e tirare dritto. Prandelli si è rivelato persona assolutamente perbene ma sopraffatto da una sfida molto, troppo più grande di lui. Forse proprio per questa inadeguatezza complessiva ha pronunciato, nel lasciare, parole senza senso.

In uno sfoggio di vera e propria mania di persecuzione, l’ormai ex CT si è detto aggredito dalla stampa (ma in realtà è solo Libero ad averlo criticato apertamente, e tutti sanno lo stile che caratterizza il fogliaccio e chi vi scrive) mentre la grande stampa italiana lo ha sostenuto, approvato, addirittura incensato oltre ogni pur comprensibile eccesso pallonaro nazionalista. Persino nel tacere del suo famoso “codice etico” altalenante, applicato solo per alcuni e non per altri.

Più che drammatico è risultato comico il passaggio dove Prandelli afferma di pagare le tasse, dimenticando che non solo non è l’unico ma che, essendo assunto dalla FIGC, non potrebbe evaderle neanche volendo. Toni e frasi che sembrano confermare - in un momento poco indicato - il difetto di postura fin qui evidenziato: Prandelli si sente una sorta di guida morale, un dispensatore di valori etici. Il che, oltre ad essere tutto da dimostrare, non rientra nei requisiti richiesti ad un CT della Nazionale di calcio.

Al quale, giova ricordarlo, si chiedono invece cose più terrene. Tipo selezionare il meglio dei giocatori italiani a disposizione; dare un gioco efficace ed un assetto tattico ben delineato ed insieme elastico nella sua applicazione alla squadra; riuscire a trasformare un gruppo reduce dai veleni dei campionati in un gruppo coeso e vincente; trovare le soluzioni migliori nei momenti di difficoltà; esaltare le qualità e ridurre al minimo i difetti della compagine; saper leggere l’andamento delle partite ed eventualmente approntare le modifiche giuste al momento giusto.

Ebbene, nel corso dell’avventura mondiale Prandelli ha dimostrato di non possedere nessuna di queste caratteristiche. Proviamo a verificarlo? Il dato di partenza è l’idea di gioco che sottintende alle convocazioni: prima di entrare nel merito dei nomi scelti, va evidenziato come su un gruppo di 23 giocatori, solo due siano le punte, dal momento che sia Candreva, sia Cerci, sono due esterni non propriamente prolifici e lo stesso Balotelli è da considerarsi come una seconda punta e non un centravanti vero e proprio (stesso discorso vale per immobile). E se si decide di portare solo due punte, entrambe prive di spessore internazionale e nessun centravanti, non è strano che in tre partite l’Italia abbia tirato in porta cinque (!) volte. Si pensava di dover collezionare pareggi?

Pensare di vincere senza segnare è difficile, e credere che a mettere la palla in rete ci pensino seconde punte e centrocampisti significa trasformare una opzione di gioco secondaria in quella principale. Una delle coppie migliori del campionato, quella formata da Immobile e Cerci, non siamo riusciti a vederla. E sentir dire che l’infortunio di Montolivo abbia sconvolto i piani del CT fa cadere le braccia. Montolivo?? Montolivo è un discreto centrocampista che non cambia in positivo o in negativo il volto di nessuna squadra. Ma di chi stiamo parlando, di Xavi o Iniesta? Ma vogliamo scherzare?

Per quanto riguarda i nomi è apparso francamente assurdo ignorare i verdetti del campionato appena concluso, dove Toni, Gilardino e Destro hanno collezionato un numero di gol decisamente superiori di quelli messi a segno da Balotelli.

Per non parlare di Totti, unico fuoriclasse italiano, lasciato a casa per limiti di tenuta fisica: motivazione che non convince, dal momento che Thiago Motta e Cassano sono di gran lunga inferiori tecnicamente e anche sotto il profilo atletico al fuoriclasse giallorosso. Motta e Cassano non correvano nemmeno tre anni fa in un campionato giocato in inverno: come si può pensare che corrano oggi e a 34 gradi con il 90% di umidità?

E davvero Florenzi, uno dei migliori centrocampisti per qualità e quantità, non sarebbe stato fondamentale in mezzo al campo? E perché mettere Pirlo e Verratti insieme, visibilmente a limitarsi reciprocamente, salvo scoprire che almeno il regista del PSG ha polmoni e tecnica persino ormai superiori a quelli di Pirlo che cammina per il campo?

Un centrocampo che avesse avuto Verratti insieme a De Rossi, Florenzi, Marchisio e Parolo come rimpiazzo, avrebbe certamente corso di più e meglio, altro che tiki-taka inutile. Ed un attacco con Toni o Gilardino o Destro, Cerci e Immobile avrebbe rappresentato ben altra minaccia, soprattutto se dotato di Totti come ulteriore opzione di lusso. E resta l’evidenza di come, incomprensibilmente, nelle due occasioni in cui l’Italia è finita in svantaggio siano uscite le punte in favore delle mezze punte. Fallo di confusione?

In difesa è sfuggito il senso della presenza di De Sciglio, infortunato cronico, che avrebbe dovuto, nell’ipotesi di partenza, giocare ipoteticamente 9-10 partite in un mese. Pasqual dava certo più garanzie di tenuta e vedere lui a casa e Abate in Nazionale è sembrato un paradosso. Ancor più incomprensibile risulta la scelta del disastroso Paletta al posto di Ranocchia: l’interista avrebbe potuto dirottare Chiellini sulla fascia e, insieme a Bonucci, guidare centralmente la difesa, considerato che gli anni giocati insieme avevano mostrato l’efficacia assoluta della coppia ex-Bari.

Fin qui le scelte degli uomini. Ma anche sotto il profilo tattico il disastro è stato totale. In primo luogo perché il modello di gioco degli ultimi due anni, pure positivo, è stato immediatamente accantonato in favore di una continua rivisitazione; in tre partite, abbiamo visto tre modi diversi di stare in campo e nessuno adeguato. Sembra poi che a guidare le scelte sia stato il meteo. Esaltare qualità e occultare i difetti, si diceva, ma l’idea per la quale con quelle temperature non si possa correre, è negata dalle altre compagini che corrono eccome (europee comprese).

E in fondo nascondono un convincimento errato, che vede i nostri giocatori superiori tecnicamente anche se inferiori agonisticamente. Si ritiene quindi conveniente addormentare il gioco per far prevalere la tecnica sull’agonismo. Ma la povertà tecnica della compagine italiana è sotto gli occhi di tutti e s’accoppia bene con quella agonistica.

L’idea di poter far giocare la squadra senza correre è stata funzionale solo per i “senatori” ed è stato l’errore fatale. Diversamente che negli scacchi, a calcio si gioca con il fisico e la testa, sì, ma soprattutto con le gambe e la corsa. Se quelli che si vogliono portare al mondiale si pensa non siano in grado di correre, meglio lasciarli a casa. Ma poi, coerentemente, se si lasciano a casa Totti, i Toni, i Gilardino, i Giuseppe Rossi perché ritenuti fisicamente non in grado di affrontare la maratona pedatoria, si sostituiscano però con Florenzi, Giaccherini, Diamanti, Gabbiadini; non Thiago Motta e Cassano. E’ un’offesa alla logica prima che al calcio.

Quanto alla coesione dell’arcinoto “gruppo”, non si è vista. Davvero fuori luogo le parole di Buffon al termine della gara, quando, senza nominarlo, ha voluto indicare in Balotelli il colpevole numero uno. Oltre ad aver allegramente sorvolato sulle sue responsabilità nel gol incassato dal Costa Rica, Buffon ha dimostrato di non aver chiaro cosa sia un capitano. Comodo accusare Balotelli che però in tre partite ha avuto 4 (!) palloni dal celebratissimo Pirlo, così come Immobile ne ha avuto uno solo a giocabile in 95 minuti di partita.

E comodo sorvolare su due rigori procurati da Chiellini e non fischiatici contro solo per carità di patria; o, ancor più, comodo tacere di Bonucci in versione statua di sale di fronte a Godin che liberissimo salta, inzucca e ci manda a casa. Beh, certo, Bonucci è suo amico e compagno nella Juventus, ma la decenza imporrebbe tacere se non si riesce ad essere equilibrati. Si vince e si perde insieme e sarebbe ora che proprio per avviare quel ricambio generazionale di cui il calcio ha bisogno, i senatori fossero accompagnati con un bel grazie all'uscita. Servono come minimo due anni se vogliamo provare a giocare un europeo decente.

Attaccare Balotelli, che nulla fa per riuscire a diventare un calciatore invece che proporsi come una icona dell’idiozia mediatica, è facile. Un bad boy sopravvalutato, certo, ma anche un ragazzo privo di sostegno “politico” contro il quale è facile scagliarsi. Non si possono addossare a Balotelli le sconfitte dopo aver assegnato al gruppo l’unica vittoria (con un suo gol decisivo, peraltro). Un intervento quindi, quello di Buffon, sbagliato nel merito e pessimo nel metodo, considerando che viene dal capitano. Che evidentemente è tale solo per i suoi amici, e Balotelli non lo è, anche per storie passate di campionato a quanto pare difficili da smaltire.

Usciamo da un torneo nel quale nessuna sconfitta patita è sembrata irrimediabile, in ogni partita sembrava si potesse sovvertire il risultato con cambi azzeccati e un modulo giusto. C’è stata però l’incapacità di leggere lo svolgimento delle gare innestando i cambi meno idonei, e questo davvero non è un dettaglio per un CT. E’ divertente ricordare un famoso allenatore argentino che diceva: “Ho preparato perfettamente la squadra sul piano tattico, l’ho schierata in modo perfetto. Purtroppo, poi, l’arbitro ha fischiato e la partita è cominciata”. E il nostro mondiale è finito.





di Carlo Musilli

Milioni di euro, piattaforme, squadre importanti e squadre minori, diffide e controdiffide, amici, nemici e conflitti d'interessi. E’ una telenovela infinita quella sui diritti tv per la Serie A nel triennio 2015-2018. L’assemblea della Lega non ha ancora deciso se attribuirli a Sky, a Mediaset, a entrambe o a nessuna delle due, ma il flipper che si è visto fin qui basta a suscitare più di qualche perplessità sulla trasparenza degli affari nella Confindustria del pallone.

In principio fu una gara, una normale asta, poi si trattò di scegliere il vincitore e iniziarono i problemi. Come fare? Se il criterio fosse stato quello del miglior offerente, Sky avrebbe già vinto. L’emittente del gruppo Murdoch ha messo sul piatto più soldi del Biscione per ottenere i lotti A e B (357 milioni per il primo e 422 per il secondo), che presi insieme comprendono le partite delle otto squadre più importanti del Campionato su entrambe le piattaforme (satellitare e digitale terrestre).

Mediaset, invece, ha avanzato la proposta migliore per le altre 12 squadre (lotto D), ma i 301 milioni offerti sono vincolati all'aggiudicazione anche di uno dei due pacchetti migliori, A o B. La tv di Berlusconi, quindi, rischia di essere esclusa dal calcio che conta, almeno per quanto riguarda la Serie A, visto che a febbraio si è aggiudicata i diritti per la Champions League nello stesso triennio.

Ma è a questo punto della storia che la trama si complica. Colpo di scena: la Lega ha detto di voler “massimizzare il profitto senza creare un monopolio”, perciò ha aggiunto al bando una clausola che all’inizio non c’era, vietando l'assegnazione allo stesso soggetto dei lotti più pregiati. La postilla ha salvato in corner Mediaset, scatenando la furia di Sky, che ha diffidato formalmente la Lega dall'assegnare i diritti tv fuori dalle regole del bando.

Un’iniziativa accompagnata da una lettera ai presidenti dei club calcistici in cui Sky ha sottolineato di non poter “accettare l'idea che l'assegnazione dei diritti della serie A avvenga secondo principi e ipotesi non regolari e non previste dal bando. La diffida è un passo a cui siamo stati costretti perché crediamo che il rispetto delle regole sia sempre fondamentale e, proprio nel pieno rispetto delle regole, in questa gara noi abbiamo fatto le offerte più alte”.

Siccome la miglior difesa è l’attacco, Mediaset ha reagito con una contro-diffida, sostenendo che la mossa di Sky, arrivata a ridosso dell’assemblea, fosse “un tentativo di condizionare indebitamente le scelte della Lega e delle squadre”. Il Biscione ha accusato la rivale di turbativa d'asta e concorrenza sleale, minacciando di chiedere i danni sia a Sky sia alla Lega in caso di assegnazione congiunta dei pacchetti A e B.

La soluzione concepita da Infront, advisor della Lega, è proprio quella della spartizione. Sennonché, Infront è anche la società che cura il marketing e l’advertising del Milan, società berlusconiana esattamente come Mediaset. Repubblica ha perfino scoperto che lo scorso settembre Sabina Began, gran maestra delle olgettine, è stata assunta da Infront come consulente con uno stipendio di 370mila euro l'anno. Il conflitto d’interessi è macroscopico e ogni commento è inutile.

Ma i sospetti non finiscono qui. La Lega Calcio, evidentemente angosciata all'idea di danneggiare Mediaset, ha chiesto un parere legale al professor Giorgio De Nova, ex avvocato di Fininvest, il quale ha affermato che non sarebbe possibile assegnare i lotti A e B allo stesso operatore.

Peccato che la legge Melandri dica ben altro: non è vietata l'assegnazione unilaterale di due pacchetti importanti, ma solo la concessione dei diritti tv di tutte le squadre su tutte le piattaforme a un'unica emittente. Peraltro, se si verificasse questa eventualità, l'Antitrust potrebbe intervenire ex post, ma solo su ricorso di una delle parti coinvolte.

In ogni caso, tornando al progetto di Infront, se la soluzione salomonica andasse in porto, si creerebbe un paradosso: Sky avrebbe i diritti per il digitale terrestre e Mediaset quelli per il satellitare. In questo modo, però, la Lega potrebbe incassare anche i 301 milioni offerti dall’azienda dei Berlusconi per il lotto D (proposta, lo ricordiamo, subordinata alla concessione anche di A o B), portando l’incasso complessivo a oltre un miliardo, il 30% in più rispetto a quanto garantito dagli accordi attuali.  

A rigor di logica, essendo Sky una pay tv satellitare, dopo l’aggiudicazione ipotizzata da Infront dovrebbe scambiare la piattaforma con Mediaset. Ma l’azienda di Murdoch ha già fatto sapere che “non ci sono né le ragioni né le condizioni per accordi tra gli operatori”. Niente da fare, quindi, anche perché la società ha un accordo con Telecom Italia per trasmettere sul digitale terrestre da ottobre con un decoder unico. Il problema sarebbe quindi di Mediaset, che dovrebbe attrezzarsi per il satellitare. 

Lo stallo prosegue e a questo punto è probabile che si vada verso un annullamento della gara, possibilità prevista dal bando in caso di mancata assegnazione anche di un solo pacchetto. La Lega e Infront si sono tenute aperta questa porta fissando la base d'asta del lotto E (quello per i diritti internet) a 108 milioni, una quota abbastanza alta per fare in modo di non ricevere alcuna offerta. Chissà se per una prossima (eventuale) gara sceglieranno anche un arbitro meno sospetto.

di Carlo Musilli

"Se qualcosa può andar male, lo farà", recita la legge di Murphy. Non c'è massima che riassuma meglio la triste spedizione dell'Italia ai Mondiali di Brasile 2014. Con l'Uruguay bastava pareggiare per raggiungere gli ottavi, ma abbiamo perso 1-0. Andiamo a casa per un colpo di testa di Godin su calcio d'angolo all'81esimo. Si salvano solo le dimissioni "irrevocabili" di Cesare Prandelli, che - pur essendo fresco di rinnovo - ha tratto con serietà le conseguenze dei propri errori. Di rimando (e per fortuna) si è dimesso anche il presidente della Figc, Giancarlo Abete.

A ben vedere, le ragioni della nostra sconfitta sono molte. Mettiamo da parte De Coubertin e cominciamo dall'arbitro. E' innegabile che la svolta della partita di ieri sia stata l'incredibile espulsione di Marchisio a metà del secondo tempo, cacciato dal direttore di gara (che era a un metro) per un normalissimo contrasto di gioco. Vedere della violenza gratuita nel gesto del centrocampista azzurro - che tocca con il piede il ginocchio dell'avversario cercando di frapporsi fra lui e la palla - vuol dire non avere idea di come si muovano i giocatori su un campo da calcio. La frittata si completa qualche minuto dopo, quando Suarez dà un morso, un morso vero, sulla spalla di Chiellini. Il fuoriclasse della Celeste non è nuovo a follie del genere, ma stavolta è fortunato. Lo hanno visto tutti, tranne arbitro e guardalinee.

Il secondo fattore a spiegare la nostra eliminazione, ma non per importanza, è l'inesperienza di Prandelli, che non si è dimostrato all'altezza del suo compito. E' vero, ha delle attenuanti - dall'infortunio di Montolivo nell'ultima amichevole pre-partenza, al forfait di De Rossi prima dell'ultima partita - ma nessuna è sufficiente a giustificare la confusione che alberga nella mente del nostro ct, né la sua incapacità di leggere le partite.

Contro il Costa Rica avevamo bisogno di un centrocampo veloce e ci siamo sorbiti la fisicità lignea di Thiago Motta. Ieri dovevamo affrontare una partita muscolare, e abbiamo giocato senza nessuno a fare interdizione. Tenere alta la squadra è la regola numero uno in questi casi, ma nella ripresa Balotelli viene sostituito da Parolo, che peserà 20 chili meno di lui. Prandelli leva SuperMario perché teme si faccia espellere (era già ammonito), sennonché, quando anche Immobile deve uscire zoppicante, il nostro allenatore si ritrova a dover mettere Cassano. Difficile immaginare un innesto più inutile contro gli energumeni uruguayani.

Il terzo fattore per cui diciamo addio ai campi brasiliani è certamente il più decisivo: abbiamo giocato male. Malissimo contro il Costa Rica, molto male contro l'Uruguay. La vittoria d'esordio contro l'Inghilterra ci aveva illuso, ma il Subbuteo di Roy Hodgson, dobbiamo ammetterlo, ci aveva regalato molto. Nelle ultime due partite non c'è stato raccordo fra centrocampo e attacco: di tiri in porta nemmeno l'ombra, nessun inserimento, zero sovrapposizioni sulle fasce. Solo tanto caos nel nostro centrocampo intasato.

Una carenza di idee figlia anche della schizofrenia tattica di Prandelli, che ha cambiato modulo in continuazione, come niente fosse, senza dare ai nostri giocatori nessuna certezza, nessun punto di riferimento, nessun automatismo. Senza contare che non abbiamo tenuto nemmeno a livello atletico, dimostrandoci palesemente inadeguati nei polmoni e nei muscoli.

Infine, è mancata anche un po' di grinta. Un deficit scontato più nella seconda che nella terza partita, ma comunque mortifero. La squadra non aveva personalità, né esperienza sufficiente per gestire un torneo come questo. Il fatto che un bambinone come Balotelli abbia ricevuto l'investitura del leader la dice lunga sulla nostra lucidità. Ora che tutto è finito, in ogni caso, avremo il tempo per tornare padroni di noi stessi, se non del campo. Guardiamo il lato positivo: potremo anche rilassarci con un po' di tennis. Lunedì è cominciato Wimbledon.


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