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di Antonio Rei
Sconfitti nei polmoni e nella testa. La Costa Rica ci batte con merito, seppur di misura, e incredibilmente è già sicura di approdare agli ottavi, Cenerentola di un girone in cui i suoi avversari contano sette Coppe del Mondo in tre. L'errore da cui imparare non è tanto quello di Barzagli e Chiellini, che al 44esimo si perdono Ruiz in area, lasciandolo libero di colpire di testa e insaccare il gol partita.
Il nostro fallimento è prima di tutto nell'approccio: all'inizio spaventati di sbagliare, alla fine ansiosi di recuperare. A livello atletico i sudamericani ci surclassano nettamente per tutta la partita. Corrono al doppio della velocità, palleggiano con brillantezza, cercano giocate semplici ma efficaci. E picchiano il giusto, anche grazie a un arbitro di manica larga (che però salva anche noi, evitando di fischiarci un rigore contro).
Lentissimi, macchinosi, prevedibili e imprecisi, gli azzurri perdono una valanga di palloni. Non solo nel tentativo di costruire, ma anche in fase di disimpegno, esponendosi ai contropiedi degli avversari. Gli italiani non riescono a reagire, ma l'aspetto preoccupante è che non sembrano nemmeno provarci più di tanto. Anche perché, quando la palla non si perde fra ingorghi e tamponamenti, i nostri finiscono quasi sempre in posizione irregolare: a fine partita i fuorigioco sono addirittura 11.
Merito anche dell'atteggiamento spregiudicato messo in campo dal Costa Rica, che per 90 minuti riesce a tenere altissime le linee di difesa e centrocampo. Una strategia che paga, anche se in teoria basterebbe un semplice inserimento in velocità per bucarli.
A proposito di velocità, magari piazzare un armadio come Thiago Motta in mezzo ai grilli costaricani non è proprio la contromossa giusta. Prandelli se ne accorge, peccato che al suo posto mandi in campo Cassano. Spera nell'invenzione del genio, ma si ritrova solo con uno pseudo-fantasista che inciampa ogni due passi e lancia in avanti un po' a caso.
Nemmeno Balotelli è al meglio: nel primo tempo ha un paio di occasioni abbastanza nitide (le uniche del match per gli azzurri), ma le cicca entrambe. Vicino al nostro ct siede Immobile, che per caratteristiche sembra più adatto di Supermario a smarcarsi fra gli avversari, ma purtroppo non si alza mai dalla panchina.
E' chiaro che in una giornata del genere non si salva nulla e nessuno. Lo stesso Prandelli, molto probabilmente, non farebbe le stesse scelte se tornasse indietro. Per questo gettare la croce addosso a qualcuno in particolare è ingeneroso. Nessuno merita la sufficienza, nemmeno Insigne e Cerci, gli altri due subentrati nella ripresa.
Ci rimane però una nota positiva cui aggrapparci. Se non consideriamo l'obiettivo del primo posto e puntiamo il mirino sulla mera qualificazione, in realtà lo 0-1 è praticamente identico all'1-1, perché l'Uruguay con il Costa Rica ha perso con un gol in più di scarto (3-1). Visto che l'Inghilterra è ancora a 0 punti, in teoria ci basterebbe pareggiare con la Celeste nell'ultima partita.
Ma i nostri prossimi avversari hanno recuperato il loro leader, Luis Suarez, insieme alla fiducia e all'entusiasmo. Noi invece usciamo fortemente ridimensionati da questa seconda partita. Senza contare che, purtroppo, anche l'ultima si giocherà di giorno, e il caldo a quanto pare è una variabile non secondaria in casa azzurri. Per sperare di farcela dovremo portare in campo altri polmoni e, soprattutto, un'altra testa.
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di Carlo Musilli
Non doveva nemmeno giocarla questa partita. Invece scende in campo, Luis Suarez, e piazza una doppietta che stende gli inglesi. L'Uruguay si risolleva dopo la clamorosa sconfitta d'esordio contro il Costa Rica e sale a tre punti. Per i ragazzotti di Sua Maestà, invece, dopo il ko contro l'Italia, questo mondiale sembra ormai finito. La matematica ancora non li condanna, ma ci vorrebbe davvero un miracolo per far riemergere dai loro zero punti i leoni d'Inghilterra, che quest'anno in Brasile hanno fatto la figura dei gattini.
Oggi però è soprattutto di Suarez che si deve parlare. Se lo merita. E' una storia quasi fiabesca quella del Pistolero che spara con gli indici dopo ogni gol. Lo hanno operato al menisco del ginocchio destro il 22 maggio: all'inizio si parlava per lui di Mondiale in fumo, poi si diceva che sarebbe tornato utile solo per l'ultima del girone contro gli azzurri, e chissà con quale efficacia.
La testa calda del Liverpool però stupisce ancora. Non solo recupera la condizione fisica con una velocità da Guinness, ma riesce anche a trasformare la propria squadra. Sopporta la pressione, le aspettative, e in meno di un mese si trasforma da convalescente a man of the match, castigando la squadra del Paese dove gioca.
A onor del vero, gli inglesi ci mettono del loro. Lenti, macchinosi, mal messi in campo e soprattutto svogliati, gli uomini di Hodgson per almeno un'ora non riescono a vincere un solo contrasto di gioco, surclassati dal tradizionale agonismo uruguaiano.
La prima rete della Celeste è un capolavoro: dal limite dell'area Cavani finta il cross, poi lo lascia partire con una traiettoria tesa e chirurgica, che la testa di Suarez - incredibilmente libero - indirizza in diagonale sul palo lungo.
Ci si aspetta a quel punto una reazione degli inglesi, ma è davvero poca cosa. Non sanno costruire gioco, Gerrard è l'ombra di se stesso e la palla viene spedita in avanti a casaccio, con una pioggia di lanci lunghi. Peccato che non ci sia nessuno a fare da sponda, visto che Rooney - chissà perché - viene relegato dal suo ct a fare quasi il mediano, lontano una quarantina di metri dalla porta.
Nonostante tutto è lui ad avere le migliori occasioni per l'Inghilterra e nella ripresa, quando ormai la partita sembra in stallo, riesce sorprendentemente a mettere dentro il suo primo gol nella fase finale di un Mondiale. Si tratta di un semplice tap-in, propiziato dall'unica azione davvero buona sulla catena destra di Sturridge e Johnson, che per una volta riescono a evitare le marcature al vetriolo degli avversari.
Per qualche minuto sembra che la partita possa davvero girare. Vuoi vedere che agli inglesi riesce il miracolo? Macché. Palla lunga e imprecisa dal centrocampo uruguaiano - dove si affollano solo sicari con i piedi ruvidi -, chiusura disastrosa della retroguardia biancorossa, che consente a Suarez di presentarsi solo davanti a Heart. Il Pistolero non si fa pregare: controlla, prende la mira e spara. E' il 2-1. E si vede anche qualche lacrima sulla faccia del duro Luis.
A questo punto tocca all'Italia. Speravamo in un pareggio fra i nostri due avversari usciti sconfitti dalla prima partita, ma la verità è che nessun risultato ci avrebbe lasciati davvero tranquilli. Forse è meglio così. Ora sappiamo che contro la Celeste sarà una vera battaglia, quindi vincere con il Costa Rica diventa ancora più importante.
Certo, dovremmo sfatare il tabù della seconda partita del girone, che fra Europei e Mondiali non portiamo a casa da un'era geologica. Sarà molto più complesso del previsto, visto lo scherzetto già combinato dai costaricani all'Uruguay. Bisognerà correre a testa bassa e crederci. Come insegna il menisco destro di Suarez.
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di Antonio Rei
Invece dei 15 minuti di gloria alla Andy Warhol, Guillermo Ochoa ne ha avuti 90. Fino all'ultima stagione era il portiere dell'Ajaccio (retrocesso nella serie B francese), oggi è senza contratto. Per il resto della sua vita, tuttavia, potrà dire di aver profanato il tempio davanti ai sacerdoti, proteggendo il suo Messico e fermando il Brasile sullo 0-0 nella seconda partita del mondiale carioca.
Certo, le parate multiple e spettacolari di Ochoa sono un fattore importante (memorabile il riflesso su una cannonata di testa da due metri firmata Thiago Silva), ma non l'unico né il più importante per spiegare l'abulia dei verdeoro. Se davvero sono loro i favoritissimi di questa Coppa del Mondo, perché giocano in casa e si chiamano Brasile, i ragazzi di Scolari faranno bene a ricordarsene in fretta.
Dopo l'esordio di mezza rapina contro la Croazia, ieri i padroni di casa non hanno beneficiato di rigori creativi e, invece di progredire, hanno messo in luce addirittura qualche elemento di regressione. Ciò che più stupisce è l'inconsistenza dell'attacco.
La domanda è una sola: se vuole giocare con un centravanti di peso là davanti, perché mai il buon Felipe ha convocato solo Fred e Jo per questo ruolo, ovvero due giovanotti con la mobilità di una libreria Ikea appena montata? Non era meglio fare una telefonata a Diego Costa, invece di lasciarlo giocare con la Spagna?
Subito dietro ai centravanti-boa-elemento d'arredo, Neymar tocca bene la palla, tira delle grandi punizioni, è rapido, ma da solo non può fare molto. Se nessun compagno fa movimento, nemmeno con tutta la visione di gioco del mondo si mette qualcuno davanti alla porta. Tanto meno con quattro messicani attaccati alle caviglie per un'ora e mezza.
Quanto al pacchetto arretrato, come si diceva una volta, suscita una certa solidarietà il povero Thiago Silva, l'unico davvero esperto nella nobile arte della marcatura e nella gloriosa pratica dell'anticipo. L'affidabilità difensiva di David Luiz è uno spettacolo sconsigliato ai deboli di cuore, mentre i due terzini, Marcelo e Dani Alvez, hanno nel dna la sgroppata sulla fascia, non la copertura.
E dire che ieri i due talenti di Real e Barcellona non sono stati efficaci nemmeno in spinta, non riuscendo mai ad aprire la difesa messicana, né a portare via un singolo uomo.
Non va meglio a Oscar e Ramirez, a dir poco evanescenti sulle ali. In mezzo, invece, passare era quasi impossibile, perché il 3-5-2 messo in campo da Miguel Herrera ha chiuso quella porta a tripla mandata, mentre dietro il veterano Marquez ha guidato la linea difensiva con un cipiglio ai limiti dell'eroico.
Certo, il terzo avversario del Brasile sarà il Camerun, ben più modesto sia del Messico sia della Croazia, per cui è fantascienza immaginare che ai verdeoro possa sfuggire la qualificazione. Ma, dopo il risultato di ieri, la partita conclusiva del girone non sarà l'inutile formalità che tutti si aspettavano. Almeno un gol servirà. Aspettando un po' di samba, che per ora non si sente neanche in lontananza.
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di Fabrizio Casari
Un’Italia intermittente ma come sempre cinica, ha battuto un’Inghilterra davvero poco convincente. E' vero, non c'è stato da stropicciarsi gli occhi per il bel gioco o la velocità, però si giocava in un clima amazzonico pieno di calore e umidità che poco t'invita a correre e la palla doveva rotolare in un campo più adatto ad un incontro tra scapoli e ammogliati che ad una partita del campionato del mondo.
Ma ad ogni modo l'Italia ha giocato bene ed ha meritato di vincere. Attenti al possesso palla, sebbene con un modulo tutt’altro che iper-offensivo gli azzurri sono stati capaci di affondare il colpo nel momento giusto e con il giocatore giusto. Una sola punta di ruolo, Balotelli, con Marchisio dotato di licenza (anzi d'obbligo) d’inserimenti verticali e Candreva che ha mostrato il lavoro vero dell’ala, abbiamo purtroppo patito l’assenza di Chiellini (dirottato a sinistra per cause di forza maggiore) e la conseguente presenza al centro della difesa di Paletta, giocatore davvero modesto che solo una svista di Prandelli può aver immaginato come soluzione migliore di Ranocchia.
Dalle parti di Paletta abbiamo davvero rischiato di subire gol a raffica: saltato, aggirato, anticipato, il difensore di origini argentine ha passato davvero una brutta serata e nulla lascia immaginare un diverso proseguire. Il rientro di De Sciglio sistemerà il pacchetto arretrato e le coronarie
La squadra di Hogson ha cercato di non far ragionare i nostri centrocampisti con una marcatura sia sul portatore di palla che sui suoi possibili appoggi che, nelle intenzioni, doveva essere destinata ad impedire la nascita delle trame di gioco sin dalla nostra difesa. Invece che innervosirsi per una modalità non prevista nello schieramento dell’avversario, l’Italia ha saputo mantenere il controllo della palla e la supremazia a centrocampo grazie alle qualità tecniche di De Rossi, Pirlo, Verratti e Marchisio e alla spinta sulle fasce di Darmian e Candreva.
Un centrocampo di “piedi buoni”, ma che deve dare ancora il meglio di sé, dal momento che Verratti è in qualche modo sacrificato dall’imminenza di Pirlo che gioca a pochi metri da lui. Servirebbe forse un modulo a rombo per esaltarne meglio le caratteristiche, ma ad ogni modo l’Inghilterra è riuscita a metterci in difficoltà solo con la velocità.
Aver cominciato il Mondiale battendo i bianchi della perfida Albione non sarà un risultato storico ma almeno ha il pregio di tirarci fuori da subito dalla partita “dentro o fuori” per il superamento del girone, che toccherà invece a Gran Bretagna e Uruguay, un altro mostro sacro del dio della palla ridicolizzata stavolta dalla sorpresa Costa Rica.
Succede poi che, diversamente da altre edizioni della competizione, non abbiamo patito sin dai primi 90 minuti e la sensazione è che questo mondiale, più di altri, sia stato preparato con cura dal Ct Prandelli.
Sembra presto per esaltarsi o credere in difficili obiettivi, e tuttavia questa squadra ha diverse qualità ed è assemblata in modo da poter offrire diverse possibilità di moduli. Non solo dietro, dove può schierarsi a tre o quattro, ma anche sul piano più generale dell’assetto tattico, disponendo di due ali importanti, utilissime per un 4-4-2, di un centrocampo di qualità, buono per un 4-2-3-1 o per un 4-4-3 o per uno schieramento a rombo, o per un 4-4-1.
E non c’è dubbio che, ove necessario, l’inserimento di Immobile al fianco di Balotelli potrebbe determinare un numero maggiore di soluzioni offensive e dunque una maggiore pericolosità in attacco, così come la presenza contemporanea di Candreva e Cerci sulle due fasce darebbe serie preoccupazioni ad ogni difesa.
In attesa della Costa Rica, che ai nostri occhi ha il pessimo difetto di correre a perdifiato ma l’assoluta insipienza tattica, giunge la conferma che Buffon potrà rientrare solo con l’Uruguay. Sirigu, però, offre tutte le garanzie. L'importante è non sottovalutare nessuno.
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di Carlo Musilli
Immaginare un mondiale brasiliano vinto da una squadra diversa dal Brasile di Neymar è complicato, ma si può fare. Se i pronostici sbagliassero, se il fattore campo non fosse decisivo (come 64 anni fa, quando in terra carioca vinse l’Uruguay), se si riuscisse a superare anche il timore di violenze e autolesionismi vari per un’eventuale eliminazione dei verdeoro, spunterebbero due nomi: Germania e Spagna. Niente di originale, purtroppo, ma la prima è come al solito la squadra più granitica a livello atletico, mentre la seconda vanta un livello medio di tecnica che forse nemmeno i padroni di casa sono in grado di uguagliare.
Ai tedeschi manca una prima punta pesante come Gomez, ma le alternative in attacco si sprecano: da Reus a Podolski, da Götze al veterano Klose, passando per le frequenti incursioni in avanti di Müller. Senza contare la nuova capacità di palleggio a centrocampo acquisita grazie all’effetto-Guardiola sul Bayern. Quanto agli spagnoli, si può obiettare che Iniesta e Xavi non siano più gli alieni del 2010. E’ vero, ma rimangono Iniesta e Xavi, e, con tutto il rispetto, non c’è Verratti o Pogba che tenga. In fondo, dal mondiale sudafricano che li ha visti trionfare, i rojos hanno perso soltanto una partita ufficiale: la finale di Confederation Cup l’anno scorso contro il Brasile.
Nello stesso girone della Spagna, insieme a Cile e Australia, figura la grande sconfitta della finale di quattro anni fa, l’Olanda, che forma con il Portogallo la solita accoppiata di nazionali ricche di tradizione e talento, ma finora a secco di titoli mondiali. Le stelle degli arancioni erano e sono Robben, Schneider e Van Persie, campioni assoluti ma dal rendimento spesso altalenante. Il problema principale è l’assenza di Strootman, “la lavatrice” del centrocampo, come l’ha definito Rudy Garcia.
In casa portoghese, invece, è naturale che tutto dipenda dalle condizioni di Cristiano Ronaldo: se recupera la forma è in grado di bucare la porta di chiunque e trascinare avanti gli altri 10, altrimenti il rischio è che la squadra ricada nel vecchio vizietto del bel gioco avaro di gol. Il che sarebbe fatale, visto che CR7 & Co. dovranno affrontare un girone tutt’altro che semplice contro Germania, Stati Uniti e Ghana.
In termini di difficoltà, però, nessun girone batte il nostro. A causa di quello sciagurato pareggio di ottobre contro l’Armenia, l’Italia non era teste di serie e ora deve vedersela con Inghilterra e Uruguay, oltre che con il Costa Rica. Per gli azzurri sarà probabilmente un Mondiale al contrario rispetto al solito: frizzanti in attacco, smemorati in difesa, dove la panchina non offre ricambi all’altezza di sostituire i tre della linea juventina, a loro volta provati da un anno di allenamenti in stile Conte.
L’impatto con gli inglesi non sarà leggero: macchinosi e legnosi quanto si vuole, gli uomini di Hodgson hanno comunque una prestanza fisica e un’intelaiatura tattica che non si scardinano in cinque minuti. Occorre pazienza. Non guasterebbe anche un po’ di fortuna contro l’Uruguay, probabilmente la più forte delle quattro squadre. Sanchez è stato operato al menisco il 22 maggio, ma è in Brasile e potrebbe riuscire a far danni al fianco di Cavani. In porta però c’è ancora Muslera, il che significa che chiunque - Costa Rica compresa - farebbe bene a tirare appena la porta compare all’orizzonte, come in Holly e Benji.
Per quanto riguarda le possibili sorprese, a detta di quasi tutti i commentatori le due mine vaganti sono Belgio e Colombia. In particolare, i cuginetti sempre scherniti dai francesi stavolta si presentano al Mondiale con una formazione che sembra superiore alla Francia stessa, vantando talenti come Hazard, Mertens, De Bruyne, Dembélé, Januzaj e il buon vecchio capellone Fellaini.
La squadra di Mark Wilmots è giovane, fantasiosa e nelle qualificazioni ha stupito tutti, mettendo a segno 26 punti senza perdere nemmeno una partita e buttando fuori quel che resta della Serbia. Il Belgio potrebbe essere davvero la sorpresa del 2014, anche perché non è proprio in un girone di ferro: dovrà giocare con Algeria, Corea Del Sud e Russia.
Le velleità colombiane, invece, risultano molto ridimensionate dal forfait dell’attaccante-star Radamel Falcao. In ogni caso, anche per i gialli sudamericani il girone contro Grecia, Costa d’Avorio e Giappone è più che abbordabile. La Colombia, infatti, può contare sulle stelle Carlos Bacca del Siviglia e Jackson Martinez del Porto, ma anche su molte conoscenze del nostro campionato, ovvero Cuadrado, Ibarbo, Zuniga, Zapata, Yepes e Armero.
Ancora più light il girone dell’Argentina, che non dovrebbe avere problemi ad arrivare prima davanti alla Nigeria, all’Iran e alla grande sorpresa Bosnia. Sulla carta, è difficile immaginare un potenziale offensivo più forte di quello biancoceleste, che può contare su Di Maria, Messi, Higuaìn, Agüero, Palacio e Lavezzi. Resta incomprensibile a livello calcistico l’esclusione di Tevez, ma si dice sia stato il sovrano assoluto Messi a porre il veto sulla convocazione dell'Apache.
Il vero incubo per gli argentini è dietro: in difesa, ma soprattutto in porta, dove il titolare è Sergio Romero, di cui la Sampdoria si è liberata optando per il prestito al Monaco. Peccato che in Francia Sergio faccia il panchinaro e non giochi praticamente mai, eterno secondo dietro al croato Subaši?. Chissà se Dzeko, Ibisevic e Pjianic ne sono informati.