di Carlo Musilli

Milioni di euro, piattaforme, squadre importanti e squadre minori, diffide e controdiffide, amici, nemici e conflitti d'interessi. E’ una telenovela infinita quella sui diritti tv per la Serie A nel triennio 2015-2018. L’assemblea della Lega non ha ancora deciso se attribuirli a Sky, a Mediaset, a entrambe o a nessuna delle due, ma il flipper che si è visto fin qui basta a suscitare più di qualche perplessità sulla trasparenza degli affari nella Confindustria del pallone.

In principio fu una gara, una normale asta, poi si trattò di scegliere il vincitore e iniziarono i problemi. Come fare? Se il criterio fosse stato quello del miglior offerente, Sky avrebbe già vinto. L’emittente del gruppo Murdoch ha messo sul piatto più soldi del Biscione per ottenere i lotti A e B (357 milioni per il primo e 422 per il secondo), che presi insieme comprendono le partite delle otto squadre più importanti del Campionato su entrambe le piattaforme (satellitare e digitale terrestre).

Mediaset, invece, ha avanzato la proposta migliore per le altre 12 squadre (lotto D), ma i 301 milioni offerti sono vincolati all'aggiudicazione anche di uno dei due pacchetti migliori, A o B. La tv di Berlusconi, quindi, rischia di essere esclusa dal calcio che conta, almeno per quanto riguarda la Serie A, visto che a febbraio si è aggiudicata i diritti per la Champions League nello stesso triennio.

Ma è a questo punto della storia che la trama si complica. Colpo di scena: la Lega ha detto di voler “massimizzare il profitto senza creare un monopolio”, perciò ha aggiunto al bando una clausola che all’inizio non c’era, vietando l'assegnazione allo stesso soggetto dei lotti più pregiati. La postilla ha salvato in corner Mediaset, scatenando la furia di Sky, che ha diffidato formalmente la Lega dall'assegnare i diritti tv fuori dalle regole del bando.

Un’iniziativa accompagnata da una lettera ai presidenti dei club calcistici in cui Sky ha sottolineato di non poter “accettare l'idea che l'assegnazione dei diritti della serie A avvenga secondo principi e ipotesi non regolari e non previste dal bando. La diffida è un passo a cui siamo stati costretti perché crediamo che il rispetto delle regole sia sempre fondamentale e, proprio nel pieno rispetto delle regole, in questa gara noi abbiamo fatto le offerte più alte”.

Siccome la miglior difesa è l’attacco, Mediaset ha reagito con una contro-diffida, sostenendo che la mossa di Sky, arrivata a ridosso dell’assemblea, fosse “un tentativo di condizionare indebitamente le scelte della Lega e delle squadre”. Il Biscione ha accusato la rivale di turbativa d'asta e concorrenza sleale, minacciando di chiedere i danni sia a Sky sia alla Lega in caso di assegnazione congiunta dei pacchetti A e B.

La soluzione concepita da Infront, advisor della Lega, è proprio quella della spartizione. Sennonché, Infront è anche la società che cura il marketing e l’advertising del Milan, società berlusconiana esattamente come Mediaset. Repubblica ha perfino scoperto che lo scorso settembre Sabina Began, gran maestra delle olgettine, è stata assunta da Infront come consulente con uno stipendio di 370mila euro l'anno. Il conflitto d’interessi è macroscopico e ogni commento è inutile.

Ma i sospetti non finiscono qui. La Lega Calcio, evidentemente angosciata all'idea di danneggiare Mediaset, ha chiesto un parere legale al professor Giorgio De Nova, ex avvocato di Fininvest, il quale ha affermato che non sarebbe possibile assegnare i lotti A e B allo stesso operatore.

Peccato che la legge Melandri dica ben altro: non è vietata l'assegnazione unilaterale di due pacchetti importanti, ma solo la concessione dei diritti tv di tutte le squadre su tutte le piattaforme a un'unica emittente. Peraltro, se si verificasse questa eventualità, l'Antitrust potrebbe intervenire ex post, ma solo su ricorso di una delle parti coinvolte.

In ogni caso, tornando al progetto di Infront, se la soluzione salomonica andasse in porto, si creerebbe un paradosso: Sky avrebbe i diritti per il digitale terrestre e Mediaset quelli per il satellitare. In questo modo, però, la Lega potrebbe incassare anche i 301 milioni offerti dall’azienda dei Berlusconi per il lotto D (proposta, lo ricordiamo, subordinata alla concessione anche di A o B), portando l’incasso complessivo a oltre un miliardo, il 30% in più rispetto a quanto garantito dagli accordi attuali.  

A rigor di logica, essendo Sky una pay tv satellitare, dopo l’aggiudicazione ipotizzata da Infront dovrebbe scambiare la piattaforma con Mediaset. Ma l’azienda di Murdoch ha già fatto sapere che “non ci sono né le ragioni né le condizioni per accordi tra gli operatori”. Niente da fare, quindi, anche perché la società ha un accordo con Telecom Italia per trasmettere sul digitale terrestre da ottobre con un decoder unico. Il problema sarebbe quindi di Mediaset, che dovrebbe attrezzarsi per il satellitare. 

Lo stallo prosegue e a questo punto è probabile che si vada verso un annullamento della gara, possibilità prevista dal bando in caso di mancata assegnazione anche di un solo pacchetto. La Lega e Infront si sono tenute aperta questa porta fissando la base d'asta del lotto E (quello per i diritti internet) a 108 milioni, una quota abbastanza alta per fare in modo di non ricevere alcuna offerta. Chissà se per una prossima (eventuale) gara sceglieranno anche un arbitro meno sospetto.

di Carlo Musilli

"Se qualcosa può andar male, lo farà", recita la legge di Murphy. Non c'è massima che riassuma meglio la triste spedizione dell'Italia ai Mondiali di Brasile 2014. Con l'Uruguay bastava pareggiare per raggiungere gli ottavi, ma abbiamo perso 1-0. Andiamo a casa per un colpo di testa di Godin su calcio d'angolo all'81esimo. Si salvano solo le dimissioni "irrevocabili" di Cesare Prandelli, che - pur essendo fresco di rinnovo - ha tratto con serietà le conseguenze dei propri errori. Di rimando (e per fortuna) si è dimesso anche il presidente della Figc, Giancarlo Abete.

A ben vedere, le ragioni della nostra sconfitta sono molte. Mettiamo da parte De Coubertin e cominciamo dall'arbitro. E' innegabile che la svolta della partita di ieri sia stata l'incredibile espulsione di Marchisio a metà del secondo tempo, cacciato dal direttore di gara (che era a un metro) per un normalissimo contrasto di gioco. Vedere della violenza gratuita nel gesto del centrocampista azzurro - che tocca con il piede il ginocchio dell'avversario cercando di frapporsi fra lui e la palla - vuol dire non avere idea di come si muovano i giocatori su un campo da calcio. La frittata si completa qualche minuto dopo, quando Suarez dà un morso, un morso vero, sulla spalla di Chiellini. Il fuoriclasse della Celeste non è nuovo a follie del genere, ma stavolta è fortunato. Lo hanno visto tutti, tranne arbitro e guardalinee.

Il secondo fattore a spiegare la nostra eliminazione, ma non per importanza, è l'inesperienza di Prandelli, che non si è dimostrato all'altezza del suo compito. E' vero, ha delle attenuanti - dall'infortunio di Montolivo nell'ultima amichevole pre-partenza, al forfait di De Rossi prima dell'ultima partita - ma nessuna è sufficiente a giustificare la confusione che alberga nella mente del nostro ct, né la sua incapacità di leggere le partite.

Contro il Costa Rica avevamo bisogno di un centrocampo veloce e ci siamo sorbiti la fisicità lignea di Thiago Motta. Ieri dovevamo affrontare una partita muscolare, e abbiamo giocato senza nessuno a fare interdizione. Tenere alta la squadra è la regola numero uno in questi casi, ma nella ripresa Balotelli viene sostituito da Parolo, che peserà 20 chili meno di lui. Prandelli leva SuperMario perché teme si faccia espellere (era già ammonito), sennonché, quando anche Immobile deve uscire zoppicante, il nostro allenatore si ritrova a dover mettere Cassano. Difficile immaginare un innesto più inutile contro gli energumeni uruguayani.

Il terzo fattore per cui diciamo addio ai campi brasiliani è certamente il più decisivo: abbiamo giocato male. Malissimo contro il Costa Rica, molto male contro l'Uruguay. La vittoria d'esordio contro l'Inghilterra ci aveva illuso, ma il Subbuteo di Roy Hodgson, dobbiamo ammetterlo, ci aveva regalato molto. Nelle ultime due partite non c'è stato raccordo fra centrocampo e attacco: di tiri in porta nemmeno l'ombra, nessun inserimento, zero sovrapposizioni sulle fasce. Solo tanto caos nel nostro centrocampo intasato.

Una carenza di idee figlia anche della schizofrenia tattica di Prandelli, che ha cambiato modulo in continuazione, come niente fosse, senza dare ai nostri giocatori nessuna certezza, nessun punto di riferimento, nessun automatismo. Senza contare che non abbiamo tenuto nemmeno a livello atletico, dimostrandoci palesemente inadeguati nei polmoni e nei muscoli.

Infine, è mancata anche un po' di grinta. Un deficit scontato più nella seconda che nella terza partita, ma comunque mortifero. La squadra non aveva personalità, né esperienza sufficiente per gestire un torneo come questo. Il fatto che un bambinone come Balotelli abbia ricevuto l'investitura del leader la dice lunga sulla nostra lucidità. Ora che tutto è finito, in ogni caso, avremo il tempo per tornare padroni di noi stessi, se non del campo. Guardiamo il lato positivo: potremo anche rilassarci con un po' di tennis. Lunedì è cominciato Wimbledon.

di Antonio Rei

Sconfitti nei polmoni e nella testa. La Costa Rica ci batte con merito, seppur di misura, e incredibilmente è già sicura di approdare agli ottavi, Cenerentola di un girone in cui i suoi avversari contano sette Coppe del Mondo in tre. L'errore da cui imparare non è tanto quello di Barzagli e Chiellini, che al 44esimo si perdono Ruiz in area, lasciandolo libero di colpire di testa e insaccare il gol partita.

Il nostro fallimento è prima di tutto nell'approccio: all'inizio spaventati di sbagliare, alla fine ansiosi di recuperare. A livello atletico i sudamericani ci surclassano nettamente per tutta la partita. Corrono al doppio della velocità, palleggiano con brillantezza, cercano giocate semplici ma efficaci. E picchiano il giusto, anche grazie a un arbitro di manica larga (che però salva anche noi, evitando di fischiarci un rigore contro).

Lentissimi, macchinosi, prevedibili e imprecisi, gli azzurri perdono una valanga di palloni. Non solo nel tentativo di costruire, ma anche in fase di disimpegno, esponendosi ai contropiedi degli avversari. Gli italiani non riescono a reagire, ma l'aspetto preoccupante è che non sembrano nemmeno provarci più di tanto. Anche perché, quando la palla non si perde fra ingorghi e tamponamenti, i nostri finiscono quasi sempre in posizione irregolare: a fine partita i fuorigioco sono addirittura 11.

Merito anche dell'atteggiamento spregiudicato messo in campo dal Costa Rica, che per 90 minuti riesce a tenere altissime le linee di difesa e centrocampo. Una strategia che paga, anche se in teoria basterebbe un semplice inserimento in velocità per bucarli.

A proposito di velocità, magari piazzare un armadio come Thiago Motta in mezzo ai grilli costaricani non è proprio la contromossa giusta. Prandelli se ne accorge, peccato che al suo posto mandi in campo Cassano. Spera nell'invenzione del genio, ma si ritrova solo con uno pseudo-fantasista che inciampa ogni due passi e lancia in avanti un po' a caso.

Nemmeno Balotelli è al meglio: nel primo tempo ha un paio di occasioni abbastanza nitide (le uniche del match per gli azzurri), ma le cicca entrambe. Vicino al nostro ct siede Immobile, che per caratteristiche sembra più adatto di Supermario a smarcarsi fra gli avversari, ma purtroppo non si alza mai dalla panchina.

E' chiaro che in una giornata del genere non si salva nulla e nessuno. Lo stesso Prandelli, molto probabilmente, non farebbe le stesse scelte se tornasse indietro. Per questo gettare la croce addosso a qualcuno in particolare è ingeneroso. Nessuno merita la sufficienza, nemmeno Insigne e Cerci, gli altri due subentrati nella ripresa.

Ci rimane però una nota positiva cui aggrapparci. Se non consideriamo l'obiettivo del primo posto e puntiamo il mirino sulla mera qualificazione, in realtà lo 0-1 è praticamente identico all'1-1, perché l'Uruguay con il Costa Rica ha perso con un gol in più di scarto (3-1). Visto che l'Inghilterra è ancora a 0 punti, in teoria ci basterebbe pareggiare con la Celeste nell'ultima partita.

Ma i nostri prossimi avversari hanno recuperato il loro leader, Luis Suarez, insieme alla fiducia e all'entusiasmo. Noi invece usciamo fortemente ridimensionati da questa seconda partita. Senza contare che, purtroppo, anche l'ultima si giocherà di giorno, e il caldo a quanto pare è una variabile non secondaria in casa azzurri. Per sperare di farcela dovremo portare in campo altri polmoni e, soprattutto, un'altra testa.

di Carlo Musilli

Non doveva nemmeno giocarla questa partita. Invece scende in campo, Luis Suarez, e piazza una doppietta che stende gli inglesi. L'Uruguay si risolleva dopo la clamorosa sconfitta d'esordio contro il Costa Rica e sale a tre punti. Per i ragazzotti di Sua Maestà, invece, dopo il ko contro l'Italia, questo mondiale sembra ormai finito. La matematica ancora non li condanna, ma ci vorrebbe davvero un miracolo per far riemergere dai loro zero punti i leoni d'Inghilterra, che quest'anno in Brasile hanno fatto la figura dei gattini.

Oggi però è soprattutto di Suarez che si deve parlare. Se lo merita. E' una storia quasi fiabesca quella del Pistolero che spara con gli indici dopo ogni gol. Lo hanno operato al menisco del ginocchio destro il 22 maggio: all'inizio si parlava per lui di Mondiale in fumo, poi si diceva che sarebbe tornato utile solo per l'ultima del girone contro gli azzurri, e chissà con quale efficacia.

La testa calda del Liverpool però stupisce ancora. Non solo recupera la condizione fisica con una velocità da Guinness, ma riesce anche a trasformare la propria squadra. Sopporta la pressione, le aspettative, e in meno di un mese si trasforma da convalescente a man of the match, castigando la squadra del Paese dove gioca.

A onor del vero, gli inglesi ci mettono del loro. Lenti, macchinosi, mal messi in campo e soprattutto svogliati, gli uomini di Hodgson per almeno un'ora non riescono a vincere un solo contrasto di gioco, surclassati dal tradizionale agonismo uruguaiano.

La prima rete della Celeste è un capolavoro: dal limite dell'area Cavani finta il cross, poi lo lascia partire con una traiettoria tesa e chirurgica, che la testa di Suarez - incredibilmente libero - indirizza in diagonale sul palo lungo.

Ci si aspetta a quel punto una reazione degli inglesi, ma è davvero poca cosa. Non sanno costruire gioco, Gerrard è l'ombra di se stesso e la palla viene spedita in avanti a casaccio, con una pioggia di lanci lunghi. Peccato che non ci sia nessuno a fare da sponda, visto che Rooney - chissà perché - viene relegato dal suo ct a fare quasi il mediano, lontano una quarantina di metri dalla porta.

Nonostante tutto è lui ad avere le migliori occasioni per l'Inghilterra e nella ripresa, quando ormai la partita sembra in stallo, riesce sorprendentemente a mettere dentro il suo primo gol nella fase finale di un Mondiale. Si tratta di un semplice tap-in, propiziato dall'unica azione davvero buona sulla catena destra di Sturridge e Johnson, che per una volta riescono a evitare le marcature al vetriolo degli avversari.

Per qualche minuto sembra che la partita possa davvero girare. Vuoi vedere che agli inglesi riesce il miracolo? Macché. Palla lunga e imprecisa dal centrocampo uruguaiano - dove si affollano solo sicari con i piedi ruvidi -, chiusura disastrosa della retroguardia biancorossa, che consente a Suarez di presentarsi solo davanti a Heart. Il Pistolero non si fa pregare: controlla, prende la mira e spara. E' il 2-1. E si vede anche qualche lacrima sulla faccia del duro Luis.

A questo punto tocca all'Italia. Speravamo in un pareggio fra i nostri due avversari usciti sconfitti dalla prima partita, ma la verità è che nessun risultato ci avrebbe lasciati davvero tranquilli. Forse è meglio così. Ora sappiamo che contro la Celeste sarà una vera battaglia, quindi vincere con il Costa Rica diventa ancora più importante.

Certo, dovremmo sfatare il tabù della seconda partita del girone, che fra Europei e Mondiali non portiamo a casa da un'era geologica. Sarà molto più complesso del previsto, visto lo scherzetto già combinato dai costaricani all'Uruguay. Bisognerà correre a testa bassa e crederci. Come insegna il menisco destro di Suarez.


di Antonio Rei

Invece dei 15 minuti di gloria alla Andy Warhol, Guillermo Ochoa ne ha avuti 90. Fino all'ultima stagione era il portiere dell'Ajaccio (retrocesso nella serie B francese), oggi è senza contratto. Per il resto della sua vita, tuttavia, potrà dire di aver profanato il tempio davanti ai sacerdoti, proteggendo il suo Messico e fermando il Brasile sullo 0-0 nella seconda partita del mondiale carioca.

Certo, le parate multiple e spettacolari di Ochoa sono un fattore importante (memorabile il riflesso su una cannonata di testa da due metri firmata Thiago Silva), ma non l'unico né il più importante per spiegare l'abulia dei verdeoro. Se davvero sono loro i favoritissimi di questa Coppa del Mondo, perché giocano in casa e si chiamano Brasile, i ragazzi di Scolari faranno bene a ricordarsene in fretta.

Dopo l'esordio di mezza rapina contro la Croazia, ieri i padroni di casa non hanno beneficiato di rigori creativi e, invece di progredire, hanno messo in luce addirittura qualche elemento di regressione. Ciò che più stupisce è l'inconsistenza dell'attacco.

La domanda è una sola: se vuole giocare con un centravanti di peso là davanti, perché mai il buon Felipe ha convocato solo Fred e Jo per questo ruolo, ovvero due giovanotti con la mobilità di una libreria Ikea appena montata? Non era meglio fare una telefonata a Diego Costa, invece di lasciarlo giocare con la Spagna?

Subito dietro ai centravanti-boa-elemento d'arredo, Neymar tocca bene la palla, tira delle grandi punizioni, è rapido, ma da solo non può fare molto. Se nessun compagno fa movimento, nemmeno con tutta la visione di gioco del mondo si mette qualcuno davanti alla porta. Tanto meno con quattro messicani attaccati alle caviglie per un'ora e mezza.

Quanto al pacchetto arretrato, come si diceva una volta, suscita una certa solidarietà il povero Thiago Silva, l'unico davvero esperto nella nobile arte della marcatura e nella gloriosa pratica dell'anticipo. L'affidabilità difensiva di David Luiz è uno spettacolo sconsigliato ai deboli di cuore, mentre i due terzini, Marcelo e Dani Alvez, hanno nel dna la sgroppata sulla fascia, non la copertura.

E dire che ieri i due talenti di Real e Barcellona non sono stati efficaci nemmeno in spinta, non riuscendo mai ad aprire la difesa messicana, né a portare via un singolo uomo.

Non va meglio a Oscar e Ramirez, a dir poco evanescenti sulle ali. In mezzo, invece, passare era quasi impossibile, perché il 3-5-2 messo in campo da Miguel Herrera ha chiuso quella porta a tripla mandata, mentre dietro il veterano Marquez ha guidato la linea difensiva con un cipiglio ai limiti dell'eroico.

Certo, il terzo avversario del Brasile sarà il Camerun, ben più modesto sia del Messico sia della Croazia, per cui è fantascienza immaginare che ai verdeoro possa sfuggire la qualificazione. Ma, dopo il risultato di ieri, la partita conclusiva del girone non sarà l'inutile formalità che tutti si aspettavano. Almeno un gol servirà. Aspettando un po' di samba, che per ora non si sente neanche in lontananza.


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