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di redazione
C’era un tempo in cui Galliani partiva e tornava con gli scalpi dei nemici. Si trattasse di diritti tv, di cariche in Lega o di giocatori da acquistare o vendere, il pelato più celebre della storia del Milan sembrava il re incontrastato del subbuteo pallonaro. Le cene da Giannino, il ristorante amico frequentato da qualche VIP e da molti aspiranti tali, era la scenografia di fondo per telecamere, macchine fotografiche e taccuini amici.
I tempi cambiano e Galliani di quell’era ha conservato solo il piacere delle cene, oltre alle immancabili, orrende cravatte gialle su camicie bianche. Perché sul piano operativo, invece, il disastro è ormai ripetuto. Da Tevez a Pato, da Cerci a Balotelli, non riesce ad azzeccarne una da anni, povero Fester.
Eppure l’acquisto del 48% del Milan da parte di Mr. Bee (acquisto davvero nebuloso, visto un importo decisamente non congruo rispetto al valore di mercato) aveva scatenato i cantori Mediaset, che già scrivevano di Milan che tornava stellare. I soldi sono essenziali, certo; ma quando mai sono serviti solo i soldi per costruire le squadre vincenti?
Con il rifiuto di Ancelotti prima e di Ibrahimovic poi, Galliani aveva già inaugurato la sua estate poco serena, ma quello subìto in queste ore dai cugini dell’Inter è stato un uppercut di quelli da cui non ci si rialza. A maggior ragione perché era stato spiegato urbi et orbi tramite la tv di famiglia che c’era stato un gentlemen agreement tra Milan e Inter perché non si pestassero reciprocamente i piedi sul mercato.
La novella raccontava di Galliani che avrebbe offerto ad Ausilio di ritirarsi dalla corsa su Imbula, a patto che Ausilio si fosse tirato indietro da quella su Kongdogbia e finiva con Ausilio aveva consentito. Un pollo avrebbe dovuto essere Ausilio per accettare di rinunciare al primo obiettivo per quello di ripiego.
Non perché Imbula sia un ripiego - è un ottimo giocatore di grandi prospettive - ma perché l’obiettivo primo dell’Inter era Kongdogbia. E lo era ben prima che il Milan s’inserisse. Milan che adesso proverà a disturbare l’Inter anche su Imbula, con il quale però i nerazzurri hanno già un contratto firmato e che solo loro possono mollare. Altrimenti la coppia Kongdogbia-Imbula sarà il perno del prossimo centrocampo nerazzurro.
L’Inter, infatti, aveva contattato il Monaco ben prima del Milan, quando fu chiaro che Yaya Tourè non avrebbe lasciato Manchester. Il Milan ha provato quindi a scippare Kongdogbia all’Inter. Dopo incontri e trattative, l’Inter ha preso Kongdogbia e Galliani è rimasto con le forchette delle sue cene a Montecarlo.
Ma non bastasse la figuraccia con il centrocampista ex-Monaco, dopo il rifiuto di Ibrahimovic Galliani nelle stesse ore ha incassato un’altra umiliazione dal colombiano Jackson Martinez, autentica macchina da gol che prima aveva accettato di andare agli ordini di Mihajlovic, poi ha preferito l’Atletico Madrid di Diego Pablo Simeone.
La sua corazzata mediatica - un po’ ammaccata ma ancora in navigazione - ha ovviamente dato il meglio di sé: se poche ore prima affermava l’assoluto vantaggio sull’Inter nelle trattative con il Monaco e faceva trapelare come il ricchissimo Milan avesse firmato un contratto con i monegaschi per 40 milioni di euro più bonus in due tranche, subito dopo la sberla ha cominciato a diffondere opinioni circa l’eccesso di spesa per il centrocampista africano. Risietta, dicono in dialetto milanese.Kondogbia, un metro e 88 per 80 kg, è giocatore straordinario, di grande fisicità e duttilità tattica a centrocampo. Con lui Mancini ha il giocatore che cercava, a metà strada tra quello che fu Vieira nella sua precedente guida dell'Inter e Tourè in quella al Manchester City.
Ora il Milan dovrà dedicarsi ad altri obiettivi, forte di 75 milioni di euro da investire sul mercato, come ha stranamente ammesso lo stesso Galliani. Magari portanno essere spesi per obiettivi diversi da quelli dei cigini.
Già perchè da anni peraltro, salvo eccezioni, Galliani sembra voler costruire la sua squadra sugli avanzi dell’Inter. Da Favalli a Vieri, da Ronaldo a Ibrahimovic, da Balotelli a Muntari, a Pazzini, pare che a Milanello si sia attratti solo dall’idea d’ingaggiare gli ex dell’Inter, pensando che il caso Pirlo possa essere ripetuto cento volte. E invece dopo Pirlo sono arrivati solo bidoni su bidoni.
Per pura curiosità vanno annotate alcune coincidenze: Jackson Martinez in Italia è rappresentato da Ivan Ramiro Cordoba, storico difensore dell’Inter; l’allenatore del Milan, Mihajilovic, è stato apprezzatissimo giocatore e vice allenatore dell’Inter; l’Atletico Madrid che gli ha soffiato Martinez è guidato da Diego Pablo Simeone, un tempo amatissimo centrocampista dell’Inter; il vice direttore dell’area tecnica del Monaco è Andrea Butti, ex team manager dell’Inter.
Una novela che si ripete quindi. Sarà che Galliani dovrebbe lasciar perdere i luoghi disseminati ad ogni titolo da ex interisti? Non gli porta bene.
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Per la Juventus, contro questo Barcellona, la sconfitta era un destino. Le analisi tecnico-tattiche del post finale di Champions si potrebbero ridurre a quattro parole: manifesta superiorità dell'avversario. Eppure, di carattere la squadra di Allegri ne ha dimostrato da vendere, compiendo l'impresa di rimanere in partita fino all'ultimo. Non è poco, visto che prima dei bianconeri né il Manchester City, né il Psg né il Bayern Monaco erano riusciti a tenere il risultato in bilico fino alla fine, cedendo di schianto sotto i colpi del terrificante attacco blaugrana.
Purtroppo, però, questo non vuole nemmeno dire che la Juventus sia andata vicina alla Coppa. La squadra di Allegri è stata abile a sfruttare nella ripresa l'unica vera palla gol concessa dal Barça, trovando con Morata il momentaneo pareggio alla rete in avvio di Rakitic, ma le occasioni create dai catalani sono state moltissime, e se i bianconeri non sono crollati prima del 96esimo lo devono in gran parte ai colpi da campione di cui è ancora capace Buffon.
Certo, è lo stesso portierone ad avere le responsabilità maggiori sul 2-1 di Suarez (quel tiro di Messi andava bloccato o spinto di lato, non certo consegnato al tap in del pistolero), ma - come diceva Mourinho - di solito i portieri delle grandi squadre devono fare una sola grande parata a partita. Sabato Buffon ne ha fatte almeno tre, rimediando all'affanno di Barzagli e Bonucci, in prevedibile difficoltà nel marcare il tridente extraterrestre del Barça.
La verità è che al momento il Barcellona è l'unica vera corazzata d'Europa. Tutte le altre big hanno dimostrato lacune e amnesie più o meno preoccupanti nel corso della stagione, e oggi abbiamo le prove che in Europa non esiste una sola difesa che Messi, Neymar e Suarez non siano in grado di bucare almeno tre volte nel corso dei novanta minuti. L'unico modo per sconfiggere una squadra del genere lo hanno insegnato negli anni scorsi l'Inter di Mou e - in modo meno elegante, ma più evidente - il Chelsea di Di Matteo: per dirla in metafora, occorre parcheggiare il pullman della squadra davanti alla linea porta. Supercatenaccio muscolare, e poi contropiede.
Se alzi la difesa, se ti fai ingolosire dagli spazi che ogni tanto s'intravedono nella retroguardia blaugrana - com'è avvenuto alla Juventus dopo il momentaneo pareggio - vieni inevitabilmente punito dalla ripartenza degli alieni. Era vero cinque anni fa, quando a centrocampo giocavano le migliori versioni di Xavi e Iniesta, e lo è a maggior ragione oggi che la potenza di fuoco dell'attacco catalano ha raggiunto lo zenit. La Juve, insomma, non poteva vincere, ma è comunque uscita dal campo con la testa più alta del previsto. I bianconeri, in qualche modo, hanno legittimato i ripetuti baci della fortuna arrivati negli ultimi mesi dall'urna magica. Perché incontrare il Borussia Dortmund agli ottavi e il Monaco ai quarti non è cosa da tutti i giorni e anche pescare in semifinale il Real Madrid è stato un colpo di buona sorte notevole, considerando che le alternative erano Barça o Bayern.
A voler considerare soltanto la qualità del gioco, è probabile che la palma di seconda miglior squadra europea spetti proprio ai tedeschi di Guardiola, che però - pur essendo sulla carta superiori alla squadra di Allegri - sono stati annichiliti ancor peggio della Juve dagli stessi catalani. A dimostrazione del fatto che, nel calcio, la fortuna conta (si pensi agli infortuni di Robben e Ribery), mentre la proprietà transitiva non funziona. E soprattutto che Lionel & Co. sono una falce in grado di livellare tutte le regine d'Europa al livello di comprimarie.
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di Michele Paris
Con le dimissioni a sorpresa giunte martedì del numero uno della FIFA, Joseph Blatter, il governo americano ha raggiunto uno dei principali obiettivi che avevano motivato la retata della scorsa settimana portata a termine dalle forze di polizia svizzere a Zurigo e i successivi arresti di vari esponenti di spicco dell’organo di governo del calcio mondiale.
Com’è ormai ben noto, il 79enne Blatter ha rimesso il proprio mandato dopo appena quattro giorni dall’ennesima rielezione alla guida della FIFA, conquistata con i voti di praticamente tutte le federazioni nazionali del pianeta, tranne quelle dell’Europa occidentale - ad eccezione di Francia e Spagna - e del Nordamerica.
A determinare la decisione sono state forse le voci emerse a inizio settimana, in particolare quelle riportate dal New York Times, secondo le quali lo stesso Blatter risulterebbe al centro di un’indagine federale per corruzione negli Stati Uniti. Inoltre, nella giornata di martedì era stata diffusa la notizia che il segretario generale della FIFA molto vicino a Blatter, Jerome Valcke, è sospettato dalle autorità giudiziarie americane di essere dietro a bonifici bancari per un totale di dieci milioni di dollari a beneficio dell’ex vice-presidente della federazione internazionale, Jack Warner, destinati a favorire l’aggiudicazione dei mondiali di calcio del 2010 al Sudafrica.
Sia queste ultime accuse di corruzione sia quelle precedenti dietro al raid di Zurigo durante il congresso della FIFA hanno probabilmente più di un fodamento, visti i sospetti a lungo nutriti circa le modalità di assegnazione degli eventi calcistici planetari e le somme enormi movimentate dalla loro organizzazione. Ciononostante, il tempismo dell’indagine e il fatto che essa sia scaturita dagli Stati Uniti escludono a priori l’ipotesi che le ragioni dell’operazione siano unicamente di natura giudiziaria.
Per cominciare, gli Stati Uniti si erano visti bocciare la propria candidatura a ospitare i mondiali del 2022, finiti a sorpresa al Qatar. La giustizia americana aveva allora avviato un’indagine per corruzione ai danni della FIFA proprio all’indomani della decisione presa nel dicembre del 2010 a favore della piccola monarchia del Golfo Persico.
Ancor più, l’iniziativa guidata dal neo-ministro della Giustizia USA, Loretta Lynch, ha un significato tutto politico, collegato agli interessi strategici della classe dirigente americana, impegnata in una campagna di pressioni e minacce diretta contro la Russia, paese ospitante dei mondiali del 2018.
Proprio attorno a quest’ultimo evento è lecito attendersi nel prossimo futuro un’operazione di propaganda, allo scopo di sottrarne l’organizzazione alla Russia o, visti i tempi limitati, per trasformarlo da occasione di vanto per il Cremlino a motivo di imbarazzo.
Lo stesso Blatter, va ricordato, qualche mese fa aveva incontrato il presidente russo Putin in seguito agli appelli giunti da più parti in Occidente per boicottare i mondiali di calcio del 2018 a causa della crisi in Ucraina. Il presidente uscente della FIFA aveva confermato senza indugi l’assegnazione della manifestazione alla Russia, invitando i politici scontenti di questa realtà a “rimanere a casa” nel 2018, quando si terranno “i mondiali più grandi mai visti”.Il sostegno assicurato a Mosca in un clima crescente di caccia alle streghe nei confronti della Russia è dunque costato a Blatter il proprio posto dopo l’intervento diretto degli Stati Uniti. Che la campagna anti-Blatter e anti-russa stesse per arrivare a un punto di svolta era apparso peraltro evidente nei mesi scorsi, quando ad esempio tredici senatori americani avevano indirizzato una lettera al presidente della FIFA per invitarlo a togliere la coppa del mondo alla Russia.
Alcuni dirigenti di federazioni europee e la stessa associazione del vecchio continente (UEFA) avevano poi ipotizzato un boicottaggio dell’evento previsto per il 2018, con addirittura la possibilità di organizzare un torneo alternativo a cui prenderebbero parte le nazionali europee e, su invito, qualche selezione sudamericana.
Queste e altre iniziative hanno così determinato pressioni enormi su Blatter nei giorni scorsi, con il governo britannico e la federazione inglese, la quale aveva perso la sfida con la Russia per l’organizzazione dei mondiali del 2018, che hanno fatto registrare le dichiarazioni di maggiore rivilevo.
Decisamente insolito era stato ad esempio l’intervento pubblico sabato scorso prima della finale di FA Cup tra Arsenal e Aston Villa a Wembley del principe William - presidente della federazione calcistica inglese - per denunciare la corruzione dilagante ai vertici del “management dello sport internazionale” e per chiedere “riforme” improntate alla trasparenza.
L’erede al trono di Gran Bretagna si era anche rivolto agli sponsor della FIFA, invitandoli a fare “pressioni” per cambiare le modalità di gestione della federazione internazionale, ben consapevole dell’importanza delle “partnership” con le multinazionali nel veicolare denaro verso l’organo calcistico mondiale. Molte di queste compagnie, come Visa, Nike e Adidas, avevano subito minacciato di rivedere i propri contratti se non fossero state prese iniziative per ripristinare l’integrità dell’immagine della FIFA, cominciando con le dimissioni dell’ormai compromesso Blatter.
Significativamente, tutte le voci sollevatesi in questi giorni per chiedere il ristabilimento di una certa “moralità” nella gestione del calcio a livello mondiale non hanno nemmeno lontanamente messo in discussione la realtà odierna dello sport professionistico, dove risiede la causa principale della corruzione, cioè che qualsiasi evento di rilievo viene subordinato ai profitti delle grandi aziende che vi ruotano attorno e alle possibilità di guadagno dei vertici delle varie federazioni.
La caduta di Blatter, in ogni caso, secondo molti potrebbe consentire all’Occidente di esercitare un controllo maggiore su una macchina da soldi come la FIFA. I tempi per la scelta del suo successore saranno comunque relativamente lunghi, visto che un nuovo congresso che dovrebbe eleggere il prossimo presidente non potrà essere convocato prima del mese di dicembre.
Al momento non è chiaro quali saranno i candidati favoriti, ma è possibile che possa tornare a presentarsi il principe giordano Ali bin Hussein, fratello del sovrano hascemita Abdullah e recente sfidante di Blatter. Il 39enne Ali risponde d’altra parte all’identikit del perfetto burattino manovrabile da federazioni e corporations occidentali.
Il procedimento ai danni dei vertici FIFA avviato dall’FBI in collaborazione con le autorità svizzere rappresenta infine un’ulteriore conferma del carattere altamente selettivo della giustizia degli Stati Uniti, politicizzata come poche altre soprattutto quando i soggetti indagati non sono americani.
Per avere un’idea di ciò è sufficiente rileggere le parole utilizzate settimana scorsa dal ministro della Giustizia di Obama, Loretta Lynch, nel descrivere le attività illegali dei membri della FIFA arrestati o coinvolti nell’indagine. L’ex procuratore di New York aveva parlato di “corruzione radicata, sistematica e fuori controllo”, fornendo cioè una descrizione molto più pertinente delle attività condotte dalle grandi banche americane, le cui truffe e operazioni illegali di proporzioni ben maggiori sono di fatto puntualmente condonate dalla giustizia a stelle e strisce.L’attacco alla FIFA e a Sepp Blatter da parte del Dipartimento di Giustizia USA risponde in definitiva alle esigenze strategiche di Washington nell’ambito del conflitto con Mosca. Sottrarre alla Russia i mondiali del 2018 o renderli in qualche modo un fallimento significherebbe infatti assestare un colpo letale al Cremlino su più fronti.
Innanzitutto il riassegnamento a un altro paese dell’evento priverebbe la Russia della possiblità di incassare parecchio denaro dopo che l’Occidente sta cercando di esercitare pressioni economiche attraverso l’applicazione di sanzioni punitive. Inoltre, la Russia perderebbe un’occasione irripetibile per proiettare un’immagine positiva di sé in tutto il mondo nonostante gli sforzi per isolare questo paese guidati da Washington.
Vladimir Putin, infine, patirebbe un’umiliazione personale gravissima dopo essersi esposto per ottenere l’aggiudicazione del torneo, vedendo probabilmente minacciato il suo stesso futuro politico nelle elezioni presidenziali previste proprio per il 2018.
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di redazione
Lazio ai preliminari di Champions, Napoli addirittura quinto, scavalcato dalla Fiorentina. Ma al San Paolo è successo di tutto, molto più di quanto non dica il 4-2 finale in favore dei biancocelesti, cui bastava il pari per strappare il biglietto che dà accesso all'Europa delle grandi. Il primo tempo si chiude con la squadra di Pioli in vantaggio per 2-0: dopo un'occasione clamorosa mancata da Callejon per i partenopei, una botta deviata di Parolo e un contropiede di Candreva sembrano chiudere la partita già nel primo tempo. Ma ancora non era successo nulla.
La tattica salta completamente e nella ripresa contano solo talento e polmoni: in 20 minuti il Napoli la rimette in piedi con due perle di Higuaìn. Dopo pochi minuti proprio l'attaccante argentino, il protagonista più atteso, ha sul piede l'occasione più clamorosa. L'arbitro concede agli azzurri un rigore molto dubbio, ma il Pipita - pur essendo un campione - non è un rigorista. Il pallone finisce alto, e non di poco.
Manca ancora un quarto d'ora alla fine e il Napoli può ancora sperare di completare la rimonta, ma la luce si spegne all'improvviso. A decidere l'incontro in favore della Lazio sono i due protagonisti meno attesi, di solito seduti uno accanto all'altro in panchina. Ledesma conduce il contropiede e subisce il tackle di Maggio, che incredibilmente si trasforma in un passaggio filtrante perfetto al millimetro per Onazi, abile a infilarsi fra i centrali partenopei e a battere il portiere in uscita. Il quarto gol biancoceleste arriva nel recupero, quando ormai non conta più, e porta la firma di Klose.
Per la Lazio è un riscatto in extremis dopo le delusioni della finale di Coppa Italia persa contro la Juve e della sconfitta nel derby contro la Roma. Il Napoli invece non poteva dare un addio più amaro a Rafa Benitez, visto che nel frattempo la Fiorentina passeggia 3-0 sul Chievo (apre Ilicic, raddoppia Bernardeschi che segna il primo gol in viola, chiude Badelj) e si porta a 64 punti, scavalcando di una lunghezza proprio gli azzurri.
Quanto all'ultimo posto buono per l'Europa League, c'è ancora un giallo da risolvere. La classifica dice che spetterebbe al Genoa (arrivato sesto nonostante la sconfitta per 3-1 subita ieri per mano del Sassuolo, con un Zaza in serata di grazia), ma i rossoblù accederanno alla Coppa soltanto se sarà accolto il ricorso contro la revoca della licenza Uefa. In caso contrario, l'Europa spetterà ai cugini della Sampdoria, che chiude il campionato facendosi fermare sul 2-2 in casa dal Parma (gol di Romagnoli, Palladino, De Silvestri e Varela), ma conservando comunque il settimo posto.Ad appena una lunghezza dai blucerchiati, in ottava posizione, chiude l'Inter, ieri vittoriosa a San Siro sull'Empoli al termine di un rocambolesco 4-3. La notizia più lieta per la squadra di Mancini è la doppietta di Icardi, che raggiunge Toni a 22 gol e chiude in vetta alla classifica marcatori. Tra i nerazzurri a segno anche Palacio e Brozovic. Per la squadra di Sarri doppietta di Mchedlidze e gol di Pucciarelli.
Quanto agli altri risultati, si sente ormai l'aria delle ferie estive, soprattutto nei risultati delle prime della classe: Verona-Juventus 2-2 e Roma-Palermo 1-2. Tardivo scatto di orgoglio da parte di Torino e Milan, che chiudono rispettivamente al nono e decimo posto battendo 5-0 il Cesena e 3-1 l'Atalanta. Fuochi d'artificio anche nel 4-3 con cui il già retrocesso Cagliari ha battuto l'Udinese.
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La Fiorentina è in Europa League. Questa l'unica nuova certezza scritta dall'ultima domenica di Campionato. L'ultimo posto buono per la Coppa, in teoria, lo avrebbe guadagnato matematicamente il Genoa, ma se al grifone venisse negata la licenza Uefa tornerebbero clamorosamente i cugini della Sampdoria, arrivati con le pile scariche allo sprint finale della stagione. Il Torino, invece, dice addio definitivamente al sogno di bissare il piazzamento europeo.
A proposito di stracittadine, il derby della Capitale potrebbe dare oggi almeno un verdetto definitivo sulla zona Champions: la Roma è seconda un punto sopra la Lazio, che a sua volta stacca di tre lunghezze il Napoli. Gli azzurri hanno già giocato la loro penultima partita, perdendo sabato 3-1 contro la Juventus, ma all'atto finale ospiteranno al San Paolo proprio la Lazio. Per questo la squadra di Benitez oggi non può che tifare Roma.
Finito il valzer degli incroci europei, veniamo al calcio giocato e iniziamo con l'unica squadra ad essere certa di aver centrato l'obiettivo. Parliamo della Fiorentina, che battendo 3-2 fuori casa il Palermo sale a 61 punti staccando di ben 6 lunghezze la Sampdoria, che invece non riesce ad andare oltre l'1-1 contro l'Empoli. Per i viola golazo dell'ex di Ilicic, zampata di rapina di Gilardino e gol vittoria di Alonso. I blucerchiati, invece, trovano il pari grazie al secondo gol in questo campionato di Eto'o, autore di una splendida girata dal limite dell'area.
In mezzo a Fiorentina e Samp, a 59 punti, c'è il Genoa, che sabato batte in casa l'Inter 3-2 al termine di una partita surreale, in cui il minimo comun denominatore è la pochezza delle difese. I nerazzurri vanno in vantaggio due volte, ma due volte si fanno recuperare, la seconda grazie all'ennesimo colpo di scena della premiata ditta Handanovic-Ranocchia, che offrono a Lestienne un pallone da spingere nella porta vuota. Nel finale decide un colpo di testa di Kucka. Da segnalare due gol annullati nel primo tempo a Icardi, di cui uno regolare, e i due pali colpiti dall'Inter a distanza di pochi secondi con Hernanes e Brozovic.
Icardi comunque un gol lo segna e pareggia il conto con Tevez a quota 20 gol in campionato. In classifica marcatori, però, c'è un senatore italiano che beffa entrambi: si tratta di Luca Toni, che con la doppietta messa a segno contro il Parma (2-2) sale a quota 21 centri in stagione e porta il Verona a 45 punti. Quanto al posticipo, lo scontro di mezza classifica fra Milan e Torino vede trionfare i rossoneri, vittoriosi per 3-0 grazie alla doppietta del redivivo El Shaarawy, al rientro da titolare dopo 4 mesi, e al centesimo gol in serie A di Pazzini, che segna su rigore. La squadra d'Inzaghi rimane comunque due punti sotto i granata, 49 a 51.
Nelle altre (e ormai inutili) partite di giornata, il Sassuolo (46 punti) batte fuori casa l'Udinese (41 pt) grazie a un gol di Magnanelli e il Cagliari sconfigge il Cesena all'ultimo secondo grazie a una rete di Sau. Entrambe le squadre, rispettivamente a 31 e 24 punti, erano già certe della retrocessione. Finisce invece 1-1 fra Chievo e Atalanta (43 e 27 punti), con Pellissier che risponde a Gomez.