di redazione

All'insegna dell'inaspettato, con il ritmo che pure latita nella calura d'agosto, alla fine della seconda giornata del campionato la classifica vede l'Inter come unica grande in testa insieme a Sassuolo, Torino, Palermo e Chievo. Non ci si annoia insomma. La sfida più attesa di questo turno era quella tra Roma e Juventus, un classico ormai del campionato. La partita ha avuto due immagini diverse: quella della Roma, che ha costruito gioco, ha provato a vincere e ha rivendicato un rigore non dato da Rizzoli, e quella della Juventus, nervosa, brutta come non mai, priva di personalità e idee, dedita a scalciare più che a costruire calcio e alla ricerca di Pogba.

Si è conclusa con due gol per la Roma - una bella punizione di Pianjc e un’incornata di testa di Dzeko - e uno di Dybala per la Juve, che pure c’ha provato negli ultimi 5 minuti, quando la Roma ha avuto paura del pareggio che l’avrebbe beffata. Ma qualunque altro risultato sarebbe stato un abuso. Aria difficile a Torino: due sconfitte di seguito e ultimi in classifica a zero punti - inedito assoluto per la storia bianconera - mettono già piombo nelle ali juventine, che sono decisamene orfani dei suoi ex Pirlo, Vidal e Tevez. Mercato o no, gli arrivi non compensano le partenze ed alcune personalità non si trovano in poche ore. La Juve faticherà non poco a ritrovare personalità, classe e numeri in grado di farla primeggiare.

Da Milano, invece, arriva la conferma che quello del calcio è un mondo contorto. Ci sono sconfitte che sanno di vittorie e poi vittorie che sembrano sconfitte. Un po’ questa la sintesi di Milan contro Empoli giocata a Milano nell’anticipo della seconda giornata del campionato. Il Milan, infatti, non solo non meritava di vincere per quanto di brutto ha mostrato in campo, ma l’Empoli ha giocato davvero una partita maiuscola, così che i tre punti in palio finiti ai rossoneri hanno assunto il sapore di un’ingiustizia assoluta. Le ore successive al match hanno certamente guastato l’umore a Milanello, ma vuoi mettere con l’emozione di giocatori, tifosi e dirigenti del Sassuolo che si vedono alla seconda giornata in testa alla classifica di serie A?

Eh sì, perché per diverse ore la squadra emiliana, grazie alla seconda vittoria in due partite giocate, si è trovata addirittura da sola in testa, roba che solo diversi sorsi ad alta gradazione alcolica avrebbe potuto prefigurare. Dopo averle suonate al Napoli dell’insopportabile De Laurentis, stavolta ha sistemato pure il Bologna in un inedito derby regionale. Bravo Di Francesco e bravi i suoi giocatori, primi in classifica, sebbene in comproprietà, oltre  rappresentare un’iniezione di autostima, colleziona punti che saranno utili a fine torneo.

Per tornare a Milano, va detto che anche l’Inter, che supera il Carpi in trasferta grazie a due gol di Jovetic, non se la passa troppo bene. Causa caldo soffocante, forse, il ritmo dato alla partita è stato quello di una scampagnata. Certo, il Carpi, come la settimana scorsa l'Atalanta, ha giocato con 9 giocatori dietro la linea della palla e questo davvero non aiuta a creare gioco ed occasioni. Fortuna sua che il fattore Jo-Jo la conferma come unica tra le grandi a punteggio pieno e in testa alla classifica.

Rocambolesco il risultato della Fiorentina, che in vantaggio si fa raggiungere e quindi nettamente superare dal Toro di Ventura, con tanti saluti allo splendido gioco dei viola celebrato sette giorni prima. Quagliarella festeggia le sue 300 presenze in serie A con un gol e Ventura ricorda a tutti come costruire un collettivo sia cosa diversa che assemblare singoli.

Il Napoli di Sarri, pure in vantaggio grazie a Higuain, finisce inchiodato sul 2 a 2 dalla Sampdoria guidata da Walter Zenga, allenatore troppo spesso sottovalutato causa forse non essersi dotato di buoni rapporti con i giornalisti. Eder è stato autore di una prestazione straordinaria. Che sia per restare o congedarsi lo sapremo tra 24 ore. L'Inter, che pare seriamente impegnata a prenderlo, non deve esitare.

E se la vittoria del Palermo a Udine è certamente una notizia, autentica super notizia è il pesantissimo rovescio (4 a 0) patito dalla Lazio contro il Verona. La squadra di Pioli è addirittura inquietante per impalpabilità e inconsistenza tecnica e fisica. L'impressione è che il tecnico abbia un problema di autorevolezza da un lato e di mancanza di idee dall'altro.

Il suo presidente maneggione e chiacchierone ha 18 ore per provare a raddrizzare l’asse di una squadra che sembra la lontana parente di quella vista solo tre mesi prima. Dopo la prematura uscita dall’Europa che conta, sembra che di slancio voglia uscire anche dalla lotta per le prime posizioni in Italia.

E’ un campionato che sembra davvero possa rivelarsi incerto e quindi avvincente. Tra quindici giorni, al rientro dopo la sosta, ci sarà il derby di Milano e la partita tra Juventus e Chievo, che disegna il primo testa-coda della stagione. Alzi la mano chi si sarebbe immaginato di vedere un simile film del campionato.

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Il Campionato riparte con il freno a mano tirato per quelle che una volta chiamavamo “le grandi della Serie A”. Si salva solo l'Inter, che sblocca la gara contro l'Atalanta soltanto al 93esimo con il primo gol ufficiale in nerazzurro di Jovetic, bravo a sfruttare un clamoroso colpo di sonno dei bergamaschi (fin lì catenacciari perfetti, scuola Reja) con un gran tiro a giro. La squadra di Mancini domina nel possesso palla e tira una ventina di volte verso la porta avversaria, ma il gioco non è ancora fluido e l'infortunio di Icardi in avvio di gara impone probabilmente a Thohir di tornare sul mercato per cercare un'altra alternativa in attacco.

Per il resto, la prima giornata è un'ecatombe delle big. La sconfitta più imprevedibile è sicuramente quella della Juventus campione d'Italia, superata dall'Udinese nella partita della 18 con un gol di Thereau al 78esimo. I bianconeri, lenti e prevedibili, vengono battuti al debutto in casa per la prima volta nella storia.

Fa meno clamore la caduta senza appello del Milan contro la Fiorentina. I viola, messi in campo con un sorprendente 3-4-3 da Sousa, dominano i rossoneri in lungo e in largo, passando prima su una punizione capolavoro di Marcos Alonso (il fallo era di Rodrigo, espulso nell'occasione), poi con il rigore di Ilicic, provocato con grande ingenuità da Romagnoli (il ragazzo è costato 25 milioni ma no, non ricorda ancora Nesta).

La terza grande sconfitta all'esordio è quella del Napoli di Sarri, superato in rimonta dallo spietato Sassuolo guidato da Di Francesco. Gli azzurri passano con Hamsik dopo appena 3 minuti e per la prima mezz'ora danno l'impressione di poter gestire il risultato, ma poi subiscono il pareggio di Floro Flores a fine primo tempo e la zuccata vincente nella ripresa di Sansone.

Come l'Inter, anche il Palermo vince la partita con un gol all'ultimo secondo. L'autore è il marocchino El Kaoutari, che spara in porta un pallone vagante in mischia, dopo un maldestro tentativo di disimpegno da parte di Burdisso.

Quanto alle esordienti, la vera delusione è il Carpi. Intendiamoci, perdere con la Sampdoria all'esordio assoluto in Serie A non è uno scandalo, ma genera qualche imbarazzo incassare una manita nel giro di 20 minuti. Fra il 15esimo al 36esimo Eder e Muriel segnano due doppiette, seguite dalla punizione vincente di Fernando. Mitigano le sofferenze del Capri i gol di Lazzari (che sbaglia anche un rigore nel finale) e Matos.

Esce dal campo con la testa assai più alta il Frosinone, che alla prima partita in Serie A chiude il primo tempo in vantaggio contro il Torino con un gol in spaccata di Soddimo. Nella ripresa la raddrizzano per i granata prima il solito Quagliarella, autore di una gran girata volante, poi Baselli con un fortunato tiro da fuori.

Chiude il quadro delle partite della domenica la vittoria in rimonta del Chievo sull'Empoli. Alla rete nella prima frazione di Saponara rispondono Meggiorini, Birsa e Paloschi.

Negli anticipi, la prima partita dell'anno si chiude con l'unico pareggio della prima giornata. Per la Roma, però, è una delusione: dopo il gol di Jankovic e il pareggio di Florenzi, i giallorossi hanno almeno due chiare occasioni per vincerla con Pjanic, ma la palla non entra.

Vittoria invece per la Lazio, che sabato sera passa 2-1 all'Olimpico sul Bologna. In rete Biglia e l'esordiente Kishna, mentre per il rossoblu va a segno Maicosu. Il capitano argentino dei biancocelesti però s'infortuna a un polpaccio e salterà il ritorno dei preliminari di Champions con il Bayer Leverkusen.


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A vederla così, ripresa da una ventina di chilometri, lattiginosa, seviziata da un cinese ubriaco addetto ai replay, con la palla che va dove le pare perché il campo ricorda la spiaggia dello sbarco in Normandia e in aria spira quel che resta del tifone ''Souledor'', con il bordocampista Rai che fracassa 15 microfoni per raccontare le sue ciarle, con il commentatore tecnico Rai che sproloquia in un tono da Actors Studio, con il primo cronista Rai che chiede perdono dando la colpa di tutto alla regia cinese, mentre un altro cinese ubriaco gli parla sopra nel goffo tentativo di passare una comunicazione interna...

A vederla così, più che la Supercoppa Italiana sembra una Superciofeca cinese. Eppure è la realtà del calcio nostrano traghettato per motivi di sponsor a Shanghai. Purtroppo, la qualità del gioco non aiuta a risollevare lo spettacolo, ma siccome ''vincere è l'unica cosa che conta'', alla fine vince la Juventus. E con il minimo sforzo, due reti a zero contro una Lazio inconsistente, friabile in difesa e anestetica in attacco.

A onor del vero, per un'oretta buona le due formazioni si equivalgono nel nulla assoluto (zero tiri in porta in tutto il primo tempo). Poi, i campioni d'Italia sbrigano la pratica nel giro di cinque minuti. Trasfigurati dagli addii di Pirlo, Vidal e Tevez, i bianconeri la risolvono con due nuovi arrivati: Mandzukic, che - dopo un erroraccio solo davanti a Marchetti - si riscatta incocciando di testa indisturbato nell'area piccola fra De Vrij e Basta, e Dybala, lesto nello scaraventare sotto la traversa da distanza ravvicinata un assist facile di Pogba, mentre la difesa biancoceleste, in perfetto schieramento, marca con lo schema di Madame Tussauds.

Nonostante tutte le chiacchiere da ombrellone su calciomercato, motivazioni, progetti e sogni di gloria, alla fine, lo spettacolo grottesco di questa Supercoppa lascia dietro di sé solo conferme.

Primo, la Juve rimane la squadra da battere anche nel 2015-2016, perlomeno in Italia. Secondo, Pioli è un allenatore competente, serio e volenteroso, ma non vince uno scontro diretto contro una grande neanche sotto tortura e la Lazio resta lontana dal salto di qualità che i tifosi si aspettavano.

Terzo, la Rai si affanna a prendere le distanze dalla scarsa professionalità cinese, ma, vista la qualità del servizio che continuano a propinare nonostante il canone e la pubblicità, ieri in molti avrebbero preferito completare lo scempio con una più avvincente telecronaca in mandarino.

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C’era un tempo in cui Galliani partiva e tornava con gli scalpi dei nemici. Si trattasse di diritti tv, di cariche in Lega o di giocatori da acquistare o vendere, il pelato più celebre della storia del Milan sembrava il re incontrastato del subbuteo pallonaro. Le cene da Giannino, il ristorante amico frequentato da qualche VIP e da molti aspiranti tali, era la scenografia di fondo per telecamere, macchine fotografiche e taccuini amici.

I tempi cambiano e Galliani di quell’era ha conservato solo il piacere delle cene, oltre alle immancabili, orrende cravatte gialle su camicie bianche. Perché sul piano operativo, invece, il disastro è ormai ripetuto. Da Tevez a Pato, da Cerci a Balotelli, non riesce ad azzeccarne una da anni, povero Fester.

Eppure l’acquisto del 48% del Milan da parte di Mr. Bee (acquisto davvero nebuloso, visto un importo decisamente non congruo rispetto al valore di mercato) aveva scatenato i cantori Mediaset, che già scrivevano di Milan che tornava stellare. I soldi sono essenziali, certo; ma quando mai sono serviti solo i soldi per costruire le squadre vincenti?

Con il rifiuto di Ancelotti prima e di Ibrahimovic poi, Galliani aveva già inaugurato la sua estate poco serena, ma quello subìto in queste ore dai cugini dell’Inter è stato un uppercut di quelli da cui non ci si rialza. A maggior ragione perché era stato spiegato urbi et orbi tramite la tv di famiglia che c’era stato un gentlemen agreement tra Milan e Inter perché non si pestassero reciprocamente i piedi sul mercato.

La novella raccontava di Galliani che avrebbe offerto ad Ausilio di ritirarsi dalla corsa su Imbula, a patto che Ausilio si fosse tirato indietro da quella su Kongdogbia e finiva con Ausilio aveva consentito. Un pollo avrebbe dovuto essere Ausilio per accettare di rinunciare al primo obiettivo per quello di ripiego.

Non perché Imbula sia un ripiego - è un ottimo giocatore di grandi prospettive - ma perché l’obiettivo primo dell’Inter era Kongdogbia. E lo era ben prima che il Milan s’inserisse. Milan che adesso proverà a disturbare l’Inter anche su Imbula, con il quale però i nerazzurri hanno già un contratto firmato e che solo loro possono mollare. Altrimenti la coppia Kongdogbia-Imbula sarà il perno del prossimo centrocampo nerazzurro.

L’Inter, infatti, aveva contattato il Monaco ben prima del Milan, quando fu chiaro che Yaya Tourè non avrebbe lasciato Manchester. Il Milan ha provato quindi a scippare Kongdogbia all’Inter. Dopo incontri e trattative, l’Inter ha preso Kongdogbia e Galliani è rimasto con le forchette delle sue cene a Montecarlo.

Ma non bastasse la figuraccia con il centrocampista ex-Monaco, dopo il rifiuto di Ibrahimovic Galliani nelle stesse ore ha incassato un’altra umiliazione dal colombiano Jackson Martinez, autentica macchina da gol che prima aveva accettato di andare agli ordini di Mihajlovic, poi ha preferito l’Atletico Madrid di Diego Pablo Simeone.

La sua corazzata mediatica - un po’ ammaccata ma ancora in navigazione - ha ovviamente dato il meglio di sé: se poche ore prima affermava l’assoluto vantaggio sull’Inter nelle trattative con il Monaco e faceva trapelare come il ricchissimo Milan avesse firmato un contratto con i monegaschi per 40 milioni di euro più bonus in due tranche, subito dopo la sberla ha cominciato a diffondere opinioni circa l’eccesso di spesa per il centrocampista africano. Risietta, dicono in dialetto milanese.

Kondogbia, un metro e 88 per 80 kg, è giocatore straordinario, di grande fisicità e duttilità tattica a centrocampo. Con lui Mancini ha il giocatore che cercava, a metà strada tra quello che fu Vieira nella sua precedente guida dell'Inter e Tourè in quella al Manchester City.

Ora il Milan dovrà dedicarsi ad altri obiettivi, forte di 75 milioni di euro da investire sul mercato, come ha stranamente ammesso lo stesso Galliani. Magari portanno essere spesi per obiettivi diversi da quelli dei cigini.

Già perchè da anni peraltro, salvo eccezioni, Galliani sembra voler costruire la sua squadra sugli avanzi dell’Inter. Da Favalli a Vieri, da Ronaldo a Ibrahimovic, da Balotelli a Muntari, a Pazzini, pare che a Milanello si sia attratti solo dall’idea d’ingaggiare gli ex dell’Inter, pensando che il caso Pirlo possa essere ripetuto cento volte. E invece dopo Pirlo sono arrivati solo bidoni su bidoni.

Per pura curiosità vanno annotate alcune coincidenze: Jackson Martinez in Italia è rappresentato da Ivan Ramiro Cordoba, storico difensore dell’Inter; l’allenatore del Milan, Mihajilovic, è stato apprezzatissimo giocatore e vice allenatore dell’Inter; l’Atletico Madrid che gli ha soffiato Martinez è guidato da Diego Pablo Simeone, un tempo amatissimo centrocampista dell’Inter; il vice direttore dell’area tecnica del Monaco è Andrea Butti, ex team manager dell’Inter.

Una novela che si ripete quindi. Sarà che Galliani dovrebbe lasciar perdere i luoghi disseminati ad ogni titolo da ex interisti? Non gli porta bene.

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Per la Juventus, contro questo Barcellona, la sconfitta era un destino. Le analisi tecnico-tattiche del post finale di Champions si potrebbero ridurre a quattro parole: manifesta superiorità dell'avversario. Eppure, di carattere la squadra di Allegri ne ha dimostrato da vendere, compiendo l'impresa di rimanere in partita fino all'ultimo. Non è poco, visto che prima dei bianconeri né il Manchester City, né il Psg né il Bayern Monaco erano riusciti a tenere il risultato in bilico fino alla fine, cedendo di schianto sotto i colpi del terrificante attacco blaugrana.

Purtroppo, però, questo non vuole nemmeno dire che la Juventus sia andata vicina alla Coppa. La squadra di Allegri è stata abile a sfruttare nella ripresa l'unica vera palla gol concessa dal Barça, trovando con Morata il momentaneo pareggio alla rete in avvio di Rakitic, ma le occasioni create dai catalani sono state moltissime, e se i bianconeri non sono crollati prima del 96esimo lo devono in gran parte ai colpi da campione di cui è ancora capace Buffon.

Certo, è lo stesso portierone ad avere le responsabilità maggiori sul 2-1 di Suarez (quel tiro di  Messi andava bloccato o spinto di lato, non certo consegnato al tap in del pistolero), ma - come diceva Mourinho - di solito i portieri delle grandi squadre devono fare una sola grande parata a partita. Sabato Buffon ne ha fatte almeno tre, rimediando all'affanno di Barzagli e Bonucci, in prevedibile difficoltà nel marcare il tridente extraterrestre del Barça.

La verità è che al momento il Barcellona è l'unica vera corazzata d'Europa. Tutte le altre big hanno dimostrato lacune e amnesie più o meno preoccupanti nel corso della stagione, e oggi abbiamo le prove che in Europa non esiste una sola difesa che Messi, Neymar e Suarez non siano in grado di bucare almeno tre volte nel corso dei novanta minuti. L'unico modo per sconfiggere una squadra del genere lo hanno insegnato negli anni scorsi l'Inter di Mou e - in modo meno elegante, ma più evidente - il Chelsea di Di Matteo: per dirla in metafora, occorre parcheggiare il pullman della squadra davanti alla linea porta. Supercatenaccio muscolare, e poi contropiede.

Se alzi la difesa, se ti fai ingolosire dagli spazi che ogni tanto s'intravedono nella retroguardia blaugrana - com'è avvenuto alla Juventus dopo il momentaneo pareggio - vieni inevitabilmente punito dalla ripartenza degli alieni. Era vero cinque anni fa, quando a centrocampo giocavano le migliori versioni di Xavi e Iniesta, e lo è a maggior ragione oggi che la potenza di fuoco dell'attacco catalano ha raggiunto lo zenit.  

La Juve, insomma, non poteva vincere, ma è comunque uscita dal campo con la testa più alta del previsto. I bianconeri, in qualche modo, hanno legittimato i ripetuti baci della fortuna arrivati negli ultimi mesi dall'urna magica. Perché incontrare il Borussia Dortmund agli ottavi e il Monaco ai quarti non è cosa da tutti i giorni e anche pescare in semifinale il Real Madrid è stato un colpo di buona sorte notevole, considerando che le alternative erano Barça o Bayern.

A voler considerare soltanto la qualità del gioco, è probabile che la palma di seconda miglior squadra europea spetti proprio ai tedeschi di Guardiola, che però - pur essendo sulla carta superiori alla squadra di Allegri - sono stati annichiliti ancor peggio della Juve dagli stessi catalani. A dimostrazione del fatto che, nel calcio, la fortuna conta (si pensi agli infortuni di Robben e Ribery), mentre la proprietà transitiva non funziona. E soprattutto che Lionel & Co. sono una falce in grado di livellare tutte le regine d'Europa al livello di comprimarie.


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