di Rosa Ana De Santis

Al numero 180 di Via Due Ponti, nel seminterrato dove viveva, é stato trovato il corpo carbonizzato di Brenda, il trans brasiliano coinvolto nel caso Marrazzo. A riconoscere quel corpo supino, con il volto girato a sinistra, è un’amica. Nella stanza invasa dal fumo, oltre alla bottiglia di whisky, ci sono le valigie pronte per l’imminente partenza. Brenda voleva andar via. Ritornare in Brasile, fuggire da una situazione di pericolo e d’insidie. I suoi amici la descrivono, nell’ultimo mese, depressa e angosciata. Spaventata. Non era passato molto tempo dall’aggressione che agli inizi di novembre l’aveva portata in ospedale. Gli era stato sottratto il cellulare. Una persecuzione contro il trans che aveva qualcosa da raccontare. Qualcosa che non riguardava più soltanto Marrazzo, ormai sconfitto, umiliato e fuori di scena.

Lo scandalo del sesso che ha travolto l’ex Governatore della Regione Lazio non è chiuso ed è proprio la morte di Brenda a confermarlo. S’ipotizza l’omicidio volontario. Le valigie pronte e le aggressioni subite negli ultimi tempi sono più che il sospetto di una condanna a morte.  Brenda era scomoda per quello che sapeva e che taceva. Era stata sentita il 2 novembre scorso dal PM sul quel secondo video hard che la filmava insieme a Marrazzo. Quando scoppia il caso, Natalie e Brenda, le due trans del governatore, si rincorrono nelle reciproche accuse. E’ Natalie la vera protagonista, Brenda si tiene in disparte, ma è proprio Marrazzo a confessare di aver avuto almeno due incontri sessuali con lei.

Brenda, la mora, è una forte dell’ambiente. Affatto sentimentale, è una che gestisce bene gli affari e il suo giro. Natalie alla stampa la descrive così. Conosce bene, guarda caso, proprio Gianguarino Cafasso, il pregiudicato romano, architetto di tutto il ricatto dei video e delle foto che ha coinvolto i carabinieri, questa volta comode “mele marce” per qualcuno, morto a settembre anche lui in circostanze ancora da chiarire. Un’altra coincidenza davvero misteriosa. Il mondo dei viados brasiliani custodisce segreti. Bollenti e pericolosi. Liste “secretate” di nomi che scottano.

La Brenda terrorizzata degli ultimi giorni è una disperata inghiottita in un giro troppo grande, nell’industria del ricatto, in dossier comandati dall’alto. Ben altro e più in alto dei nomi lanciati al gossip dalla collega Natalie che aveva accennato a un esponente di primo piano della destra. A calciatori, a uomini e coppie di spettacolo. Il caso Marrazzo, che davanti al Paese doveva risarcire la dignità ferita del premier dagli scandali delle giovani escort di Palazzo Grazioli, è diventato qualcosa di più. Una minaccia difficile da arginare e da archiviare per tanti nomi illustri. Politica e partiti. Potere intoccabile, potere sacro. Non bastava immergere il suo pc nell’acqua, non bastava spaventare con le aggressioni. A Brenda bisognava impedire di parlare.

Al mistero della morte si unisce la responsabilità di chi non l’ha protetta, soprattutto a fronte degli ultimi episodi violenti che l’avevano riguardata. Una volta tolto di mezzo Marrazzo, Brenda diventava più un pericolo che un testimone da tutelare? Dietro i seni gonfi e pompati di estrogeni, dietro le voci maschili camuffate dai rossetti scarlatti non c’è solo il capriccio e il vezzo di un uomo che compra sesso trasgressivo. Dietro questi corpi plastificati, turgidi e in vendita si è mosso in blocco tutto il potere. In una escalation di mosse e reazioni.

Il governo con Berlusconi che prova a salvare Marrazzo vincolandolo alla sudditanza di un segreto ingombrante, le cliniche di Angelucci da preservare, la stampa dell’impero mediatico del premier che rimpalla le foto di scrivanie in scrivanie, l’Arma dei Carabinieri e le sue mele marce, i pappa e i ricattatori che conoscono clienti e prostitute. Ponti di contatto tra chi compra e chi vende. Servizi segreti e liste di nomi sotto lucchetto.

La scenografia di una morte plateale, che sembra strappata alla trama di un classico romanzo giallo, richiama alla memoria di questo Paese quasi un’uccisione in perfetto stile mafioso che poco sembra coerente con la tesi del gruppetto dei romeni violenti o di qualche spacciatore occasionale. Il mandante va cercato più in alto, lassù. Brenda non scompare, di lei non si perdono le tracce. La sua è stata un’esecuzione per dare un messaggio a tutte. Tacere.

La bionda Natalie dice di non avere idea di come sia morta e di cosa sia accaduto. Dice che a lei importa solo di sé. Insomma ha paura di pronunciare anche solo una parola. Le amiche di Brenda, quelle che battono nelle celle dove abitano, hanno paura. Qualche esponente dell’opposizione chiede che almeno Natalie sia protetta. Chissà cosa pensa Piero Marrazzo.  Forse che qualcuno, ben più in alto e ben più protetto di lui, non finirà alla gogna mediatica e non pagherà. Tanto  Brenda ormai non parla più.

di Ilvio Pannullo

Le recenti vicissitudini che hanno coinvolto alcune eminenti personalità pubbliche del nostro paese, come il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, hanno offerto alla pubblica opinione la possibilità di intravedere un mondo parallelo, sconosciuto, troppe volte negato, ma, come si è potuto ampiamente comprendere, decisamente  presente. Si è appreso, così, che al riparo dalle ingerenze della morale cattolica, in questo paese ancora ossessivamente padrona della pubblica sessualità, coperti dal silenzio e dalla cappa di omertà assicurata dal potere, i nostri politici, e con loro una grande parte della classe dirigente e dell'Italia abbiente, sono soliti eccedere spesso i limiti del lecito e del moralmente accettato.

L’insegnamento che se ne trae riguarda l’incolmabile distanza che separa ciò che è da ciò che appare, in altre parole quanto la nostra realtà sia diversa da come viene rappresentata sugli schermi televisivi e sui sistemi di comunicazione di massa. Quello che s’intravede sullo sfondo di queste storie è un orizzonte valoriale completamente trasformato dall'ideologia del consumismo e dell'individualismo edonista, un orizzonte ben diverso se non addirittura completamente altro rispetto a quello che viene comunemente venduto dalle istituzioni politiche e religiose.

Quello che ci viene consegnato dalla realtà dei fatti, divenuta in questi casi pubblica non certo per una mera casualità, è un mondo segnato non solo e non tanto dall'eccesso e dalla trasgressione, ma soprattutto dall'omertà e dall'incoerenza. A preoccupare, infatti, non sono certamente le abitudini sessuali dei politici, quanto piuttosto la loro attitudine a mentire spudoratamente, oltre alla loro incapacità conclamata di saper leggere i cambiamenti che interessano la società civile: saper comprendere, cioè, l'evoluzione dei costumi ed assumersi la responsabilità di riconoscerli come leciti e legittimi, modificando se necessario l’ordinamento giuridico del paese.

I comportamenti dei governanti sono, infatti, lo specchio di quanto accade nella società, e i gusti censurati sono, in verità, molto più diffusi di quanto non si potrebbe pensare. La distanza tra ciò che si dice e ciò che si fa, e ancor di più, tra ciò che si pensa e ciò che si dice, diventa ogni giorno sempre più importante, quasi incolmabile. Ne esce l’immagine di una Repubblica, quella italiana, fondata sulla menzogna e schiava di una morale anacronistica e deleteria.

Accade, infatti, che nel paese sul cui territorio insistono le istituzioni temporali della Santa Romana Chiesa non sia possibile, per una ragazza ormai priva della propria dignità e di ogni speranza di vita, poter morire dignitosamente; né per una donna abortire senza subire ulteriori traumi fisici oltre agli inevitabili contraccolpi psicologici, causati da una gravidanza non voluta; né vivere la propria sessualità liberamente senza dover temere di essere additato come una pericoloso depravato. Tuttavia, dietro questa falsa cortina di fumo la società civile si evolve, si sviluppa secondo i naturali schemi della modernità occidentale. È sufficiente, infatti, fare due conti e analizzarli con onestà intellettuale, per comprendere quanto l'Italia vera sia distante dall'Italia raccontata.

Nello stivale vivono infatti circa 57 milioni di italiani; se si spuntano dal calcolo gli ultrasessantenni e quanti ancora non hanno raggiunto la maggiore età, quindi circa 26 milioni di persone, rimangono 31 milioni di individui. Bene, di questi almeno il 6%, secondo stime approssimate per difetto, è assiduo frequentatore di siti on-line scambisti. Ogni mese, una buona parte della popolazione sessualmente attiva è infatti solita cercare e curiosare nei siti di annunci: coppie, singole, gruppi, e ancora trans, travestiti, esibizionisti o cuckold (chi ama solo guardare la loro donna fare sesso con altri) si incontrano dopo essersi conosciuti attraverso la rete, coperti dall'anonimato che questa garantisce."Un fenomeno in continua crescita", raccontano Morena e Mamo, gestori di morenasex.net. Loro, nell'ambiente scambista on-line, sono i leader: "Registriamo almeno 2 milioni di utenti unici, oltre 34 milioni di pagine visitate al mese e più di 40.000 inserzionisti".

Cifre che fanno impallidire d'invidia portali molto più celebri ed istituzionali: "Eccome! - spiega Marco Presta, uno dei più affermati direttori creativi del mondo Web, sulle pagine de Il Fatto Quotidiano - solo in pochi possono vantare cifre del genere. Su un argomento poi, come il sesso, che porta inevitabilmente alla fidelizzazione del navigatore". Ora, quale che sia il giudizio di merito circa queste pratiche, su queste nuove attitudini sessuali, quello che è la profonda discrepanza tra la realtà reale e la realtà raccontata. Una discrasia che merita di essere analizzata e risolta.

Il sesso, infatti, più di qualsiasi altro elemento della vita umana, è tuttora considerato nel nostro paese, forse ancora dalla maggioranza dei cittadini, in modo irrazionale. A distanza di secoli si può notare come i principi dell’illuminismo razionalista abbiano incontrato una grande resistenza nel pregiudizio e negli anacronismi derivanti da una morale distorta. La nube più densa, dove ancora il sole della ragione cede all'oscurantismo della tradizione religiosa, avvolge ancora il campo sessuale, e forse la cosa è spiegabile essendo il sesso legato alla sfera più passionale nella vita della maggior parte dell'umanità.

Ora, uno degli elementi che hanno maggiormente favorito il persistere nella popolazione della morale religiosa è la permanenza prolungata in luoghi poco popolosi; un altro elemento favorevole al persistere dell'oscurantismo è la superstizione: chi crede sinceramente che il peccato porti al castigo eterno, cercherà di evitarlo, sebbene ciò sia piuttosto l'eccezione che la regola. Il terzo fattore che vincola al rispetto di una moralità etero-imposta è l'opinione pubblica. In un piccolo centro, ad esempio, dove ogni fatto diviene subito di dominio pubblico, un uomo avrà certamente forti motivi per evitare tutto ciò che le convenzioni sociali condannano.

Ma tutti questi motivi eterogenei di condotta irreprensibile oggi sono molto meno efficaci di un tempo: c'è meno gente che vive isolata, la fede nel fuoco infernale va affievolendosi e in una grande città nessuno è al corrente di ciò che fa il suo vicino. Non ci si deve perciò sorprendere che uomini e donne siano sempre meno propensi ad una rigida monogamia di quanto lo fossero prima della moderna età industriale.

A questo punto del ragionamento si potrebbe obiettare che, se un numero sempre crescente di persone viene meno alla legge morale, questa non è una buona ragione per modificarla. Il peccatore - si dice - almeno capisce e riconosce di aver peccato, e un codice etico non è certo peggiore per il fatto che riesce difficile vivere secondo le sue norme. A queste osservazioni, tuttavia, si può sicuramente rispondere osservando che domandarsi se un codice morale è buono o cattivo, è lo stesso che chiedersi se esso favorisce o no la felicità umana.

Oggi, molte persone adulte, nel loro intimo, credono ancora a tutto ciò che hanno appreso da bambini e si sentono in errore ogni qualvolta la loro condotta risulta non conforme all'insegnamento ricevuto all'oratorio. Come conseguenza di ciò, si genera un pericolosissimo dissidio fra la personalità conoscente e razionale e la personalità inconscia e infantile. Tale dissidio può, nel migliore dei casi, portare a paranoie o ossessioni, nel peggiore, essere alla base di veri e propri disturbi del comportamento o di patologie psichiche, con tutti i danni che questo comporta al singolo e alla comunità in cui questo vive.

Sarà necessario, dunque, prendere atto dei cambiamenti che inevitabilmente l'ambiente genera nel singolo individuo e riparametrare le nostre filosofie, la nostra volontà e la nostra moralità alla luce delle recenti scoperte scientifiche raggiunte in campo sociale. Ancora una volta, dunque, accettare le diversità, negare qualsiasi cittadinanza agli integralismi, comprendere le ragioni e le esigenze dell'altro non potrà non portare ad una società più sincera con se stessa e più onesta nell'analizzare le esigenze innate di ogni essere umano. Comprendere, soprattutto nel caso in cui non si sia d'accordo, significa abbracciare un'idea di un'umanità più tollerante e più rispettosa delle diverse sensibilità. Un'umanità cosciente che la vera forza risiede nella diversità e nella capacità di un corpo collettivo di assicurare l'armonia fra gli opposti punti di vista.

di Rosa Ana De Santis

E’ passato quasi un mese dalla morte del giovane Stefano. Proseguono le indagini e le notizie sul caso sembrano non uscire dalle prime pagine. Tutto grazie alla pressione dell’opinione pubblica e soprattutto allo sforzo di una famiglia che non molla e mostra una volontà di collaborazione che in cambio non accetta sconti sulle responsabilità. Da un lato tribunali e giudici, gli avvisi di garanzia agli agenti della polizia penitenziaria e l’imminenza dell’incidente probatorio sull’unico testimone. Dall’altro il concorso di responsabilità dei sanitari coinvolti. Ignazio Marino, a capo della commissione d’inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, si è nuovamente recato all’Ospedale Sandro Pertini. Quello che emerge dai giorni di ricovero di Cucchi viene definito dallo stesso Marino “inquietante”. Terminata l’audizione secretata dell’infermiera Olivares Gricelda, infermiera del carcere di 'Regina Coeli, che ha assistito Cucchi, si aprono nuovi scenari e si acquisiscono nuovi elementi per portare avanti l’indagine.

Ma facciamo un passo indietro per ripercorrere i momenti più importanti di questo mese. Potremmo iniziare dalle parole violente e infondate di Giovanardi. Lui fa morire Stefano di anoressia, poi di droga, anche un pò di sieropositività. Tutto pur di non parlare dei fatti e delle foto che internet e tv ci hanno mostrato. Le immagini del corpo e l’entrata in scena del supertestimone costringono il sottosegretario a scusarsi con la famiglia.
Il testimone, che sarà nuovamente ascoltato in corso d’incidente probatorio sabato prossimo dal Gip Fiasconaro, è S.Y., un irregolare africano, arrestato anche lui per detenzione di stupefacenti.

Incontra Stefano nelle celle di sicurezza di Piazzale Clodio, dove sono stati portati entrambi per la convalida dei loro fermi. E’ dalle sue dichiarazioni che partono i tre avvisi di garanzia per omicidio preterintenzionale ai tre agenti di polizia penitenziaria che hanno preso in custodia Cucchi in quei momenti. Il testimone racconta di aver sentito urla, di aver visto Stefano a terra piegato dai ripetuti calci e di aver poi raccolto le sue parole “Mi hanno menato questi stronzi”. Il pestaggio quindi avviene sotto le aule di giustizia per poi forse proseguire anche dopo. Magari nel tragitto verso Regina Coeli, dove Cucchi arriva non più in grado di stare in piedi e con fortissimi dolori, tali da dover esser trasferito per i vari esami diagnostici in ospedale fino al ricovero definitivo.

Il testimone è stato trasferito dal carcere, per non correre rischi, per non essere intimidito o magari per evitare un’altra delle solite cadute dalle scale, simile a quella che ha rotto le ossa del giovane Stefano, ad esempio. L’onorevole Pedica, dell’Italia dei valori, sorveglia e vigila sulle sorti del giovane coraggioso. La battaglia per la verità non si annuncia facile soprattutto se passa sulla pelle nera di un clandestino, spacciatore abituale. Nel frattempo gli agenti, che avrebbero “dato la lezione” a Stefano, sono stati trasferiti in via temporanea, mentre attraverso i loro legali respingono tutte le accuse. Del resto quanto può valere la parola di un detenuto straniero? Non sono valse quelle di famiglie perbene e di esemplari cittadini italiani nei processi alla Polizia.

Uno dei tre indagati dichiara che a Stefano hanno addirittura offerto un caffè e una sigaretta, prima di chiamare il medico quando ha iniziato a star male. Tutto questo prima di affidarlo alla scorta che lo avrebbe portato in carcere. Ma perché Stefano Cucchi inizia a star male, se nessuno gli fa del male? Il cadavere e le diverse foto scattate spiegano tutto quello che viene taciuto. Il legale della famiglia Cucchi, pur non essendo un medico legale, oltre a notare le fratture e i segni di percosse che abbiamo visto tutti, parla di almeno cinque lesioni tipiche da bruciature di sigarette.

Il corpo di Stefano sarà riesumato per gli ulteriori rilievi autoptici ritenuti necessari. Nel frattempo verrà analizzata la macchia di sangue riscontrata sui jeans indossati al momento dell’arresto. La famiglia ha consegnato agli inquirenti la droga ritrovata nell’appartamento di Via Morena (Roma), dove ogni tanto Stefano andava quando non era in famiglia. A dimostrazione che si cerca soltanto la verità sulla morte di Stefano e nessuno slittamento o omertà sulla considerazione di una vita fragile.

Un capitolo a parte è quello delle cure. Le cartelle cliniche che hanno fatto il giro del web riportano dei NO piuttosto controversi, anche sul piano calligrafico, sulle volontà di Stefano. Rimangono le anomalie di quanto è stato negato al paziente. La visita dell’avvocato e dell’operatore di fiducia della comunità CEIS in cui Cucchi combatteva la sua personale sfida alla tossicodipendenza. Rimane il perché di una famiglia tenuta all’oscuro e lasciata a sostare senza notizie fuori le mura del nosocomio. Un trattamento che ha trasformato Stefano in un detenuto senza diritti, e in un malato senza diritto di cura. Rimangono misteriose le terapie somministrate, negate o inefficaci andrà chiarito, spiegate finora dai medici coinvolti con la tesi ridicola del paziente “poco collaborativo.”

Lo strazio di Stefano e della sua famiglia non è ancora concluso. Le indagini incalzano e l’attenzione della gente comune e della politica è forse lo strumento più efficace a disposizione per evitare che Cucchi sia un’altra vittima senza carnefice. Perché non pagare per le proprie colpe equivale a non averne davanti alla legge e alla collettività. Non che questo interessi molto all’Italia del processo breve. Stefano, volendo usare perifrasi verbali, è morto d’ingiustizia, di violenza e di omissioni e questo è accaduto mentre era nelle mani dello Stato.

 

di Rosa Ana De Santis

A Roma le ruspe smantellano legnami e lamiere di una cittadella della vergogna: il Casilino 900. In condizioni igenico-sanitarie disumane, con l’illegalità rintanata tra bombole e roulotte, è diventata finalmente visibile alle Istituzioni. Alemanno e la sua giunta plaudono alla politica degli sgomberi, rivendicandone l’efficacia e la necessità. Un po’ troppo semplice pensare che passi da qui la soluzione. Il Garante dell’Infanzia del Lazio è l’unico in questo momento ad evidenziare la mancanza di progettualità in cui si sta consumando l’efficace scenografia delle ruspe al lavoro.

Dove andranno dopo gli sfollati? E i minori su cui piovono le buone preoccupazioni dell’integrazione e della scuola? Dove andranno a finire fintanto che non ci saranno i cosiddetti “campi autorizzati”? Sui nomadi in Italia si è sempre pensato di poter dispensare soluzioni allocative e null’altro. Bagni chimici, servizi, luce e gas, campi attrezzati in disparte dalle aree urbane. Tutto questo è stato il problema degli zingari nel nostro Paese. Così quando nel campo nomade di Salone, qualche anno fa, nascevano delle tecnostrutture interne per accogliere i bambini in aree ricreative e favorire la strategia dell’integrazione, il Comune decise di abbatterle per costruire nuove baracche. Nessun accenno al continuo ammassarsi di gente nei campi già sovraffollati e agli ingressi fuori controllo dalla Romania, che conta il maggior numero di gitani in Europa.

Nessuno parla poi dei figli dei Rom. Quelli che sono nati in Italia, che non hanno cittadinanza, che classifichiamo come nomadi, ma che nella realtà sono apolidi. Bambini senza Stato né diritti di cittadinanza. Un vulnus non da poco per le istituzioni liberali. Nessuna analisi sul lungo periodo, scevra da pregiudizio o dal buonismo, ha mai occupato la scena politica se non nei momenti di propaganda elettorale; proprio questo metodo ha messo il nostro paese nelle condizioni di collezionare insuccessi e lacune da record nel panorama europeo. Il Ministero degli Interni ha preferito avanzare l’ipotesi di un censimento dei minori, rudimentale e improvvisato nei metodi e negli scopi, piuttosto che parlare di un ufficio centrale permanente - con funzionari di Stato e mediatori culturali - e di un coordinamento nazionale. Ad oggi sono le associazioni e i volontari gli unici ad entrare nel mondo dei rom e dei sinti.

Le Istituzioni non si sono accorte che non hanno a che fare con i gitani di cui ci parla la storia. I nomadi sono diventati stanziali e la politica della segregazione ha finito sia per esasperare il malcontento e la frustrazione dei cittadini - che individuano nei campi nomadi isole immuni dalla legge e dalle regole - sia i diritti fondamentali degli stessi segregati. Una doppia sconfitta in cui l’atavica discriminazione e intolleranza contro i gitani, di cui sono purtroppo ricche le pagine del passato, è diventata comoda all’indolenza della politica. Fanno i cittadini da soli quello che le Istituzioni non riescono a dire o a fare.

Vicino a noi, in Francia, il metodo Sarkozy, da Ministro dell’Interno, ha unito la tolleranza zero all’illegalità con la garanzia di un’accoglienza umana e dignitosa. I campi sono davvero considerati transitori ed esiste un programma “immobiliare” progressivo per gli stanziali, i quali, conservando intatti tradizioni e costumi, non sono esonerati da quello che vale per tutti gli altri cittadini stanziali: tasse e lavoro. La Francia non ha risolto il problema di tutti i suoi gitani, ma non c’è dubbio che la cornice politico-programmatica perseguita, senza sconti di rigore né di attenzione ai diritti fondamentali di queste persone, è un esempio di come si possa favorire l’integrazione reale e ridurre nel tempo quell’odio sociale che è sempre più facile invece respirare nelle periferie della grandi città italiane. Lì dove il degrado di queste aree dimenticate entra, senza mediazioni e con tutte le contraddizioni che possiamo immaginare, nelle case delle cassi sociali più umili del Paese.

L’emotività che da noi condiziona la classe politica e i lacci e lacciuoli di alcune investiture ideologiche e moraleggianti hanno impedito finora che le istituzioni ragionassero in modo pragmatico e lucido sulla questione dei finti nomadi. Consentendo così che questi fazzoletti di terra di nessuno diventassero campi di sfogo per il razzismo spontaneo e per la più bassa esasperazione popolare. Rimanendo fuori dai recinti dei campi ed entrando solo con le ruspe della tabula rasa. Un esercizio di sovranità che assomiglia ai compiti di un esercito più che a quelli di un governo. Certo è che in condizioni di disumanità queste persone hanno l’unica possibilità di diventare disumane. E i fantasmi del passato tornano a respirare.  

di Mariavittoria Orsolato

Una barzelletta di dubbio gusto, nonché parecchio irrealistica, racconta che se mai un giorno il Po si dovesse prosciugare, sul letto del fiume invece che i ciottoli e la sabbia, si troverebbe uno spesso strato di cocaina. La battuta è circolata a tal punto, che persino rispettabili telegiornali come Studio Aperto ne fecero servizi pieni di angosce e timori. Che la suddetta barzelletta sia una verità di Bertoldo lo si sapeva da un pezzo, ma ad ulteriore conferma che il nostro è un paese di cocainomani, arriva un rapporto da Bruxelles in cui si precisa come in Italia i consumatori abituali di polvere bianca siano lo 0,8% della popolazione, contro una media europea dello 0,4%.

L’osservatorio europeo sulle droghe e le tossicodipendenze - che dal 1993 raccoglie e analizza tutte le informazioni disponibili su questo fenomeno culturale - ha affermato preoccupato che oltre 13 milioni di europei hanno provato cocaina almeno una volta nella loro vita, di questi la metà esatta sono giovani tra i 15 e i 34 anni.

L’agenzia europea con sede a Lisbona ha quindi confermato che la cocaina rimane lo stimolante più popolare d’Europa, sottolineando però che questo fenomeno interessa soprattutto la parte occidentale dell’Unione: l’Italia infatti rivaleggia, in termini di dipendenza diffusa, con Danimarca, Spagna, Irlanda e Regno Unito, tutti paesi in cui il consumo tra i ragazzi è attestato sul 4%. Accanto a questo fenomeno, l’Oedt ha riscontrato che il sempreverde spinello, pur restando la sostanza illecita più comunemente usata in Europa con una media di 74 milioni di consumatori, sta registrando delle flessioni importanti in termini di diffusione e consumo, soprattutto nei giovanissimi.

Pare quindi che malauguratamente gli under 30 stiano spostando la loro attenzione dalla cannabis alla cocaina, in un contesto di policonsumo che interessa soprattutto l’alcool. Ora, se le motivazioni di questo boom europeo della “bamba” non ci sono date sapere, in Italia il singolare fenomeno di deviazione sui consumi può essere spiegato facilmente con le norme introdotte dall’ultima revisione operata al testo unico sulle droghe.

La legge 49 del 2006, meglio nota come Fini-Giovanardi, va infatti a modificare le tabelle sulle sostanze, equiparando hashish e marijuana alla cocaina e distruggendo quelle che erano le distinzioni tra droghe leggere (indubbiamente le prime) e droghe pesanti (inevitabilmente la seconda). Non solo, per quanto riguardava la severità delle sanzioni, il duo legislativo si era concentrato soprattutto sulla “piaga” degli spinelli ed aveva elevato in modo spropositato le pene pecuniarie e detentive per lo spaccio ed il consumo.

La beffa di questa legge, che fece inviperire non poco gli antiproibizionisti delle penisola, consisteva nel fatto che assimilando la cannabis alla polvere bianca, anche la quantità tollerabile per il consumo personale è stata parificata a 5 grammi. La differenza, non poi così sottile, è che se 5 grammi di marijuana non sono poi così tanti, 5 grammi di cocaina per il consumo personale sono un’enormità. Questo escamotage ha permesso una diffusione capillare dello spaccio: dal momento che le dosi ordinarie di polvere bianca si aggirano sugli 0.70 grammi, il quantitativo permesso dalla legge a uso personale corrisponde a circa 7 dosi pronte da smerciare. Se a ciò si aggiunge che la nostra penisola - grazie ai traffici della ‘Ndrangheta - è la testa di ponte per la cocaina che, in arrivo dalla Colombia, va poi in tutta Europa, ben si capiranno le motivazioni che hanno spinto ad una così poco felice modificazione dell’esistente legge Turco-Napolitano.

La facilità con cui si riescono a reperire bustine di polvere bianca ha poi fatto crollare i prezzi, rendendo una dose accessibile veramente a chiunque: se fino a qualche tempo fa la coca era infatti considerata una droga da ricchi, adesso nelle piazze italiane un “pezzo” (circa 0,70 grammi) si può comprare con soli 40-50 euro. La valutazione sui prezzi é utile anche a spiegare il fenomeno di flessione che ha caratterizzato la cannabis, compagna di sventure nella legge Fini-Giovanardi: il prezzo che caratterizza una dose di coca al dettaglio, è circa 5 volte il costo di una pari quantità di marijuana e 10 volte quello dell’hashish. Dato che le pene si sono inasprite per la cannabis ma si sono notevolmente raddolcite nei confronti della polvere bianca, il mercato nero ha ovviamente spinto sulla distribuzione che rende di più e con cui si rischia di meno.

Questa inflazione ha così permesso alla sostanza di diffondersi tra tutte le classi sociali e di insidiare ogni generazione, diversificando di conseguenza le pratiche di consumo. Oggi la cocaina non si usa solo per movimentare le serate mondane: si sniffa nei bagni delle scuole prima delle interrogazioni, negli spogliatoi delle fabbriche per star svegli durante i turni di notte e, come le recenti cronache hanno abbondantemente documentato, la si usa (oltretutto a torto) come coadiuvante durante le prestazioni sessuali.

Esattamente 3 anni fa, gli inviati de Le Iene effettuavano un “drug test” in Parlamento all’insaputa degli interessati. Subito dopo la messa in onda, il servizio scatenava enormi polemiche: non tanto sul fatto che un deputato su tre risultasse positivo al test (l’8% dei quali alla cocaina), quanto piuttosto sull’imperdonabile violazione della privacy che Le Iene avevano operato nei bagni di Montecitorio. Oggi il cosiddetto “sistema Tarantini”, svela come in realtà la polvere bianca sia una potente merce di scambio e un’immancabile corollario a qualsivoglia tipo di incontro politico privato. Non ci stupiamo se allora quella della cocaina è ormai definibile come “cultura”.


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