di Mario Braconi

Che i visionari riescano a proteggere il popolo meglio di quanto possano fare i soldati? Questo è forse l'interrogativo cui l'Esercito USA ha inteso rispondere dando vita al "Seminario dello scienziato matto sulla tecnologia futura": un incontro annuale al quale sono invitati, oltre agli scienziati, anche i futurologi e per il quale perfino gli scrittori di fantascienza possono guadagnarsi un accredito. Si pensi alle penose immagini di Colin Powell che al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite agita davanti alle televisioni il modellino della fialetta di antrace "made in Iraq": se questo è il livello delle prove "scientifiche" che un governo può produrre per giustificare la guerra, allora perché non darsi alla fiction? Senza contare che i generali non ne potranno più dei soliti, barbosi convegni pieni di ricercatori targati Ivy League, esperti NASA e cinici "contractor"...

L'edizione americana di WIRED ha messo le mani su un memo (anonimo) dei lavori dell'edizione più recente del Seminario (20 - 23 gennaio): un documento utile per comprendere quali innovazioni scientifiche e tecnologiche possano rivelarsi potenzialmente tanto pericolose per gli Stati Uniti da turbare i sonni del Presidente. In linea di massima, sembra che la guerra sarà sempre meno confronto tra eserciti e, sempre più, creativa declinazione di violenza non convenzionale, il cui obiettivo (diretto o indiretto) tenderà ad essere sempre più frequentemente la popolazione civile.

Infatti, grazie ai progressi nelle biotecnologie, tra soli cinque anni, con un investimento di soli 5.000 dollari, chiunque riuscirà ad alterare un virus influenzale naturalmente predisposto alla mutazione e trasformarlo in un'arma che, pur non necessariamente letale in sé, può comunque costringere a letto un esercito e/o paralizzare la capacità di reazione di un Paese intero ad un possibile attacco.

Un altro incubo è quello delle armi elettromagnetiche: niente di nuovo, visto che già negli anni Sessanta era noto che l'esplosione in quota di un ordigno nucleare produce un campo elettromagnetico in grado di distruggere in pochi secondi le reti di distribuzione di energia elettrica e mettere fuori uso definitivamente tutti i dispositivi elettronici su cui poggia la civiltà come la conosciamo oggi - luci, riscaldamento, refrigerazione, automobili, computer, telefoni e benzina - (che viene pompata mediante dispositivi alimentati elettricamente). In pochi secondi il mondo tornerebbe indietro di duecento anni. Se si considerano i progressi nel campo della miniaturizzazione, un'arma elettromagnetica portatile potrebbe essere disponibile prima del 2020.

Anche la vita dei soldati al fronte potrebbe diventare ancora più dura, a causa dell'integrazione sempre più spinta di "nanotecnolgie, networking, sistemi computazionali avanzati e intelligenza artificiale", che darà vita a sciami di apparecchiature miniaturizzate in grado di corrodere, rilevare mediante sensori ed esplodere", moltiplicando il numero delle vittime anche più degli attacchi terroristici. Il "nemico " (quale esso sia, nazione o singolo individuo), inoltre, si infiltra nei social network, dove può da un lato individuare parenti ed amici dei soldati nemici - rendendo necessaria la loro protezione - e, dall'altro, fare propaganda minando la capacità dell'Esercito di reclutare personale o di mantenerlo tra i suoi ranghi.

Tuttavia, l'aspetto più sottile della guerra che verrà è la tendenza a prendere di mira non più solamente il corpo, ma anche la mente del nemico. Secondo il documento pubblicato da WIRED, attorno al 2030 saranno disponibili una seria di "strumenti di guerra neuro-cognitiva in grado di coordinare tecnologie elettromagnetiche, infrasuoni e luci per colpire il sistema neurologico e fisiologico umano". La cosa interessante è che è sufficiente alterare anche lievemente il livello di risposta di ogni singolo individuo: un danno complessivo notevole è assicurato dalla somma di milioni di défaillances individuali infinitesimali. Questo tipo di influenza subliminale sul comportamento può essere utilizzata, in modo particolarmente efficace, nei "sistemi online immersivi": i social network, Second Life, ma il ragionamento vale per ogni gioco o servizio internet.

Commentando l'articolo di WIRED USA sul blog a cui collabora (mindhacks.com), il neuroscienziato inglese Vaughan Bell ricorda i numerosi esperimenti che provano una relazione causale tra esposizione dei soggetti a determinati argomenti e comportamenti rilevati successivamente. Ad esempio, un gruppo di studenti cui subito prima dell'esperimento era stato fatto leggere un brano in cui si menzionino comportamenti arroganti, rudi ed aggressivi, si sono dimostrati mediamente più impazienti di altri che avevano letto brani in cui si parlava di gentilezza e pazienza: l’effetto in psicologia viene definito "priming" (quando “uno stimolo precedente influenza una reazione successiva anche non correlata”).

Dunque, continua Bell, basterebbe una "determinata stimolazione codificata all'interno di un un gioco o di un servizio internet (credo che nell'Esercito siano troppo timidi per dire la parola “porno”) per ridurre la performance cognitiva di una frazione, ma quando si considera che questo avverrebbe sull'intero esercito, la sua potenza offensiva potrebbe esserne drasticamente influenzata." La guerra non è stata mai così sporca. E facile.

 

di Rosa Ana De Santis

La mimosa dell’8 marzo è tornata puntuale ai semafori urbani. Gli stranieri, al posto degli ombrelli o dei fazzoletti, tenevano per mano l’unico pallido simbolo della ricorrenza. La festa delle donne è stata come sempre spaccata in due. Le goliardate notturne simil-maschi, con pupazzi di maschi palestrati o gli intensi convegni di riflessione autoreferenziale sui diritti delle nostre mamme lavoratrici, delle nostre giovani nel luogo di lavoro, delle straniere e delle loro preziose differenze.

Il bilancio dell’emancipazione è ancora pieno di crepe. La famiglia italiana ha rincorso un parametro di uguaglianza zoppicando sui numeri dell’Europa. A guardare la vita delle nostre donne si scopre che la loro emancipazione e autonomia di guadagno è costruita, purtroppo, non tanto sull’eguaglianza negli oneri e nel lavoro di cura con i propri compagni, quanto sulla non emancipazione di altre. Le più povere o le immigrate.

Il rapporto è quasi di diretta proporzionalità e ci obbliga a riportare la questione femminile all’interno di domande più ampie, spesso incautamente trascurate. E’ tanto romantica quanto sbagliata l’idea di pensare la questione femminile come scissa dalle categorie del tempo e dello spazio. Le donne non sono donne e basta. Stanno dentro alle grandi questioni politiche del nostro tempo e nessuna categoria del loro pensiero rappresenta una scommessa valida per il futuro se si prescinde da questo nesso. Il naufragio di tanto femminismo nasce proprio da questo peccato originale: averle portate fuori dal mondo.

Cent’anni di 8 marzo obbligano a registrare i progressi. Dal 1910 ad oggi, dicono filosofe come Irigaray e Marzano, la posizione delle donne nello spazio pubblico ha vissuto forti miglioramenti, ma entrambe devono riconoscere il ritorno di vecchi clichè. La colpa? Forse proprio delle donne, basta prendersela con gli uomini. Quelle che non hanno assunto alcuni parametri di novità o che li hanno assorbiti soltanto nella versione deteriore: quella del potere, della supremazia, dell’assuefazione ai parametri maschili dell’essere vincenti, della quantità, del poter fare tutte le cose che fanno i propri padri o i mariti. Misurando i talenti secondo le stesse unità di misura.

La cronaca politica e quella del gossip in Italia, proprio il paese che protegge a tutti i costi il dogma della famiglia perbene, ha visto il trionfo e la benedizione di quelle donne disponibili alla mercificazione plateale del corpo per un vantaggio economico o di collocazione sociale. Il fenomeno non è “di poco conto”, né circoscrivibile al mondo del sesso, alla prostituzione tradizionale, al sottobosco dello spettacolo. A quello che c’è sempre stato, insomma. Il costume della prostituzione è stato nobilitato, normalizzato, spalmato nell’immaginario collettivo su tutte le donne e assunto a valore di scambio potenziale per il genere femminile tout court. Venduto come rottura dell’ipocrisia, è diventato solo un abbassamento del profilo di genere. Un imbarbarimento, un rigurgito di passato remoto. Un asservimento al mondo degli uomini che non risparmia donne colte, consapevoli e autodeterminate. Sarà anche per questo abbandono delle tradizionali differenze che nelle fantasie degli uomini eterosessuali è diventata sempre più forte la seduzione del corpo e del pensiero trans. Sono più donne delle donne?

L’8 marzo italiano una novità di costume l’ha portata. Indubitabile. E’ saltata quell’odiosa distinzione tra donne per bene e prostitute, e l’icona del femminino ha preso le sembianze di una creatura mista. Una mitologia interrotta. Corpo di donna e testa di maschio. Sono così le donne che incontriamo? Quelle del post femminismo? E’ questo l’incrocio dell’eguaglianza imperfetta e della differenza degenerata? L’esasperazione della battaglia per il nemico esterno ha spinto il nemico sempre più dentro.

Eduardo Galeano, scrittore uruguayano, nei colori vividi e penetranti dei suoi versi ha detto che la donna è il Sud del Mondo. E conoscendo il simbolismo pindarico delle sue parole, vuole senz’altro raccontarci qualcosa di più dei numeri e delle statistiche della differenza e del disavanzo con gli uomini. Vuole portarci proprio dentro quel vortice al sud della terra, dove l’ingiustizia della storia si è mescolata a una strana liturgia della maledizione che impedisce ogni riscatto, ogni atto persino. Così nelle donne rimane lo stesso arresto. Un sacro limite che la velocità delle conquiste esterne ha abolito solo nei riti e nella forma lasciandolo intatto al suo posto. E se c’è ancora bisogno di rivoluzione, forse, danno e beffa dell’ultima nostra storia, sarà per tornare a come eravamo.

 

 

di Ilvio Pannullo

I prodotti della casa sono sempre i più buoni? Forse in ambito agro-alimentare, ma di certo non se si tratta di prodotti finanziari distribuiti dalle banche. Soprattutto se, abbinati alla vendita di questi investimenti, ci sono lauti bonus per i dirigenti che li consigliano ai risparmiatori, spesso ignari dei meccanismi che ci sono dietro ai "consigli per gli acquisti". Non è bello, insomma, che una banca spinga a comprare i prodotti finanziari che ha più urgenza di piazzare invece di quelli più adatti alle esigenze del cliente.

Sul tema, odioso dopo i tanti scandali finanziari che hanno distrutto l'immagine del settore in Italia, è tornata la Consob, che ha richiamato due settimane fa due istituti (il nome resta ancora oggi misterioso) a una maggiore disciplina nell'ambito della distribuzione di prodotti finanziari, e di una maggiore aderenza alle norme della direttiva europea Mifid, che prevede una forte tutela degli interessi esterni all'intermediario.

Il problema, però, sta tanto nella condotta fraudolenta delle banche quanto nell’ignoranza dei clienti, solitamente del tutto incapaci di muoversi autonomamente nel globale supermercato dei prodotti finanziari. Davanti al feroce corporativismo del sistema bancario e preso atto della sua influenza sulla casta politica, s’impone al nutrito popolo dei risparmiatori una maggiore consapevolezza dei meccanismi che regolano l’universo della finanza. Sempre più spesso, infatti, si sente parlare d’ignoranza finanziaria del popolo italiano. Non che questo nella sua media sia particolarmente colto, ma certamente in tema di mercati e finanza è tra i più ignoranti d'Europa. Politici, banchieri centrali e uomini d'affari lamentano periodicamente l'ignoranza del pubblico in tema di denaro, e hanno ragione.

Ciò, ovviamente, nulla toglie alla responsabilità di quegli istituti che, forti di una posizione di evidente superiorità rispetto al risparmiatore, sfruttano la propria posizione per liberarsi fraudolentemente dei rischi assunti scaricandoli sulla clientela. Sarebbe tuttavia logico aspettarsi un vero e proprio esodo dei risparmiatori da quelle realtà finanziarie che, di volta in volta, vengono coinvolte in simili scandali. Purtroppo, però, non è mai accaduto nulla di simile. Ma quali sono le due banche colpevoli di aver agito con troppa leggerezza nei confronti della clientela? La commissione guidata da Lamberto Cardia - Presidente della CONSOB, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa - non ne fa menzione per non scatenare la rivolta dei risparmiatori. La mancanza dei nomi ha tuttavia scatenato il tran tran di voci.

Nessun istituto si può escludere a priori, ma sembra che il richiamo, che si concretizzerà nella convocazione del consiglio di amministrazione dei due istituti, per l'esame di tematiche inerenti alla prestazione di servizi di investimento, non sia stato rivolto alle due big d'Italia, Unicredit e Intesa San Paolo. Voci accreditate dalle testate giornalistiche del settore sembrano escludere anche gruppi come Banca popolare di Milano, peraltro già toccata da rilievi Consob circa l'emissione di obbligazioni. Qualcuno comincia a fare i nomi di Banca Carige, Monte dei Paschi di Siena, Ubi banca, Banco Desio e Banca Etruria, ma le banche sospettate sono tante tra gruppi medi e medio grandi.

A breve si attendono le smentite degli istituti tirati al centro delle voci in un gioco a esclusione, fino ad arrivare alle due che da smentire avranno ben poco. Tra gli operatori le orecchie sono ben tese per carpire gli argomenti dei prossimi consigli di amministrazione in programma, per verificare se nell'ordine del giorno ci sono questioni inerenti la Mifid. Quel che è certo, tuttavia, è che la crisi finanziaria fatto riemergere in qualcuno vecchi vizi difficili da sradicare.

Rimane, però, il problema della facilità con cui gli squali della finanza riescano a mietere vittime tra i piccoli risparmiatori. Il problema è serio e si va imponendo all’attenzione generale a causa della sempre crescente volontà politica di rimettere all’autonomia privata scelte un tempo rimesse all’esclusiva competenza dello Stato. Una società moderna si aspetta che la maggior parte degli individui si assumano la responsabilità della gestione della spesa del proprio reddito (al netto delle tasse); che la maggior parte dei cittadini adulti sia proprietaria della propria casa di abitazione e che gli individui decidano quanto risparmiare per la pensione e se coprirsi da eventuali rischi attraverso la sottoscrizione di un'assicurazione. Ma una società che non fornisce ai propri cittadini gli strumenti necessari a prendere sagge decisioni finanziarie. Di più, sono in molti a sostenere che l'attuale crisi sia in parte dovuta alla diffusa ignoranza della storia finanziaria, non solo fra la gente comune. Conoscere, infatti, significa soprattutto essere messi nelle condizioni ottimali per poter operare una scelta coerente con le proprie esigenze.

Tra i tanti problemi del sistema finanziario il difetto principale è che esso riflette e accentua le debolezze umane. Come dimostra un numero crescente di ricerche sulla finanza comportamentale, il denaro accresce la nostra tendenza a reazioni eccessive, a passare dall'euforia quando le cose vanno bene alla depressione quando le cose vanno male. Il gonfiarsi e lo sgonfiarsi delle bolle finanziarie, in ultima istanza, è il frutto della nostra instabilità emotiva, della nostra incapacità di rimanere razionali quando tutto intorno a noi incomincia ad impazzire. Ma la finanza accentua anche le differenze fra gli uomini, arricchendo chi è intelligente e fortunato e impoverendo chi non è altrettanto intelligente e fortunato.

La stessa globalizzazione finanziaria potrebbe portare enormi benefici, se solo i soggetti ad ogni titolo in essa coinvolti fossero nelle condizioni per agire con piena coscienza e volontà; in linea teorica potrebbe portare, dopo più di trecento anni, al drastico ridimensionamento della divisione tra paesi ricchi e sviluppati e paesi poveri meno sviluppati. Sul piano strettamente dottrinario, infatti, quanto più i mercati finanziari s’integrano, tanto maggiori sono le opportunità per le persone che capiscono la finanza di migliorare le proprie condizioni, ovunque vivano, e parallelamente tanto maggiore è il rischio di una perdita di status sociale da parte di chi nulla sa di finanza. Ma i risultati dicono praticamente il contrario.

In termini di distribuzione generale del reddito, il mondo moderno non è un mondo piatto, semplicemente perché la remunerazione del capitale è aumentata esponenzialmente rispetto alla remunerazione del lavoro non qualificato. In altre parole, il premio riservato a chi conosce non è mai stato così elevato e la pena per l'ignoranza finanziaria non è mai stata così severa. Conoscere dunque le regole del gioco assume oggi un'importanza assolutamente fondamentale. Come nella vita di ogni giorno, è facile constatare che chi conosce agisce, mentre chi non conosce rimane immobile in un mondo che muta in modo troppo veloce per tollerare l'inerzia.

 

di Elena Ferrara

A metà strada tra le “Pagine gialle” e la “Guida Monaci”. Un “chi è” e un “Bignami” del mondo religioso che orbita attorno alla Chiesa di Roma. E’ questo, in sintesi, il contenuto del nuovo annuario pontificio che esce ora e che contiene “novità e dinamiche” che portano il governo mondiale dell’Oltretevere a fare i conti anche con il passato. Dalla lettura del volume - che entra di diritto nelle biblioteche della geopolitologia mondiale - si scoprono oggi una serie di “novità” relative alla vita della Chiesa cattolica nel mondo, a partire dal 2009. Perchè è in quest’anno che il Papa tedesco Benedetto XVI “ha eretto otto nuove Sedi vescovili e una prelatura”; ha “elevato una prelatura a diocesi e tre prefetture a vicariati apostolici”.

Si tratta di notevoli cambiamenti strutturali che hanno portato alla nomina di 169 nuovi vescovi chiamati a operare sulla linea del Papa e sulle scelte di politica estera dello stesso Vaticano. Ci sono poi in questo libro - “giallo e santo” - una serie di dati statistici che, riferiti all'anno 2008, forniscono un'analisi sintetica delle principali dinamiche riguardanti la Chiesa cattolica nelle 2.945 circoscrizioni ecclesiastiche del mondo. Risulta che nel periodo che va dal 2007 al 2008 i fedeli battezzati sono complessivamente passati da quasi 1.147 a 1.166 milioni, con un incremento assoluto di 19 milioni di fedeli e una percentuale pari all'1,7 per cento.

Confrontando questi dati con l'evoluzione della popolazione mondiale nello stesso periodo, passata da 6,62 a 6,70 miliardi, si osserva che l'incidenza dei cattolici a livello planetario è lievemente aumentata, dal 17,33 al 17,40 per cento. Tra il 2007 e il 2008 anche il numero dei vescovi è aumentato globalmente dell'1,13 per cento, passando da 4.946 a 5.002. L'incremento è stato significativo in Africa (più 1,83 per cento) e nelle Americhe (più 1,57 per cento), mentre in Asia (più 1,09 per cento) e in Europa (più 0,70 per cento) i valori si collocano sotto la media complessiva. L'Oceania registra nello stesso periodo un tasso di variazione meno del tre per cento.

Tali dinamiche differenziate non hanno però causato sostanziali modifiche nella distribuzione dei vescovi per continente. La situazione numerica dei sacerdoti, sia diocesani che religiosi, continua a mostrare, a livello aggregato, un'evoluzione moderata e comunque attorno all'un per cento nel periodo 2000-2008. I sacerdoti, diocesani e religiosi, infatti, sono aumentati nel corso degli ultimi nove anni, passando da 405.178 nel 2000 a 408.024 nel 2007 e a 409.166 nel 2008. Le suore, invece, sono diminuite del 7,8 per cento. Nel mondo erano 801.185 nell'anno 2000: nel 2008 se ne contavano 739.067, con una diminuzione relativa nel periodo del 7,8 per cento. Ma questa “svolta” è accolta con diffidenza negli ambienti religiosi più oltranzisti.

Quanto alla distribuzione del clero tra i continenti, nel 2008, questa è caratterizzata da una forte prevalenza di sacerdoti europei (47,1 per cento), quelli americani sono il 30 per cento; il clero asiatico incide per il 13,2 per cento, quello africano per l'8,7 per cento e quello nell'Oceania per l'1,2 per cento. Dal 2000 e il 2008, invece, non è variata l'incidenza relativa dei sacerdoti in Oceania; è però cresciuto il peso sia del clero africano, sia di quello asiatico e dei sacerdoti americani, mentre il clero europeo è vistosamente sceso dal 51,5 al 47,1 per cento.

Sempre in questo contesto - pur rilevando il calo generale delle suore - resta il fatto che i gruppi più numerosi di religiose professe si trovano in Europa (40,9 per cento) e in America (27,5 per cento) e che le contrazioni di maggior rilievo si sono manifestate ugualmente in Europa (meno 17,6 per cento) e in America (meno 12,9 per cento), oltre che in Oceania (meno 14,9 per cento), mentre in Africa e in Asia si hanno dei notevoli aumenti (più 21,2 per cento per l'Africa e più 16,4 per l'Asia), che controbilanciano l'anzidetta diminuzione, ma non sino al punto di annullarla.

A livello globale, il numero dei candidati al sacerdozio è aumentato, passando da 115.919 nel 2007 a 117.024 nel 2008. Complessivamente nel biennio si è avuto un tasso di aumento di circa l'un per cento. Tale variazione relativa è stata positiva in Africa (3,6 per cento), in Asia (4,4 per cento) e in Oceania (6,5 per cento), mentre l'Europa - caratterizzata da forti crisi ideologiche - ha fatto registrare un calo del 4,3 per cento. L'America presenta invece una situazione di quasi stazionarietà pur se in Vaticano sostengono che in quel paese c’è ancora uno sterminato campo di azione.

Un fatto è comunque certo. Ed è che questo “Annuario”, con i dati che si riferiscono ai paesi emergenti, dimostra sempre più che la geografia dei cattolici segnala un calo dei motivi ideologici e lascia il passo a considerazioni geopolitiche. Ed è questa, sembra, la linea scelta dal papa polacco e dal suo entourage.

di Rosa Ana De Santis

La notizia è arrivata dalla Gran Bretagna. Ray Gosling è stato accusato di omicidio per la morte del compagno, malato terminale di HIV. Rischia fino a 14 anni di carcere per il reato di suicidio assistito. Potrebbe non valere nulla l’accordo che il famoso conduttore della BBC dice di aver onorato rispettando la promessa fatta per dare la buona morte. I titoli parlano di eutanasia e la cronaca dell’accaduto ci racconta di una morte avvenuta per asfissia. Gosling avrebbe ucciso il compagno malato con un cuscino in faccia, sul letto di ospedale. La morte sarebbe quindi sopraggiunta dopo una vera agonia. Qualcosa però stona, non convince.

Stando ai fatti, per mettere fine alle inutili e terribili sofferenze dell’uomo ammalato, rimasto ancora senza un nome e un cognome, sarebbe stata scelta una morte che assomiglia di più a una tortura breve. Nessun accompagnamento alla morte, ma un’azione fredda e violenta, degna di un killer. Quello che, non a caso, non è emerso dalle prime pagine e dai titoli dei giornali, è che questo caso è profondamente dissonante dalle storie che raccontano di eutanasia. La buona morte, sempre scelta e richiesta dal paziente, rappresenta l’ultima estrema medicina rispetto ad una condizione organica e psicologica di sofferenza cronica e irreversibile. La buona morte non uccide, ma fa morire e la differenza tra queste due condizioni della fine della vita è estrema e inconciliabile.

Non sappiamo se davvero la richiesta di porre fine alle sue sofferenze ci sia stata e non sappiamo nemmeno se il modo sia stato concordato o scelto da Gosling. Certo che, accostare la scena di un soffocamento di un uomo inerme e debole al concetto di eutanasia equivale a suggerirne un significato sbagliato e soprattutto a raffigurare la persona che decide di rispettare un‘alleanza di solidarietà profonda con i contorni di un assassino.

L’uso strumentale delle parole diventa, soprattutto in un dibattito aperto e fresco come quello italiano con l’operato dei giudici nel mirino, come il caso Englaro ha dimostrato, un’efficace strumento per plagiare e confondere. Se le parole hanno un valore l‘eutanasia affonda le sue radici nel prefisso greco eu, che rimanda al concetto di bene. Eppure l’interpretazione sdoganata come ufficiale da un dibattito fondato su errori di metodo e su pregiudizi ha prodotto lo snaturamento di alcuni termini che nell’uso corrente sono diventati altro.

Perché Gosling avrebbe deciso di porre termine alle sofferenze estreme del proprio compagno con una morte altrettanto atroce? Un moto di esasperazione spacciato per rispetto di un patto di amore come argomento da usare in tribunale? Se davvero ci fosse stata una promessa di questo tipo non sarebbe stato tutto organizzato da tempo e nel dettaglio? Qualcuno potrebbe trovare ipocrita la differenza tra l’uso di un cuscino per soffocare e la somministrazione di un’alta dose di sonniferi; eppure il diverso modo di morire ha un valore simbolico che supera il fatto stesso della morte e che, in questo caso specifico, è proprio il terreno su cui si misurano tutti gli argomenti morali in gioco. Il rapporto tra volontà personale e morale pubblica, tra medicina e significato della vita, tra malattia e società.

Il modo in cui morire è proprio l’espressione fisica e concreta di un atto di volontà ed è proprio ciò che può aiutare la riflessione a discriminare tra l’eutanasia e l’omicidio. Rimane difficile credere che una persona che sceglie consapevolmente la dolce morte per riscattare la propria condizione di sofferenza senza speranza, possa accettare di morire in modo crudele o in qualsiasi modo. Potremmo credere sia eutanasia lasciarsi strangolare o farsi bruciare vivi? O possiamo confondere il martirio dei santi o la cicuta di Socrate con l’eutanasia? Persino il suicidio di Jacopo Ortis con il pugnale non è lo stesso del Werther che usa l’arma da fuoco. Le diverse morti e le diverse icone della morte hanno uno specifico e inalterabile significato. E’ proprio la modalità, il come a restituire un significato ai temi su cui ci interroghiamo e su cui si rischia troppo spesso di sprecare parole che rischiano la perdita di significato.

Aldilà del caso giudiziario Goslin, qualora avesse compiuto quel gesto estremo con la reale intenzione di assecondare il desidero del proprio compagno - cosa della quale ci auguriamo - dovrà chiedersi per il resto della vita se non sarebbe stato naturale e doveroso accompagnare la persona amata ad una morte fatta di dignità e di cessazione del dolore. L’eutanasia ha in se il concetto della pietas. Ne è la premessa e la sua condizione fondante.

La scelta di morire per non soffrire, la rinuncia a una qualità della vita che non si ritiene coerente con il proprio sistema di valori, la libertà di abbandonare l’esistenza, non si può confondere con un atto brutale; ed è tutto quello che sembra mancare troppo nella scena repentina del soffocamento che viene dall’alto e del cuscino schiacciato sul volto. Un’azione che azzera e quasi umilia la dignità della scelta di morire. L’icona di una morte eroica e insieme innocente. Quella di chi pensa che “una vita senza libertà non è una vita”.

 


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