di Mariavittoria Orsolato

Sono 73 le anime che il canale di Sicilia pare avere inghiottito durante l’ennesimo viaggio della speranza dalle coste africane a quelle europee. A raccontarlo, con le lacrime agli occhi, sono i 5 sopravvissuti recuperati da una motovedetta della Guardia di Finanza mentre navigavano alla deriva, a 12 miglia dall’isola di Lampedusa. Una donna, due uomini e due ragazzini che, stando alle loro testimonianze, sono partiti dall’Eritrea alla volta della Libia e da li si sono imbarcati lo scorso 28 luglio, nella speranza di raggiungere le spiagge italiane. Pensavano di sfuggire così alla dittatura più rigida e sanguinaria di tutto il corno d‘Africa, instaurata nel 1993 dal presidente Isayas Aferworki, salutato come combattente per la libertà ma poi rivelatosi un inesorabile tiranno. All’inizio del viaggio erano in 78, 55 uomini e 17 donne, ma una volta saliti sul gommone che avrebbe dovuto far loro attraversare il Mediterraneo, il timoniere inesperto ha perso immediatamente la rotta e i natanti sono stati costretti a navigare a vista. Con la benzina sono finiti ben presto anche acqua e cibo, e già al terzo giorno di navigazione alcuni cadevano sotto l’imperterrito splendere del sole estivo, scivolando senza vita nelle acque profonde del mare nostrum.

di Rosa Ana De Santis

Il Tar del Lazio, accogliendo il ricorso di 24 associazioni laiche e religiose, ha stabilito che l’ora di religione cattolica non fa punteggio per i crediti della maturità e che i docenti di religione non possono avere lo stesso titolo di partecipazione degli altri in sede di consiglio di classe o di scrutinio. Una giusta decisione che ha lasciato tutti un po’ stupiti: siamo pur sempre in un paese dove le battaglie della laicità e del pluralismo faticano ad essere metabolizzate nel costume corrente e assumono sempre le sembianze di eventi destabilizzanti e minacciosi per la pubblica morale. Il centro-destra, col solito urlatore Gasparri - che se c'é da dire un'idiozia non si tira indietro - parla di sentenza “discutibile” e di discriminazione nei riguardi dei docenti e degli studenti che scelgono di frequentare l’insegnamento della religione cattolica.

di Rosa Ana De Santis

Via libera dall’AIFA (Agenzia Italiana del farmaco): la pillola abortiva RU486 potrà essere commercializzata negli ospedali ed utilizzata entro la settima settimana di gravidanza. Con ritardo e alla fine di un dibattito ingessato in apologie di fede, finalmente l’Italia si allinea ad altri Paesi Europei. La voce del No tuona dal Vaticano, che minaccia scomuniche per quanti la prescriveranno e quante vi faranno ricorso. Tuona anche dai cattolici seduti in Parlamento, che ufficialmente reclamano maggiori chiarimenti sugli effetti collaterali del farmaco, ma che sotto banco s’indignano per un’accessibilità probabilmente più fluida, meno irta di ostacoli e più ampia al diritto dell’aborto che, allo stato attuale, pur con la sacrosanta legge 194, continua a veicolare - per come viene spesso applicata dalle istituzioni preposte - una subcultura di sospetto e controllo psicologico e corporeo sulle donne che decidono di interrompere la gravidanza.

di Rosa Ana De Santis

Il tempo dei dibattiti infuocati è al tramonto. Silenzio sulle associazioni che lavorano ogni giorno tra gli immigrati. Silenzio sugli ospedali dove i medici non hanno voluto prestarsi a fare i poliziotti. Mute le aule delle scuole, così piene di piccoli immigrati, ormai chiuse per le prossime vacanze. Arriva così, sotto il sole bollente, l’annuncio che il DDL sicurezza ha avuto il SI del Senato. Plaude il governo e il suo capo, affamati di quella sicurezza venduta in pillole di spot tra una propaganda e l’altra. Per l’Italia non è un passaggio come un altro. Si tratta di un vero cambio di rotta, finalmente esplicito e non solo sussurrato. Un manifesto nero di politica e una semina di disvalori da dare in pasto all’opinione pubblica in letargo. Alla vigilia del G8, mentre Ratzinger scrive a Berlusconi ricordandogli l’urgenza dell’etica nella politica dei grandi della Terra, il nostro Paese si chiude in un tempio di cristallo.

di Mariavittoria Orsolato

Quando in Italia succedono tragedie come quella dell’Abruzzo o quest’ultima di Viareggio, la prima cosa da fare, oltre che recarsi immediatamente sul posto (cosa difficile se non impossibile per i comuni mortali), è piangere i morti con lacrime amare e sacrosanto rispetto. Per le polemiche non c’è spazio, non c’è tempo e poi, diciamolo, sono talmente di cattivo gusto da far trasformare un semplice cittadino preoccupato in un pericoloso facinoroso. Lo garantisce Matteo Mastromauro per il Tg5 di Clemente J. Mimun. Ma davanti a stragi come questa, per cui il bilancio provvisorio è ormai di 21 vittime e 28 feriti in gravissime condizioni a causa delle ustioni, è cosa buona e giusta domandarsi se la tragedia poteva essere scongiurata, o perlomeno prevenuta. E pazienza se l’infame lettera scarlatta del disfattismo marchierà a fuoco le seguenti elucubrazioni.


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