di Rosa Ana De Santis

Quella che leggiamo o vediamo in televisione è la trama di un’odissea inversa. Nessuna epica. Non c’è Calipso in quel mare, né la mappa per Itaca. La fuga sparge morti in acqua e sale senza eroismo. Corpi e non uomini, dissolti e non sepolti. Il mare è diventato fuoco che brucia gole e pance. Questo ha raccontato una giovane donna sopravvissuta al naufragio di uno degli ultimi barconi, dei 75 altri suoi compagni di viaggio che non ci sono più. Fa tremare di vergogna la sua testimonianza e assegna precise colpe e responsabilità. Come le chiamasse per nome e cognome. Le misure del governo italiano con l’introduzione del reato di clandestinità ci obbligano ad osservare meglio quello che accade nelle acque del Mediterraneo. Una legge violenta che trasforma un bisogno sic et simpliciter in un reato, costringe a pensare agli effetti inevitabili di una politica che si dissangua di umanità di fronte a un popolo di gente che compra quella disperazione galleggiante, che rischia la vita propria e quella dei figli in grembo per arrivare fin qui. Stranieri, immigrati, rifugiati e clandestini. Suonano come sinonimi, variabili piuttosto simili di uno stesso fastidio sociale. Questo, del resto, voleva essere lo spirito e il deliberato esito di una legge che respinge indiscriminatamente, che pensa alla punizione da infliggere dopo il purgatorio, o meglio l’inferno, dei centri d’espulsione.

All’Europa che chiede spiegazioni e chiarimenti, l’Italia fa fatica a rispondere. Deve ancora dire, il nostro governo, come farà a distinguere gli irregolari dai rifugiati, come potrà evitare il rischio di rimpatriare richiedenti diritto d’asilo se respinge i barconi, se li definisce, senza differenza, clandestini. Bruxelles ci da due mesi di tempo per rispondere. Le polemiche su cui s’incarta il nostro Ministero degli Esteri al seguito di Berlusconi proprio non destano interesse, non trovano dignità di ascolto. Accanto alla questione specifica dei rifugiati, che mette in mora tutta l’ispirazione della legge, c’è un monito generale sulla politica dei respingimenti degli irregolari che considera inammissibile lasciar morire in mare i disperati. Sarà quindi sempre necessario lavorare ad accordi di riammissione con i Paesi di origine. Soccorso dovrà essere la regola aurea per i paesi dell’Unione Europea, indifferente alle pulsioni xenofobe della destra italiana.

Finora in Italia di diritto d’asilo si è parlato in appendice ai titoli d’assalto, come di una furberia da smascherare, adottata spesso per sfuggire alla clandestinità. Tesi peraltro sconfessata dai numeri che parlano di un 57% di domande accolte, o mediante il riconoscimento dello stato di asilo o quello di protezione umanitaria. Ma oggi all’Italia interessa soprattutto cacciare gli stranieri, inventarsi un protezionismo dei valori e vendere la crudeltà sui più vulnerabili come una prova di efficienza. A maggio scorso, mentre il Presidente della Camera ricordava che i rifugiati non potevano essere respinti, Berlusconi se la cavava dicendo che su quei barconi non ve ne erano. Al massimo casi “eccezionalissimi”. Lo confermavano le statistiche, diceva lui, magari quelle confezionate dall’amico Gheddafi, le cui prigioni e i cui affari esprimono ben altre etiche da quelle vendute nel suo libretto verde.

E’ così che una scarsa attitudine culturale all’integrazione, una dose elevata di analfabetismo sulle categorie della cittadinanza e sulle ragioni del cosmopolitismo liberale, come riferimento del diritto, ha messo il governo all’angolo della Comunità Europea. Una legge che è già un colabrodo di legittime sanatorie. Perché quando la disperazione dà guadagno, allora i pilastri del nazionalismo possono vacillare un pochino. Una legge che entra in conflitto, dichiara l’OIM, per banale effetto collaterale, con i 2 milioni di Euro investiti nei piani di rimpatrio volontario. Una legge che rischia di impedire l’accoglienza dei perseguitati e che troverà (speriamo) nella risposta all’Europa la prova maestra della propria inefficacia, oltre che la disapprovazione delle ragioni che invoca.

Il colabrodo giuridico, infatti, mentre caccia gli stranieri con il pugno di ferro, vuole in realtà terrorizzarli sul territorio con la minaccia del reato, per mantenerli con più disinvoltura sotto potere e sotto silenzio. Sfruttarli come lavoratori diventerà quasi una benevola concessione per dei colpevoli di reato. Malati senza cura per effetto di legge, oppure, molto più semplicemente, malati clandestini da spennare.

Nel deserto della compagine di governo rimane da solo il Presidente della Camera, Fini (e chi l’avrebbe mai detto) a ragionare dello ius soli (diritto di cittadinanza per nascita su territorio della Repubblica) e del futuro di un’Italia in cui i nuovi cittadini, figli di stranieri, guideranno il paese verso un’integrazione necessaria. Sull’idillio però rimane un’ombra, e viene dritta da qui, dalle cronache che ci affrancano e ci riempiono d’italica vanità. Oggi che l’Italia umilia le loro madri e i loro padri.

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